Cerca nell'archivio storico. Consulta gratuitamente le edizioni dal 1924.


Volevamo essere il Corriere della Sera della classe operaia
di Alfredo Reichlin


Da Gramsci a oggi: quel grande viaggio nella storia del Paese
di Giuseppe Vacca



http://archivio.unita.it/
2 ottobre 2011

Cerca nell'archivio storico Consulta gratuitamente le edizioni dal 1924

2 ottobre 2011 - Da qualche giorno l’archivio storico de l’Unità è online, integralmente e gratuitamente a disposizione di tutti coloro che vogliono sfoglia re le pagine del giornale, dalla fondazione il 12 febbraio del ‘24 ad oggi

Si tratta di un’opera imponente, che ci rende orgogliosi e che persino ci intimidisce, tanto grande è il carico di eventi, di cultura, di passioni che reca con sè. Ma si tratta anche di un’impresa di straordinario contenuto tecnologico, come dimostra la comoda fruibilità di oltre 548 mila pagine: muovendo dal nostro sito (www.unita.it) e grazie ad un occhio elettronico è possibile con un semplice clic ritrovare e classificare nomi e parole lungo l’arco di 87 anni. Nell’archivio è documentata l’intera vicenda del Partito comunista ita iano, dalla nascita allo scioglimento. L’Unità ne è stato l’organo ufficiale, ma a suo modo ha segnato con originalità quella storia diventando protagonista del dibattito politico e culturale della sinistra italiana. Tanto che il giornale ha costruito una sua identità e un suo profilo oltre il partito che l’aveva generata: non a caso ha continuato a vivere e a proporsi, con il suo giornalismo, la sua autonomia, le sue idee nelle nuove stagioni dell’Ulivo, del centrosinistra, del Pd.

Oggi le sfide sono molto diverse dal passato. Abbiamo davanti una crisi epocale che cambierà il nostro modello sociale. L’orizzonte è la cstruzione di una cultura democratica, con salde radici nella storia nazionale e costituzionale, tuttavia orientata verso le nuove frontiere, la prima delle quali è l’Europa comunitaria, condizione necessaria per affrontare la globalizzazione. L’obiettivo di oggi è «l’unità per la ricostruzione» del Paese dopo il decennio berlusconiano, un patto politico e sociale per salvare l’Italia e riportarla in serie A.

È emozionante pensare che preoccupazioni e speranze tanto lontane da quelle delle origini vivano oggi ne l’Unità, traendo comunque dalla storia insegnamenti e risorse. Ma l’Unità, come scrivono in questo inserto Alfredo Reichlin e Giuseppe Vacca, è stata anche una comunità di uomini, che ha lottato insieme ed è cresciuta temprandosi nella società. E anche questo tratto umano ha un valore storico e, a ben guardare le pagine, lo si coglie ancora oggi persino attraverso il computer. Come appare chiaro, l’archivio non è un’operazione nostalgia. È piuttosto un contributo alla storia d’Italia. Anzi alla storia dell’Italia unita, tanto più che Antonio Gramsci scelse quel nome prendendolo dalla rivista meridionalista di Gaetano Salvemini. Gli studiosi, i ricercatori, i giovani e i meno giovani potranno ritrovare attraverso il sito tanti dei mattoni che hanno costruito il Paese. Non tutti i mattoni, certamente. Ma quelli di un versante importante, che ha arricchito l’edificio nel tempo.

Nell’archivio de l’Unità ci sono i leader, le battaglie, le sofferenze, le gioie, i lutti, gli strappi drammatici, gli scontri che hanno accompagnato un popolo nella crescita democratica e civile. È una risposta, questo sì, al nuovismo e al leghismo che vogliono cancellare le radici. Forse la più grande malattia di oggi è lo schiacciamento sul presente. Ma per progettare davvero il futuro bisogna amare la storia e sentirsi parte di una comunità in cammino. Ora l’archivio storico de l’Unità è potenzialmente nelle vostre case. Buona consultazione e buona lettura. E un grande ringraziamento al nostro editore, che ha voluto e reso possibile l’impresa, e a Tiscali che l’ha realizzata.

top


http://www.unita.it
2 ottobre 2011

Volevamo essere il Corriere della Sera della classe operaia
di Alfredo Reichlin

Mi chiedono di commentare questa impresa davvero notevole: la messa a disposizione di tutta quell’immensa mole di fatti, idee, scritti, narrazioni e commenti che rappresentano la collezione dell’Unità.

