Disposizioni per il Riconoscimento dei Congedi per la Partecipazione
a Missioni Organizzate nell’Ambito dei Corpi Civili di Pace
di Tiziana Valpiana

RELAZIONE

Onorevoli colleghi!
Era il maggio del 1995 quando il Parlamento Europeo adottava un emendamento di Alexander Langer sulla creazione di un Corpo Civile di Pace Europeo, affermando che “un primo passo per contribuire alla prevenzione dei conflitti potrebbe consistere nella creazione di un Corpo Civile Europeo di Pace assicurando la formazione di controllori, mediatori, specialisti in materia di soluzione dei conflitti”.
Nel corso di questi dieci anni il mondo intero ha dovuto assistere alla guerra in Afghanistan, a quella in Irak, a Timor Est, in Cecenia, in Liberia, in Uganda, in Israele-Palestina, solo per citare alcuni della lunga lista di drammatici eventi che hanno segnato questi anni.
Sempre più urgente diviene quindi un ripensamento delle politiche di intervento rispetto ai conflitti, soprattutto in linea con un approccio di prevenzione e di trasformazione nonviolenta dei conflitti.
Quando Langer pensava ai Corpi Civili di Pace pensava proprio alla possibilità di dotare di uno strumento nonviolento e civile la appena nata “Politica Estera e di Sicurezza Comune”, in seguito integrata con la Politica Comune di Sicurezza e di Difesa”, divisa in tre componenti: gestione militare delle crisi, gestione civile, e prevenzione dei conflitti.
Dopo che la proposta è stata ripresa nel 1999 dal Parlamento di Strasburgo sotto forma di una raccomandazione al Consiglio cercando di mettere insieme e valorizzare le esperienze di molte organizzazioni non governative in vari angoli del mondo e dopo che a successiva crisi in Kossovo ha fatto scivolare di nuovo in secondo piano questo tema provocando fra i paesi europei, in seguito ai malcelati dissensi con il governo americano, la necessità di definire e mettere in piedi con urgenza una politica europea di sicurezza e difesa (PESD) a base prevalentemente militare, è recentissima (settembre ’03) la decisione, assunta dall’Unione Europea, di avviare uno studio di fattibilità sulla costituzione di un Corpo Civile di Pace.
Ed è di pochi mesi fa, sotto la presidenza italiana, la discussione della Convenzione Europea, nella quale attualmente i Corpi Civili di Pace sono inseriti come strumenti per l’erogazione di aiuti umanitari. Chi da anni ha avviato azioni nonviolente in aree di conflitto sottolinea invece la maggior opportunità di inserire i CCP all’interno della politica europea di difesa.
Da quel Maggio del ‘95 gli sforzi maggiori tesi alla creazione di questo Corpo sono arrivati della società civile, sforzi che però non trovano una significativa e chiara risposta a livello istituzionale.
Molte sono le associazioni che hanno accumulato una preziosa e ricca esperienza sul campo in termini di interposizione nonviolenta e di diplomazia popolare.
Numerose sono le campagne internazionali cui anche associazioni italiane hanno preso parte portando avanti azioni di interposizione diretta nonviolenta e di mediazione, come quella dei “Volontari di pace in Medioriente nel 1990 e ‘91, o più specificatamente in forma di marce per la pace, come quella di Sarajevo nel 1992, a Mir Sada nel ‘93, a Pristina nel ‘98, dove fu poi aperta un’Ambasciata di Pace, in Congo nel 2000, per non dimenticare le azioni fatte in Palestina con Time for Peace prima e Action for Peace poi e le azioni di diplomazia parallela portate avanti dalla Comunità di S.Egidio. E’ questo un bagaglio di competenze e conoscenze che va riconosciuto e valorizzato e da cui i Corpi Civili di Pace dovrebbero partire, in quanto permettono proprio di garantire quella sostenibilità, in termini di appartenenza locale e di durata di lungo termine dei processi di costruzione della pace, che è origine e punto di arrivo di un approccio di prevenzione e trasformazione nonviolenta dei conflitti.
