CORPI CIVILI DI PACE (C.C.P.):
Una risposta della Società Civile alla necessità di una sicurezza diffusa
Segreteria Rete Corpi Civili di Pace
Alberto Capannini Sandro Mazzi Silvano Tartarini
SOMMARIO

La realizzazione di una politica estera di pace passa per una ridefinizione del nesso fra difesa, sicurezza e gestione dei conflitti

RETE CORPI CIVILI DI PACE
di Sandro Mazzi

QUALI COMPITI DOVRANNO SVOLGERE I C.C.P. ?
di Walter Zaffaroni

CON QUALE PREPARAZIONE?
di Fabiana Bruschi

COSA INTENDIAMO CHIEDERE ALLE VARIE ISTITUZIONI?
di Andrea Anselmi



Con la fine della guerra fredda la sicurezza ha smesso di essere percepita dipendente da una minaccia ben definita, bensì da una serie di rischi multidirezionali: oggi è comunemente riconosciuto che la via per assicurarla non è più prevalentemente militare.

I conflitti sono aumentati e nuove stragi sono state e vengono commesse su tutto il pianeta: quasi tutto il mondo politico invece di vedere rilanciate posizioni politiche di netta opposizione alle armi, ha ripreso e continua gradualmente a legittimare gli eserciti e a sviluppare l&Mac226;industria bellica.

Nelle strategie di politica estera, nazionale e internazionale, l&Mac226;evoluzione del concetto di sicurezza non è stata accompagnata da una conseguente evoluzione di quello di difesa. La sicurezza, oggi diffusamente intesa in termini multidimensionali e globali, può essere assicurata solo proteggendo allo stesso tempo popolazione, ambiente e interessi collettivi: il lavoro per la coesione sociale diviene il fattore strategicamente più idoneo ad ottenerla.

Il pacifismo degli anni Œ80-&Mac226;90, a cavallo tra la fine della guerra fredda e l&Mac226;inizio del nuovo disordine mondiale, ha prodotto alcune fondamentali iniziative e riflessioni, che hanno inciso nello sviluppo delle politiche di pace negli anni seguenti.Una di queste è l&Mac226;intervento, nell&Mac226;autunno del&Mac226;90, dei volontari di pace in Medioriente; un gruppo di pacifisti che visse tutta l&Mac226;esperienza irachena e realizzò a Bagdad un campo per la pace, che fu, allora, il punto di incontro del primo pacifismo internazionale interventista, l&Mac226;altra è la preconizzazione dei Corpi Civili di Pace da parte di Alexander Langer. Nei primi anni&Mac226;90, gran parte del mondo nonviolento, sia cattolico che laico, sembrava orientato verso l&Mac226;eliminazione degli eserciti, la riduzione degli arsenali, il rifiuto della guerra, secondo un profondo sentimento antimilitarista. Tuttavia, a partire dalla fine degli anni Œ90, il termine antimilitarismo viene quasi abbandonato, per lasciare il posto ad una terminologia sempre più orientata al positivo e al costruttivo. Oggi si preferisce parlare di „gestione civile‰, sia nella corrente di pensiero „dell&Mac226;alternativa‰ al militare, sia nella corrente di pensiero „della collaborazione‰ con il militare. In entrambi i casi, si preferisce concentrarsi per la conquista di un riconoscimento politico o pubblico del ruolo del civile nella sicurezza, piuttosto che perseguire l&Mac226;ideale, che comunque rimane, di un mondo senza armi e senza eserciti.