L’Unità è stata gran parte della mia vita. Ne divenni direttore a trent’anni, alla vigilia del famoso 1956 (il rapporto segreto e il crollo del mito sovietico). Ero entrato nella sua redazione poco dopo la Liberazione di Roma e avevo fatto tutti i mestieri, dalla cronaca nera ai resoconti parlamentari. Dopo sei anni e in conseguenza di un serio dissenso politico sul rapporto tra il Pci e il centro-sinistra passai a fare altro. E poi, in un’altra stagione politica (1976, Berlin- guer, il compromesso storico), fui chiamato nuovamente a dirigerla. Per altri sei anni. Una vita. Vorrei evitare nostalgie e commemorazioni. Sono sempre più assillato dalla consapevolezza di questa vera e propria mutazione del mondo. So anch’io che il mondo è sempre cambiato. Ma adesso si tratta della fine della sua occidentalizzazione. Sei secoli. Si tratta dell’Europa, il luogo dove si è inventato tutto e il contrario di tutto; lo Stato e la rivoluzione, la libertà e il fascismo, la democrazia, la destra e la sinistra. È l’avvento non solo di nuove potenze ma di una nuova identità. Quindi di un diverso pensare se stessi, quindi la realtà.

Ho dei nipoti, giovani, adolescenti. Sono sicuro che mi tengono in buona considerazione. Ma, se vogliamo dire la verità, io mi accorgo che essi, al fondo, non sono molto interessati alla mia storia. Certo non sono indifferenti ma ciò che io leggo in loro è il travaglio e perfino la sofferenza di una nuova generazione che è alla ricerca di nuovi significati e che pone – senza riuscire nemmeno a formularle - nuove domande sul futuro. In sostanza domande di valori ai quali il narcisismo e il politicismo del ceto politico non è in grado di rispondere.

Stiamo attenti: anche questo alimenta l’antipolitica. E la sinistra non è innocente. Dunque, questo è il mio commento alla nuova lettura che si può fare dell’Unità. C’è nella storia di questo giornale qualcosa che risponda alle domande dei miei nipoti? Lasciamo stare le apologie. Ho vissuto la vita quotidiana di questo giornale e so quanto siamo stati anche faziosi e settari. Conosco la fretta con cui si lavorava e quindi gli errori e le sciatteria. Ma l’Unità non fu soltanto l’organo di un partito e che partito: il partito comunista. Fu una grande invenzione. È esattamente per questo che essa incise sulla storia dell’Italia repubblicana. Perché fu una cosa molto pensata di cui non esisteva il paragone. Non solo in Italia. Fu una costruzione complessa, ispirata fondamentalmente da Palmiro Togliatti e molto discussa in un gruppo di giovani e di intellettuali di cui anch’io ho fatto parte. L’idea di Togliatti era molto chiara: il nostro modello, diceva, non è il vecchio Avanti delle vignette anticapitalistiche di Scalarini, né tanto meno la Pravda ma il Corriere della Sera. Vogliamo fare della classe operaia la nuova classe dirigente? Allora dobbiamo dare ad essa un grande giornale capace di battersi con i giornali della borghesia sul terreno della informazione sui fatti reali del mondo, che dica la sua su tutta la vita sociale, compreso lo sport e lo spettacolo. Questa fu la nostra missione. Non fu solo quella di trasmettere le direttive del partito ma di dare battaglia sul terreno dell’egemonia. E fare ciò cominciando dalla capacità di competere con gli altri nel definire l’agenda politica e ideale del Paese. E così uscire dalla subalternità. Qualcosa di più profondo dell’essere lo strumento al servizio del popolo per farsi giustizia (mi minacci? io lo racconto all’Unità). E tutto questo non a parole ma facendo un giornale che era un giornale, un giornale, e un giornale. Un grande giornale che la domenica vendeva un milione di copie.

