Interventi Civili per la Gestione dei Conflitti e Corpi Civili di Pace, Seminario dei Berretti Bianchi, Pisa: 15/11/2009
a cura di Gianmarco Pisa (Operatori di Pace Campania)

La specificità dell’azione degli operatori civili di pace, in quanto civili disarmati che agiscono in situazioni di conflitto e post-conflitto, è quella della “costruzione della pace con mezzi pacifici”, secondo la definizione di J. Galtung (“La Pace con mezzi pacifici”, Milano 2000). Con questa definizione s’intende l’applicazione delle strategie positive (nonviolente) finalizzate all’assorbimento dei bacini dell’odio, del rancore e della violenza nei contesti contrassegnati da divisione civile e dalle eredità del conflitto; ma soprattutto si intende una modalità di azione, quella propria di chi intende “abitare” il conflitto, “rispettare” gli attori locali e situarsi “dalla parte degli ultimi”, cioè coloro che hanno più patito l’esercizio della violenza o le conseguenze del conflitto. Per questo si rimanda ai risultati della conferenza dal titolo omonimo di cui alla pagina: www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/1315/1/69. Si tratta di approfondire i contenuti di azione e le metodologie di intervento degli operatori di pace, specie nella direzione del perfezionamento delle capacità civili destinate alla costruzione di una vera e propria “infrastruttura per la pace” (come ha scritto G. Scotto su: www.pacedifesa.org/formazione/corsi.asp) e, in questo contesto, per il riconoscimento del profilo, delle caratteristiche e della figura professionale dell’“operatore di pace” (cfr. “Quaderni di Tecnostruttura”, S24/2006, cap. 5: “Contesti normativi del mediatore interculturale e dell'operatore di pace”). Le domande poste dal convegno per il decennale dei Berretti Bianchi (Pisa, 15 novembre 2009) forniscono uno stimolo importante alla riflessione.
1. Qual è la molla che c’induce a partire per intervenire nella gestione d’un conflitto? Le motivazioni dell’azione civile possono essere le più diverse, nobili e meno nobili. L’azione civile positiva non può che essere “su richiesta” e quindi seguire una domanda, direttamente o indirettamente, avanzata dai potenziali destinatari dell’azione o dagli attori di pace locali, presenti nel contesto di destinazione, la cui attivazione è una delle leve fondamentali ed una condizione decisiva ai fini del successo dell’azione positiva di gestione del conflitto. La molla che induce a partire vede dunque una condizione generale ed una specifica: quella generale consiste nella verifica della fattibilità dell’intervento, sia nel senso dell’adeguatezza degli strumenti sia in quello del carattere del contesto di destinazione (consonanza ed adeguatezza); quella specifica consiste nell’azione di un’interlocuzione con gli attori di pace locali che vada appunto nella direzione dell’intervento su richiesta ed eviti ricadute negative e non auto-sostenibili (do-no-harm).
2. Come evitare i danni del colonialismo “solidale”? La risposta a questa domanda è contenuta nella condizione generale sopra richiamata: se l’intervento è su richiesta e risponde ad una domanda degli attori locali, deve anche avvenire con l’utilizzo di una strumentazione e di un approccio tali da non imporre verticalmente modelli di gestione, bensì di facilitare processi di maturazione (ownership) locale da cui possano scaturire le risposte degli attori al loro conflitto. E’ bene non dimenticare che il ruolo dell’operatore internazionale è quello di chi non vive direttamente “quel” contesto e “quel” conflitto e deve porsi nella dimensione della facilitazione piuttosto che quella della ri-soluzione della contraddizione. Perciò la capacità di de-centrarsi emotivamente e culturalmente è sovente decisiva.
3. Come gestire il rapporto con il territorio e le popolazioni locali? La gestione dei rapporti locali è una sotto-dimensione della gestione del conflitto in termini generali. Una condizione fondamentale è quella di chi si pone nella condizione di “abitare” il conflitto, ponendosi dalla parte degli ultimi e rispettando le condizioni e le soggettività localmente presenti. Un’ulteriore condizione, anch’essa decisiva, è quella di fare proprie le “lezioni apprese” provenienti dal cosiddetto “cultural oriented peace building” (www.iicp.ch), cioè la capacità di adattare alle condizioni degli usi, dei costumi e delle culture locali l’azione di educazione, sensibilizzazione e promozione sociale che è tipica della trasformazione. Se, da una parte l’ottica della trasformazione impone di lavorare per la modificazione non-violenta dei rapporti sociali, dall’altra, l’intervento della parte terza deve essere sempre adeguato e non manipolativo.
4. Come operare in un conflitto sbilanciato tra vittime e aggressori? I rapporti sociali in un contesto di conflitto o post-conflitto sono tipicamente sbilanciati a favore degli aggressori e ai danni delle vittime: non solo tale squilibrio è una delle concause possibili ed una tipica conseguenza dell’azione della violenza, ma capita sovente, specie nelle tipologie etno-politiche, che le vittime di ieri si trasformino negli aggressori di oggi (il caso kosovaro è piuttosto auto-evidente). Si tratta in questi casi di procedere lungo tre direttrici: 1) equi-vicinanza: l’approccio non partigiano non dismette la consapevolezza degli aggressori e degli aggrediti ma consente di instaurare un clima positivo di relazione con tutti i soggetti del conflitto locale; 2) capacitazione: il lavoro di rafforzamento della parte debole è la base su cui ripristinare le condizioni del dialogo; 3) confidence building: il lavoro di ripristino della fiducia è quello che consente, una volta sperimentato il ri-equilibrio delle relazioni, di consolidare relazioni positive e strutture auto-sostenibili e positive (cfr. M. Maiese, “Confidence-Building Measures”, Beyond Intractability Essay, 2003).
5. Come seguire il cammino della nonviolenza nel rapporto tra le associazioni? Non esiste una “via esclusiva”, ma solo una “strada maestra”, quella di considerare la nonviolenza come una proposta che si rivolge indistintamente a tutti e che punta ad una trasformazione interiore oltre che ad una modificazione dei rapporti sociali. L’approfondimento della capacità di ascolto e di empatia ed il rispetto del profilo e della specificità di ciascuno possono indubbiamente costituire potenti vettori per il consolidamento di relazioni produttive e costruttive.


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