Riguardo ai Corpi Civili di Pace, è ancora oggetto di dibattito quanto segue: da un lato, esistono da molto tempo gruppi, „&Mac183;espressione della società civile, costituiti da persone qualificate ed adeguatamente preparate ad intervenire in situazioni di crisi, con gli strumenti della difesa popolare nonviolenta e della gestione costruttiva dei conflitti, che esercitano funzioni di prevenzione, di interposizione e di diplomazia popolare‰: si tratta di casi di Corpi civili di pace volontari e dal basso, non riconosciuti dalle istituzioni, né italiane, né internazionali, ma disposti a interloquire con queste per la costruzione di una vera politica estera di pace. Dall&Mac226;altro lato, da anni si lavora, soprattutto a livello europeo, per la realizzazione di un Corpo civile di pace, formato da professionisti, che intervenga con strumenti civili in situazioni di crisi: esso non esiste ancora. Finora, l&Mac226;utilizzo di contingenti non armati in una situazione ad alto rischio è stato sperimentato dalla società civile solo per diverse piccole azioni di interposizione, ma dall&Mac226;enorme significato simbolico e di valore scientifico. E non poco è stato fatto anche sul terreno della diplomazia popolare nel riallacciare relazioni tra popolazioni divise dalle guerre. I Corpi civili di pace sono ancora in fase di progettazione a livello istituzionale, ma esistono numerose esperienze sufficienti per metterne a fuoco mansioni e compiti, tipo di preparazione e competenze.

Nonostante dal 1995 vi siano stati, anche da parte delle istituzioni, vari e ripetuti pronunciamenti in sostegno della realizzazione di Corpi Civili di Pace (Parlamento Europeo, ONU e singoli stati nazionali, compreso il nostro), la struttura militare e l&Mac226;apparato legislativo-istituzionale sono ancora molto lontani da considerare l&Mac226;ipotesi di affidare il compito della „difesa‰, sia in senso tradizionale che nel senso di operazioni internazionali di pace, ad un apposito contingente non armato. Questo perché la relazione tra civili e militari si basa ancora su una rigida divisione dei compiti: quando le condizioni di sicurezza lo consentono, prevenzione e riconciliazione, dialogo, assistenza e monitoraggio vengono delegate ai civili ma, negli altri casi, l&Mac226;utilizzo delle armi torna ad essere l&Mac226;unica opzione praticata e soltanto all&Mac226;interno di operazioni sotto tutti gli aspetti militari. Nelle strategie di politica estera, nazionale e internazionale, l&Mac226;evoluzione del concetto di sicurezza non è stata accompagnata da una conseguente evoluzione di quello di difesa. Riteniamo che, per completare il processo di ridefinizione del concetto di sicurezza, in termini multidimensionali dovrebbe essere rivisitato anche quello di difesa, dando riconoscimento all&Mac226;importante ruolo dei civili nella gestione delle crisi internazionali.

Nell&Mac226;ottica di migliorare la qualità dell&Mac226;intervento civile (es. fondi per la ricerca, possibilità di stare all&Mac226;estero senza perdere il posto di lavoro e con copertura finanziaria, possibilità di forte diffusione dell&Mac226;esperienza e maggiori condizioni di sicurezza in fase di azione), nel 2003 è nata la Rete Corpi Civili di Pace, un coordinamento di organizzazioni italiane impegnate in zone di conflitto, che si propongono di ottenere il sostegno e il riconoscimento dell&Mac226;azione dei Corpi Civili di Pace ovunque questi interverranno.

L&Mac226;aiuto e il riconoscimento, nelle forme e nei modi possibili, da parte delle varie istituzioni nazionali e internazionali, è un elemento estremamente prezioso nel prosieguo del nostro lavoro di costruttori di pace. Il riconoscimento istituzionale dei CCP vorrebbe dire in primis il riconoscimento della validità di questa esperienza, da cui discendono altre conseguenze positive per i CCP stessi: fondi per la ricerca, possibilità di stare all&Mac226;estero senza perdere il posto di lavoro e con una copertura finanziaria, possibilità di forte diffusione dell&Mac226;esperienza e poter agire in zone di guerra anche con un sostegno istituzionale.

Infine, questo riconoscimento delle istituzioni permetterà a tutti i volontari costruttori di pace (Corpi Civili di Pace) di continuare la propria attività in zona di conflitto in maggiore sicurezza e serenità, contribuendo, così, a meglio rappresentare la volontà di pace della maggioranza dell&Mac226;umanità che non vuole le guerre e intende realizzare al più presto una politica estera di pace.