La domanda è: chi detta oggi l’agenda del Paese? Certo non noi, ridotti come siamo quasi al silenzio. A me pare che qui sta l’attualità del racconto che voi mi costringete a fare ai miei nipoti. I quali vivono in un Paese dove gran parte del ceto politico (non tutto per fortuna) ha ceduto il comando non solo all’oligarchia finanziaria ma al giornalismo più straccione che lusinga il suo narcisismo invitandolo a schiamazzare nei talk show televisivi e accettando perfino che la trasmissione venga aperta da un comico che li sbeffeggia (tra le risate di tutti). A questo ci siamo ridotti? Certo, la sinistra non possiede più l’alto linguaggio etico-politico, di condanna civile del cardinal Bagnasco. La sinistra –come sappiamo e tutti diciamodeve rinnovarsi in tante cose. Secondo me, tra queste, c’è una nuova riflessione che deve fare sull’importanza dei giornali. Perché i dirigenti non scrivono gli editoriali? Come pensano di far camminare le idee se ne hanno? Idee non le solite battute di una intervista televisiva. È vero, è in tv che si forma quella cosa fondamentale che sono i costumi i modelli di pensare. Ma a monte ci sono pur sempre le idee, le grandi decisioni. Dopotutto la cultura dominante è quella della classe dominante, ed è a essa che il sistema dei media si adegua. Concludo. Alla fin fine che cosa chiedono i miei nipoti se non ridare senso e significato alle loro esistenze, se non il bisogno di tornare ad essere padroni delle proprie vite? È ciò che cercano. Sappiano allora che questo fu il grande messaggio dell’Unità. Non fummo un grande giornale popolare e di massa perché raccontavamo balle o pubblicavamo storie di puttanieri. Ma nemmeno lo fummo solo perché denunciavamo le ingiustizie. Lo fummo perché ci costituimmo come strumento di una costruzione democratica, cioè del protagonismo (per una volta tanto nella storia italiana) delle masse.

Spero si capisca l’orgoglio e la piena dei sentimenti di chi faceva quel giornale e vedeva l’operaio del cantiere di Taranto (l’ho conosciuto) che rischiava il licenziamento perché si ostinava a varcare i cancelli della fabbrica, all’alba con in tasca l’Unità. C’è una grande discussione sulla “casta” e sul modo di fare politica. Non mi piace. Io ricordo che quasi ogni sera un uomo come Palmiro Togliatti prima di andare a casa passava dalla redazione in via IV novembre. Parlava con noi e si faceva portare una birra prima di mettersi a scrivere un commento con l’inchiostro verde. Vedi, mi diceva, sta attento al linguag- gio: quello della politica deve parlare ai cuori e alle menti e non imitare il linguaggio povero e rissoso dei giornali. Leggi Stendhal. Purtroppo ho perso i bigliettini che mi mandava ogni giorno per commentare un film o la cronaca del Giro d’Italia. Arrivavano a sera anche gli intellettuali che scrivevano la “terza pagina” e ponevano al povero Ingrao problemi impossibili. Pietro commentava in prima pagina il passaggio dal neo-realismo alla commedia all’italiana. Si lavorava come matti e l’ultimo camioncino portava a casa il direttore verso le due.

