Celebrating Nonviolent Resistance: Relazione di Maurizio Cucci

Sono un amico della nonviolenza, ma non posso certo definirmi un nonviolento ne, peggio, dichiararmi tale. A mio modo di vedere la nonviolenza è uno stato della coscienza e non un canone limitato da una serie di regole. Questo, naturalmente, non vuol dire che io possieda la verità sulla nonviolenza. D'altra parte chi può dire di possedere una tale verità?

Ai tempi della Beat Generation on the road, di Siddharta e del Buddismo Zen, ho imparato che l'Haimsa perfetta é un livello irraggiungibile di consapevolezza e amore per la vita. Uno stato di coscienza che si fonda sul completo adempimento della liberazione da ogni tipo di egoismo, fonte primaria di nutrimento per la violenza. Ricordo chiaramente che l'esempio topico dell'Haimsa perfetta era il monaco che si lasciava cadere tra le fauci della tigre, perchè potesse nutrire i suoi piccoli.
Quante vite e quante reincarnazioni prima di arrivare ad un tale stato di misericordia!!!

Questa premessa è utile per introdurre una riflessione sul convegno organizzato a Betlemme, nei giorni che sono seguiti al Natale, da Holy Land Trust e da Nonviolence International, “Celebrating Nonviolence Resistance”. Che si propone di celebrare la resistenza nonviolenta nel mondo e, in particolare, in Palestina, la resistenza di un popolo senza esercito e senza stato che, in cent'anni di immigrazione sionista, ha perso l'88% del territorio sul quale ha vissuto per diversi millenni. I relatori hanno eclatato la resistenza nonviolenta dei palestinesi, ma alcuni di loro hanno obiettato che non lo era.
Può essere considerata nonviolenta la resistenza di un popolo senza esercito, che non puo' quindi rispondere con una violenza uguale e contraria all'aggressione del nemico?
Puo' essere considerato nonviolento il lancio di sassi contro i carri armati, da parte di bambini inermi?
E' violenza o nonviolenza urlare slogan provocatori verso i soldati israeliani?
Ed ancora, puo' essere considerata nonviolenta una persona che mangia carne e beve alcol?
Infine sono veramente nonviolenti solo i santi che hanno raggiunto l'Haimsa perfetta?
Chi e' che puo' dirsi nonviolento?

Dico questo per sottolineare che le differenze tra le persone, i gruppi e i popoli sono comunque tante e non sono affatto sicuro che sia giusto escludere gli uni o gli altri a seconda che violino questa o quella regola nonviolenta. Sono ancora più dubbioso sull'idea che autorevoli personaggi, leaders della nonviolenza, possano presentarsi in palestina ad insegnare la resistenza nonviolenta ad un popolo che ha già sacrificato 600.000 vite umane dall'inizio dell'occupazione, nel 1967, e oltre 20.000 case di abitazione che sono state demolite.
D'altro canto e' vero che negli ultimi anni, l'idea della nonviolenza ha conquistato spazi di azione tra la società civile palestinese. Soprattutto grazie alle azioni dirette organizzate dall'International Solidarity Movement e sostenute da moltissimi civili palestinesi oltre che da migliaia di cosiddetti internazionali. Purtroppo però le azioni dell'ISM non sono considerate da tutti azioni nonviolente e gli attivisti di questo movimento hanno dovuto esercitare notevoli pressioni per poter essere accolti come relatori alla conferenza.

Comunque sia, le menti migliori della nonviolenza contemporanea, sono convenute a Betlemme per coltivare e nutrire un sogno che ponga finalmente termine alla violenza in Palestina. Per tre giorni hanno trasformato la Palestina nella palestra dove esercitare le loro visioni e i loro progetti. Una palestra dove il sogno possa prendere forma e trasformarsi in realtà. Quindi, se da un lato, il cinismo che nutrivo prima di partire ha trovato più di un'occasione di conferma, dall'altro la conferenza ha sicuramente espresso l'ansia di una buona parte della società civile del mondo occidentale per la violenza che si perpetua in quella terra "benedetta" da Dio.

Aprono il convegno il sindaco di Betlemme e le lettere di Kofi Annan, Jimmy Carter e dell’Arcivescovo Desmond Tutu. Gene Sharp, Mubarak Awad, Shami Awad, Mustafa Barghouti, il Patriarca Ortodosso di Betlemme, l'Imam di Gerusalemme, la chiesa anglicana, il rettore francescano della scuola cattolica in cui si svolgono i lavori, esponenti dell’Autorità Palestinese, dell'Holy Land Trust, di Nonviolence International, Jean Marie Muller del MAN (Mouvement pour une Alternative Nonviolente), David Grant delle Nonviolent Peaceforces, gli attivisti dell'ISM, i neri americani dei diritti civili, leaders della lotta nonviolenta in Colombia, Jeff Halper per i Rabbis Against Demolitions, i genitori di Rachel Corrie, insieme a tanti altri peacemakers da tutto il mondo si sono espressi a favore della lotta nonviolenta, non solo, ma la volontà di aiutare, soccorrere, sostenere e perfino insegnare o, per meglio dire, trainare i palestinesi fuori dal tunnel della violenza, si è manifestata in un abbraccio sincero che ha supearto ogni contraddizione raggiungendo direttamente il cuore di molti palestinesi.