Per la segreteria Corpi Civili di Pace

Alberto Capannini

Sandro Mazzi

Silvano Tartarini

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RETE CORPI CIVILI DI PACE
di Sandro Mazzi

1. CHI SIAMO
La rete per i Corpi Civili di Pace è una rete di associazioni ed Ong che si occupano del tema dei Corpi Civili di Pace in zone di crisi a livello di ricerca, formazione ed intervento.
Alla rete hanno aderito le seguenti associazioni: Ass. Papa Giovanni XXIII-Operazione Colomba (Rimini), Centro Studi Difesa Civile (Roma-Perugia), Movimento Nonviolento (Verona), GAVCI (Bologna), Ass. per la Pace (Roma), Rete Lilliput nodo di Bologna, Movimento Internazionale della Riconciliazione (Torino), Coord. Obiettori Forlivesi (Forlì), Pax Christi (Tavernuzze FI), Berretti Bianchi (Lucca) ed alcuni a titolo personale.

2. COSA SONO I CORPI CIVILI DI PACE
Sono un'espressione della Società Civile, sono costituiti da persone qualificate, adeguatamente preparate ad intervenire, con gli strumenti della difesa popolare nonviolenta e della gestione costruttiva dei conflitti, in situazioni di crisi esercitando funzioni di prevenzione, di interposizione, di diplomazia popolare. I CCP fanno riferimento alla Carta dei Diritti dell'Uomo.

3. OBIETTIVI E FINI
Fine della rete è di contribuire alla costruzione di una futura politica estera non armata che costruisca sicurezza e pace.
Per ottenere questo è necessario il riconoscimento, anche istituzionale dei Corpi Civili di Pace.
La rete vuole creare una sinergia tra le organizzazioni che:
- faciliti il lavoro delle organizzazioni aderenti
- sostenga i volontari nel lavoro sul campo
- reperisca i fondi per sostenere la ricerca, la formazione e l'azione
- acquisisca i report dei monitoraggi dei volontari sul campo e ne dia diffusione presso la società civile, i media, le istituzioni italiane ed internazionali
- metta in comune le conoscenze teoriche e pratiche sul tema
- operi per promuovere i contatti con i coordinamenti già esistenti sia a livello europeo che internazionali- European Network of Civil Peace Services (EN.CPS) e Nonviolent Peace Force (NVPF)

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QUALI COMPITI DOVRANNO SVOLGERE I C.C.P. ?
di Walter Zaffaroni

Motivazioni/obiettivi dell’intervento dei CCP sono:
&Mac183; Fermare la violenza
&Mac183; Proteggere i civili
&Mac183; Favorire il dialogo tra le parti in conflitto
Pre-condizioni all’intervento sono:
&Mac183; il radicamento nella società civile
&Mac183; la capacità di produrre relazioni
&Mac183; la valutazione/coscienza delle motivazioni personali dei partecipanti alle missioni (pre-condizione soggettiva)

Modalità dell’intervento > esclusivo utilizzo del metodo non violento.
Obiettivo è ridurre la quantità di violenza esercitata e le sofferenze subite dalla popolazione
L’intervento avviene:
· di norma su richiesta di una o più parti in conflitto
· previa conoscenza/analisi della situazione sul terreno, attraverso missioni esplorative
· non imponendo la propria cultura, bensì attraverso la ricerca di dialogo/conoscenza interculturale
· con l’utilizzo del proprio corpo, valutando i rischi, riducendoli al minimo ed accettandoli
· non prendendo parte in alcun modo al conflitto, sia pur collaborando con gli esponenti della società civile locale in modo compatibile con gli obiettivi della missione