top


http://www.unita.it
2 ottobre 2011

Da Gramsci a oggi: quel grande viaggio nella storia del Paese
di Giuseppe Vacca

La possibilità di “sfogliare” l’intera collezione de “l’Unità” online è un evento culturale importante. È un evento per chi studia la storia professionalmente e per chi ha la passione di coltivarla; ma anche per le moltitudini degli internauti che leggendo, magari per caso, un articolo del quotidiano, forse saranno sollecitati a “sfogliarlo”, scoprendo un punto di vista originale e ricevendo una suggestione sul significato storico dei fatti di cronaca che caratterizza la funzione dei grandi quotidiani. Fino al 1991 “l’Unità” è stata l’ “organo” del Partito comunista italiano, ma non credo che si potrebbe dire la stessa cosa per gli altri giornali di partito. Conviene, quindi, nel presentare l’iniziativa ai lettori odierni, ricordare sommariamente come e perchè “l’Unità” sia stata anche un grande quotidiano di informazione. “Fondata da Antonio Gramsci nel 1924”, recita il sottotitolo del-la testata; ma non fu Gramsci a fondarla, bensì l’Internazionale comunista che i primi di settembre del 1923 decise di dar vita a un nuovo quotidiano per favorire la fusione del Partito comunista con la corrente socialista di Giacinto Menotti Serrati. Fu Gramsci, invece, a proporre di chiamarlo “l’Unità”, mutuando il titolo dalla più celebre e battagliera rivista meridionalistica, “l’Unità” di Gaetano Salvemini che nel 1920 aveva cessato le pubblicazioni. Nella lettera del 12 settembre 1923 all’esecutivo del Pci, generalmente nota come lettera per la fondazione dell’Unità, Gramsci da Vienna scriveva: «Io propongo come titolo “l’Unità” puro e semplice perché credo che (...) noi dobbiamo dare importanza specialmente alla questione meridionale». Ma il giornale cominciò le sue pubblicazioni alla vigilia delle elezione del 1924, nell’imperversare del terrorismo squadrista, quando il Pci già si preparava a resistere trincerandosi nelle fabbriche. «La fabbrica deve diventare il fortilizio del sindacalismo rosso proclamava l’editoriale del primo numero il 12 febbraio 1924 fortilizi che il fascismo non potrà incendiare e dove il manganello e i decreti devono arrestarsi davanti al blocco dell’operaio e delle sue macchine, strumenti insopprimibili della produzione». E nel ventennio successivo “l’Unità”, stampata alla macchia o all’estero e diffusa in Italia come e quando si poteva dall’organizzazione clandestina del partito, fu lo strumento principale della sua continuità: un organo di resistenza al fascismo volto a preservare il legame del Pci – unico partito antifascista che continuò ad operare in Italia con nuclei fondamentali di classe operaia. “L’Unità” sarebbe diventata un grande giornale solo dopo la fine della guerra e non avrebbe potuto esserlo se l’Unione Sovietica non fosse uscita dall’assedio; se, con la vittoria degli alleati sul nazismo e sul fascismo, non fosse diventata la seconda potenza mondiale; se il comunismo non fosse diventato un protagonista della storia globale. Condizioni necessarie ma non sufficienti, poiché nella seconda metà del Novecento nessun altro partito comunista diede vita ad un grande giornale capace di influenzare per decenni la vita politica e culturale del proprio Paese. Alle origini di questa seconda vita dell”l’Unità” ci fu la figura di Palmiro Togliatti e basta solo un raffronto per darne conto. Quando “l’Unità” riprese le pubblicazioni a Napoli nel dicembre del 1943, il suo primo editoriale invitava i partiti antifascisti «a costituire un controgoverno» se Vittorio Emanuele III e il suo erede Umberto di Savoia non avessero rinunciato al trono. In altre parole, la linea del giornale era quella dei partiti del Cln che in sostanza, prima di agire, attendevano la liquidazione della monarchia ad opera degli alleati. Ma quattro mesi dopo, il 2 aprile del 1944, “l’Unità” pubblicava con grande evidenza il saluto di Ercoli (Togliatti), appena rientrato in Italia, «ai compagni del Partito comunista». Dopo diciotto anni di esilio Togliatti era tornato e nove giorni prima di illustrare pubblicamente la strategia che avrebbe condizionato in misura determinante la politica italiana fino all’approvazione del trattato di pace e della Costituzione repubblicana, dichiarava: «Spetta alle forze popolari ridare al paese tutto quello che ha perduto:la sua unità, la sua libertà, la sua indipendenza, il suo benessere , la sua dignità. E la classe operaia e il suo partito verrebbero meno a se stessi se non fossero nelle prime file di questa lotta per la salvezza e la rinascita della nazione». Era l’annuncio di una nuova consapevolezza storica, della consapevolezza che essendo stata all’avanguardia nella lotta contro il fascismo, la classe operaia aveva superato ogni separazione dai destini della patria: poteva e doveva assolvere una funzione di governo diventando il nucleo fondamentale di un grande partito popolare e nazionale. “L’Unità” fu il principale strumento politico e culturale di questa strategia e divenne un grande giornale perché ne interpretò l’aspetto più sensibile: l’idea che per realizzare quel programma fosse indispensabi- le non solo un grande partito di massa, ma anche la creazione di una vastissima rete di associazioni, organi di stampa, imprese editoriale e forme originali di volontariato capaci di mutare gli orientamenti ideali del paese, gli stili di pensiero, la visione delle cose, il senso comune: in una parola la trama delle relazioni tra intellettuali e popolo. Il partito che aveva inventato quel giornale non c’è più da venti anni e non c’è alcuna continuità tra “l’Unità” di oggi e la storia passata. Oggi il giornale è impegnato nel cimento di interloquire con quanti il Pd innanzitutto – si propongono di raccogliere le sfide del XXI secolo: in estrema sintesi, la ridefinizione della politica alla base della quale si ripropongono i grandi temi che la modernità aveva risolto per secoli con l’”invenzione” dello Stato-nazione. La lezione che viene dal passato è che questi temi non si possono affrontare senza la costruzione di nuovi legami tra intellettuali e popolo. La possibilità di sfogliare l’intera collezione dell’”l’Unità” online può rendere quella lezione particolarmente ricca e produttiva.

top