Langer stesso aveva sottolineato che alle ONG doveva essere inizialmente affidato il reclutamento di personale da inserire nei Corpi Civili di Pace, il PE nella raccomandazione al Consiglio sostiene l’importanza di potere valutare il ruolo che le ONG hanno svolto nella soluzione pacifica dei conflitti, di censire e mobilitare le risorse delle ONG.
In Italia, dove il discorso sui Corpi Civili di pace è legato alla lotta per l’obiezione di coscienza, per l’obiezione alle spese militari e per la difesa popolare nonviolenta, la creazione di CCP ha come punti di riferimento importanti la sentenza della Corte Costituzionale italiana, che dichiara che “il sacro dovere della difesa della patria è realizzabile non solo attraverso il servizio militare , ma anche con un servizio civile di impegno sociale non armato”, la legge del 1998 di riforma sull’obiezione di coscienza in cui vengono previste forme di ricerca e di sperimentazione di difesa civile nonarmata e nonviolenta e che gli obiettori di coscienza possano prestare loro servizio in missioni di tipo umanitario all’estero.
Momento importante in Italia di sostegno da parte delle associazioni ed ONG dei Corpi Civili di Pace si ha poi con la creazione della Rete Verso i Corpi Civili di pace.
La rete vede i Corpi Civili di Pace come un’articolazione della Società Civile, costituiti da persone qualificate, adeguatamente preparate ad intervenire, con gli strumenti della difesa popolare nonviolenta e della gestione costruttiva dei conflitti, in situazioni di crisi esercitando funzioni di prevenzione, attraverso in particolare il monitoraggio in “zone calde”, di interposizione, di diplomazia popolare, che favorisca l’elaborazione di soluzioni al conflitto da parte delle società civili coinvolte.
La sfida che i CCP gettano all’Unione Europea è quindi quella di dare voce e visibilità alle azioni che la società civile internazionale conduce e deve potere continuare a condurre, inserendole in un sistema europeo di politiche comuni di sicurezza e di difesa. La professionalità che a livello istituzionale viene richiesta non deve escludere al contrario deve sostenere le competenze di personale proveniente dalle associazioni di volontariato, le quali però devono a tal fine puntare maggiormente sul momento formativo e di preparazione agli interventi in situazioni di conflitto. Il processo di costruzione dei Corpi di Civili di Pace passa quindi attraverso una sinergia tra attori, risorse e conoscenze. Senza parlare in modo polarizzante di processo dall’alto o dal basso si può invece parlare di complementarietà e di scambio. I CCP non possono essere un prodotto lontano e slegato dalla società civile così come non possono operare senza un riconoscimento ed un sostegno istituzionale, in termini di supporto finanziario e politico.
La presente iniziativa mira ad avere una Legge che dia il diritto a cittadini italiani di ambo i sessi che intendono partecipare a missioni organizzate nell'ambito dei Corpi Civili di Pace (CCP) di poter usufruire di un periodo di aspettativa di almeno 12 mesi frazionabili, durante il quale non decorrerà la retribuzione. Decorreranno invece tutti gli altri istituti (anzianità di servizio, tredicesima mensilità o gratifica natalizia, ferie, trattamento di fine rapporto). I contributi previdenziali saranno figurativi sia per il diritto alla pensione che per la determinazione della misura della stessa.
Solo gli enti e/o le associazioni che organizzano i CCP potranno utilizzare le persone richiedenti questo periodo di aspettativa. Tali enti e/o associazioni devono essere riconosciuti in base a quanto previsto dall'art.11 della legge 8 luglio 1998 n. 230 "Nuove norme in materia di obiezione di coscienza" (riferimento all'UNSC - Ufficio Nazionale per il Servizio Civile -)

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