Strumenti di intervento
> Monitoraggio
Ø preventivo (in zone “calde” a rischio esplosione conflitto)
Ø in itinere, valutando il risultato dell’intervento in corso step by step
Si ritiene indispensabile sviluppare il coordinamento con le ONG/organizzazioni che già svolgono autonomamente opera di monitoraggio sulle violazioni dei diritti umani, al fine di identificare possibili aree di intervento preventivo.
> Interposizione
Ø utilizzazione dei propri corpi a protezione degli obiettivi civili
Ø accompagnamento delle persone a rischio
> Diplomazia dal basso
Ø favorire l’elaborazione di soluzioni al conflitto da parte delle società civili coinvolte
> Forza
Ø azione su più livelli (istituzionale,culturale,politico)
Ø riconoscimento, nella società civile e verso le istituzioni
Ø sinergia
Ø utilizzazione di forme di pressione (boicottaggio, violazione embarghi, lobbing, etc)
> Riconoscibilità
Ø visiva, in modo che i membri dei CCP siano immediatamente identificabili come tali
Ø attraverso l’adozione di stili di vita e comportamenti idonei

I Corpi Civili di Pace attuano sul terreno una presenza continuativa, prima durante e dopo la fase acuta del conflitto.
Elemento caratterizzante la loro azione è la creatività/indipendenza, intesa come
Ø capacità di immaginare ed agire modalità non convenzionali di approccio ai problemi
Ø disobbedienza, cioè capacità di non far proprie regole/norme disfunzionali alle missioni o eticamente inaccettabili.
Particolare cura viene posta nell’opera di rottura dell’isolamento, ove sussista.

L’intervento dei CCP viene articolato in modo differenziato, con l’utilizzo di uno o più strumenti tra quelli sopra elencati, a seconda delle caratteristiche del conflitto.
A titolo esemplificativo, sono fattori che influenzano le modalità di intervento:
Ø conflitti etico/religiosi
Ø conflitti territoriali
Ø occupazioni militari
Ø presenza o meno di eserciti regolari
Ø sensibilità delle parti in conflitto al deterioramento della loro immagine


Rapporti con le istituzioni
Ø riconoscimento reciproco
Ø accreditamento, richiesto ma non conditio sine qua non per l’intervento

Professionalità
Ø importanza della formazione
Ø educazione/formazione diffusa, al fine di estendere l’accesso ai CCP a tutta la società civile
La autoformazione/autocertificazione viene ritenuta condizione a salvaguardia dell’indipendenza dei Corpi Civili di Pace.

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CON QUALE PREPARAZIONE?
di Fabiana Bruschi