Mi ha particolarmente colpito il coraggio dei genitori di Rachel Corrie che, nel tentativo di approfondire il percorso dell'amata figliola, (assassinata dall’autista di un bulldozer dell’esercito israeliano durante una demolizione nell’estate del 2003) non si sono astenuti dal partecipare ad una delle azioni dirette alle quali partecipava anche Rachel. Nel loro workshop sono riusciti, con grande intelligenza, a far parlare i palestinesi, accorsi in gran numero, e gli altri internazionali, sempre per meglio comprendere e meglio approfondire quella realtà che li ha privati della figlia.

La conferenza si è chiusa con due azioni dirette di protesta contro il muro di separazione, che è ormai diventato un mostro infinito che sbarra, spiana, separa, demolisce e aggredisce la vita quotidiana e quella emotiva non solo dei palestinesi ma di chiunque si trovi a viaggiare da quelle parti.

La prima azione si è svolta nel villaggio di Bil’in dove, da mesi ogni venerdì gli abitanti dei dintorni insieme agli internazionali organizzati dall'ISM si ritrovano per manifestare contro i lavori di fondazione del muro che già esclude le loro terre e i loro uliveti dalle case in cui abitano, a favore di un insediamento composto da giganteschi condomìni, illegali in Cisgiordania, che ospiteranno decine di famiglie di integralisti religiosi ebraici, dediti allo studio del Pentateuco e alla proliferazione della loro specie.
Trecentocinquanta sono i palestinesi e gli internazionali rimasti feriti durante queste azioni di protesta, ma oggi la presenza dell'Imam di Gerusalemme ha permesso ai dimostranti di raggiungere un’area che gli era sempre stata negata. C'era addirittura un trattore che arava la terra tra gli ulivi, mentre dalle colline giungeva, sulle onde degli autoparlanti, l’eco delle prediche degli Imam nelle moschee vicine. I bambini correvano con le bandiere della Palestina e dell'Islam che garrivano al vento, i soldati erano pochi e appartati lontano. Tra le centinaia di manifestanti anche alcuni giovanissimi refuseniks che intrattenevano i bambini palestinesi. Veri semi di speranza in una situazione che non offre alcuna via d'uscita al futuro del popolo palestinese.

L'altra manifestazione si e' tenuta all'entrata di Betlemme, già circondata dal muro, alto due volte quello di Berlino, che passa attrverso cimiteri e taglia fuori gli uliveti e le case di persone che vivono ora, in un limbo dal quale non è affatto facile uscire, a meno che non lo si faccia per sempre. A questa manifestazione hanno partecipato tutte le autorità presenti alla chiusura del convegno, e ancora l'Imam di Gerusalemme, che di nuovo ha fatto la differenza evitando che la sorpresa dei soldati all'arrivo di alcune centinaia di manifestanti, si trasformasse in scontro. Non solo, ma egli ha anche dichiarato ufficialmente il suo impegno e il suo appoggio alla lotta nonviolenta, segnando così un punto importante a favore della conclusione dei lavori.

Tuttavia l'entusiasmo per i risultati e l'emozione del ritrovarsi insieme ad affermare la comune convinzione che la nonviolenza possa e debba risolvere i conflitti, non cancellano il rifiuto di alcune organizzazioni di schierarsi contro l'occupazione, per cercare invece un’equidistanza e una posizione superpartes che, molto pacatamente, sono poi state smentite da un membro dei Christian Peacemakers Teams, presenti da circa quindici anni in Palestina, il quale ha ricordato quanto sia grande e sproporzionata la potenza di Israele nei confronti di un popolo senza esercito e senza stato, talmente grande e preponderante che sempre più spesso prende decisioni unilaterali, che non ha bisogno alcuno di dialogo ne di trattative o di collaborazioni con eventuali e improbabili forze nonviolente di interposizione, e quindi vede i CPT decisamente schierati contro l'occupazione a favore dei più deboli, nel segno del Vangelo di Cristo. Infatti, come si potrebbe mediare in Israele e Palestina la presenza di una forza civile di interposizione quando i sionisti hanno già vinto e consolidato la loro conquista con un muro lungo tre volte quello di Berlino e non hanno quindi alcun interesse a cedere alcunché a nessuno?

A questo proposito il discorso di Jeff Halper dei Rabbis Against Demolitions, in sintonia con l'opinione della rappresentante della Coalizione delle Donne Israeliane Contro l'Occupazione, denunciano la mancanza di una strategia di resistenza e suggeriscono la contaminazione della società civile israeliana andando porta a porta con un questionario a spiegare gli effetti dell'occupazione sulle vite delle famiglie israeliane. Lavoro che, comunque, dovrebbe essere fatto dagli stessi israeliani. Chi altro infatti potrebbe contaminare la loro società civile?

E così l'avvicendarsi delle ipotesi di soluzione, dei progetti e dei sogni degli uomini di buona volontà si intrecciano con le contraddizioni sull'interpretazione della nonviolenza e sulla sua messa direttamente in opera, mentre la storia continua a scriversi e a celebrarsi da se, in un flusso continuo animato da una moltitudine di volti e di eventi che ne tracciano i momenti definendone le luci e le ombre, una domanda rimane, inquietante e irrisolta; se in cent'anni di immigrazione in Palestina i sionisti hanno conquistato l'88% del territorio, quanto ne rimarrà ai palestinesi, alla fine del prossimo secolo?

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