Il conflitto è una realtà complessa, poco conosciuta, poco studiata; quindi, il lavoro degli operatori di pace è molto difficile in quanto, se manca una preparazione adeguata, si può correre il rischio di commettere errori che possono causare danni alle persone con le quali e per le quali si lavora.
Le difficoltà maggiori derivano dal fatto che la figura dell’ “operatore di pace”, essendo del tutto nuova, necessita di una costruzione in itinere e di una formazione che passa dalla teoria alla prassi e dalla prassi alla teoria attraverso continue verifiche.
Finalmente anche il mondo accademico si sta aprendo alla formazione di queste figure professionali attraverso corsi triennali, specialistici o master che stanno sperimentando nuovi percorsi formativi.
E’ perciò auspicabile che questi diventino un punto di riferimento anche per la formazione dei volontari del Servizio Civile Nazionale che risulta attualmente in fase di programmazione.
Ciò garantirebbe, se concentrato sulla formazione dei formatori, una maggiore omogeneità nella preparazione e una rispondenza maggiore alla attuale legislazione italiana che prevede forme non armate di difesa e di intervento nonviolento in operazioni di pace all’estero.
Affinché queste figure possano espletare al meglio i loro compiti è necessaria una politica estera di sicurezza che dia più spazio alla prevenzione dei conflitti armati come richiesto ripetutamente da varie mozioni del Parlamento Europeo.
L’incremento di queste figure professionali con una buona preparazione, non solo non sarebbe alternativo all’impegno dei tanti volontari delle Ong che già operano in questo settore, ma potrebbe addirittura costituire un punto di riferimento valido e stabile per rendere più efficace il lavoro dei volontari; tale efficacia dovrebbe inoltre essere sostenuta da una adeguata formazione che, per esprimersi al meglio, avrebbe bisogno di periodi più lunghi di intervento nelle aree interessate.
Per questo sarebbe auspicabile un riconoscimento giuridico del lavoro dei volontari che, sulla scia della legge già operativa sulle emergenze naturali, permetta loro almeno tre mesi di congedo senza perdita del posto. Ciò consentirebbe a tante persone molto motivate ma impossibilitate attualmente a partecipare per impegni di lavoro, di offrire un valido contributo alla difesa nonviolenta del proprio paese e alla prevenzione dei conflitti armati in altre parti del mondo.
Per mettere meglio a fuoco l’attività di formazione si è ritenuto importante chiarire i compiti che i CCP, oggetto della formazione, dovrebbero svolgere; tra questi risultano fondamentali:
la prevenzione dei conflitti armati, l’osservazione e il monitoraggio di possibili accordi tra le parti, la mediazione, l’interposizione, la riconciliazione, la ricostruzione del tessuto sociale, il riequilibrio dei poteri, l’accompagnamento di persone a rischio, la creazione di infrastrutture di pace, la mitigazione dei conflitti ecc…
Una prima ipotesi di formazione , focalizzata specificatamente a persone disposte a impegnarsi per un tempo prolungato nei CCP, dovrebbe prevedere un doppio livello:
1. Un CORSO INTRODUTTIVO che preveda l’analisi delle motivazioni, il metodo del consenso, la conoscenza della filosofia e delle tecniche nonviolente, la mitigazione e la gestione creativa dei conflitti, le tecniche di auto-protezione e di pronto soccorso, la conoscenza essenziale del Diritto Internazionale e Umanitario, la conoscenza delle tecniche e dell’organizzazione delle forme di polizia e degli apparati militari e dei sistemi d’arma. Particolare attenzione dovrà essere dedicata allo sviluppo di capacità quali l’ascolto attivo, il lavoro di gruppo, la promozione del dialogo, lo sviluppo di atteggiamenti assertivi, l’analisi degli aspetti relazionali, e la formazione interiore.
2. Un CORSO SPECIFICO che, a seconda del contesto in cui si opera, preveda la conoscenza almeno elementare della lingua ufficiale del posto, del contesto socio-culturale e storico, degli attori in campo, della condizione della donna, dei problemi economici, dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche dell’area di conflitto e della sua legislazione.

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COSA INTENDIAMO CHIEDERE ALLE VARIE ISTITUZIONI?
di Andrea Anselmi

ALL’UNIONE EUROPEA

E’ emersa chiaramente la necessità di intervenire presso varie istituzioni europee per continuare, ribadire, richiedere, promuovere l’istituzione di corpi civili di pace secondo un ottica condivisa in questi giorni ( i CCP devono essere un corpo civile indipendente dalle forze militari atto ad intervenire in zone di guerra con compiti di interposizione, mediazione, risoluzione dei conflitti, riconciliazione con modalità non violente). Abbiamo individuato due linee guida;
1. Influire sul quadro normativo nella attuale fase costituente per includere la nostra concezione di CCP.
2. Dare credibilità alla nostra proposta rafforzando l’organizzazione.

In questo senso sono state fatte le seguenti azioni:

v SEMESTRE DI PRESIDENZA ITALIANA DEL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA
Visto l’avvicinarsi di questo appuntamento è stato richiesto un pronunciamento del consiglio europeo sui CCP europei e uno studio ufficiale di fattibilità sul progetto dei CCPE è in corso di presentazione.
Abbiamo scritto una lettera aperta all’indirizzo del prossimo presidente italiano con riferimento alla concezione dei CCP che il parlamento europeo ha già fatto sua ( ad esempio nella raccomandazione dell’on. Per Gahrton ) ; quindi, chiediamo un riconoscimento di ciò che è stato già votato, ma anche la richiesta di un ulteriore sviluppo della materia.
Ci sembra importante che venga inserita nei compiti e nelle possibilità di azione dei CCP la dimensione della prevenzione e della riconciliazione in antitesi alla gestione dei conflitti solo in tempo di crisi acuta.
Sia la presidenza del consiglio-lettera a firma dell’onorevole Berlusconi-, sia la presidenza della repubblica-lettera a firma dell’ambasciatore Antonio Puri Purini- ci hanno risposto che la possibilità di un riconoscimento istituzionale dei c.c.p. sarà tenuta presente nel contesto del complesso meccanismo della Conferenza Intergovernativa. in particolare, la lettera del consigliere diplomatico della presidenza della repubblica si pone più in assonanza con le nostre richieste: “ Come Lei sa, tra le priorità della Presidenza italiana dell’Unione Europea, figura l’ulteriore sviluppo della Politica europea di sicurezza e difesa (PESD). In tale quadro acquisiscono rilievo anche i Corpi civili di pace, cui Lei fa riferimento”.
Le risposte ci consentono alcune speranze, ma va detto che nelle sedi dell’Unione Europea il ruolo dei ccp viene ancora erroneamente visto all’interno del settore degli aiuti umanitari e non, come chiediamo e dovrebbe, all’interno della poltica europea di sicurezza e difesa.
v COMMISSIONE PRODI
Altro punto secondo noi da affrontare è l’elaborazione di una richiesta da fare alla suddetta commissione con la collaborazione di o.n.g europee.
Vorremmo far inserire nella costituzione europea, prima che sia troppo tardi, una voce sul ripudio della guerra da parte degli stati membri.
Inoltre è pressante l’esigenza di modificare l’art. 30 comma 5 sui “CCP umanitari” almeno spostandolo nell’area della difesa popolare nonviolenta. La differenza fra interventi umanitari e difesa nonviolenta è notevole e non possiamo permetterci di essere relegati al ruolo di chi porta i viveri ai “preventivamente” massacrati di turno.

v PARLAMENTO UE – COMMISSIONE ESTERI
Questo punto è un altro di quelli per i quali ci serve l’aiuto di alcuni addetti ai lavori. Alla commissione noi vorremmo chiedere e fare pressione perché sia effettuato uno studio ufficiale di fattibilità sul progetto dei CCPE e anche (non è secondario) chi farà lo studio di fattibilità. Sarebbe opportuno che la struttura che eseguirà questo studio fosse già addentro e impegnata sull’argomento.
Alla commissione esteri dovremmo anche richiedere il riconoscimento e il sostegno politico dell’intervento attuale della società civile nei conflitti, questo sarebbe utile nel lavoro di informazione e sarebbe anche un piccolo passo in avanti nel lavoro di lobbing.


LIVELLO ITALIANO.


v UFFICIO NAZIONALE SERVIZIO CIVILE
E’ importante promuovere uno sforzo comune per la partecipazione di rappresentanti della rete per i CCP al “Tavolo DPN “ ex L.230/98a.
Riteniamo molto importante includere e sostenere nel servizio civile la dimensione nonviolenta di difesa civile. Ricordiamo inoltre che non è vero che il servizio militare obbligatorio non esiste più, dato che in caso di guerra esiste ancora la possibilità di essere precettati .

v TAVOLO OBIETTORI DI COSCIENZA ALL’ESTERO
(Gavci, Papa Giovanni, Focsiv, Caritas)
Con questo tavolo e con la CONFERENZA ENTI PER IL SERVIZIO CIVILE intendiamo organizzare un incontro di confronto sui CCP che porti ad azioni di promozione.
Dalla Conferenza Enti dovremmo ottenere sostegno nel rapporto istituzionale con il ministro Giovanardi che ha la delega ad occuparsi del volontariato.

v MINISTRO GIOVANARDI, CONSULTA, DIRETTORE UNSC
A questi referenti vogliamo inviare una lettera dove richiamiamo il valore dell’art. 1 L.64/01 che cita espressamente la difesa civile non violenta

Nel nostro lavoro si è evidenziata la necessità di creare una lobby che “spinga” a livello istituzionale le nostre istanze e di individuare interlocutori strategici per promuovere l’istituzione dei CCP. (Presidente della Repubblica, Governo, commissioni parlamentari, ong, chiese, gruppi parlamentari, associazionismo femminile, sindacati, libere associazioni ,cooperazione…).
Questo non toglie che sia fondamentale continuare il lavoro che si sta facendo a livello di base che può procedere parallelamente.

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