REALTA’ DEMOGRAFICA DEL KOSSOVO
di Hizvi Islami

SOMMARIO

Divisione del complesso etno-demografico degli Albanesi

Sottosviluppo e transizione demografica ritardata

Atteggiamento neo-maltusiano e razzista della Serbia
nei confronti degli indici di natalità degli Albanesi

Differenziazione dell’indice di natalità
su basi territoriali, socio-economiche ed educative

Il quadro etnico del Kossovo e la manipolazione serba

Pulizia etnica dei territori albanesi del Kossovo
e loro colonizzazione dopo il 1878.

La deportazione degli albanesi
ed il secondo flusso di colonizzazione del Kossovo.

Emigrazione dei serbi dal Kossovo dopo il 1966 e l’arrivo degli albanesi

Emigrazione degli albanesi e sistematico terrore militare e poliziesco dal 1981

I progetti estremisti serbo-jugoslavi degli anni ottanta
per il cambiamento della struttura etnica del Kossovo



Divisione del complesso etno-demografico degli Albanesi

Numerosi paesi e regimi stranieri sono stati particolarmente interessati a mantenere il popolo albanese, che abita un “compatto” territorio nei Balcani, diviso in differenti unità politico territoriali e in questo modo disgregato in tutti gli aspetti della vita. Conformemente alle decisioni delle Conferenze di Londra (1913), Versailles (1919), e Parigi (1946), il Kossovo ed altre parti della ex- Jugoslavia popolate dagli albanesi, contrariamente alla volontà della popolazione albanese, sono rimaste fuori dal loro “stato genitore”, l’Albania, cosicché il complesso etnico albanese è stato frammentato.
Questa ripartizione fu seguita da una tragica divisione politico territoriale dello spazio etnico albanese all’interno della ex - Jugoslavia. La politica dello stato Jugoslavo dopo la Seconda Guerra Mondiale divise gli Albanesi, che vivevano in un territorio etnico “compatto”, in quattro unità statali e politico- territoriali: Il Kossovo a cui era concessa solo una limitata autonomia all’ interno della Serbia (che in termini politico - legali, fino al 1963, non raggiunse neppure lo status della Vojvodina), la Macedonia (nella parte ovest), la Serbia (nella parte sud) il Montenegro (a sud est). Circa il 70% degli albanesi rimase in Kossovo (circa due milioni oggi), circa il 30% rimase fuori: circa il 25% (oggi almeno ottocentomila o circa il 40% della popolazione totale della Macedonia), circa il 4% in tre municipalità nella Serbia del sud (Presevo, Bujanovac e Medveda), e circa l’1% nel Montenegro (attualmente 50.000).
Anche in seguito alla disgregazione della seconda Jugoslavia e alla creazione dei nuovi stati indipendenti (1992), la comunità internazionale, negando agli albanesi il diritto all’autodeterminazione, sembra decisa a lasciarli divisi, all’interno dei confini precedentemente stabiliti. Un nuovo confine artificiale è stato in precedenza stabilito tra il Kossovo e la Macedonia dividendo così degli albanesi da altri albanesi.
Comunque, nonostante la storica e attuale ripartizione dello spazio etnico albanese, l’insieme della comunità albanese, per quanto possibile sotto le circostanze prevalenti, ha partecipato attivamente ai processi e movimenti politici nazionali, culturali ed economici, eccetto che per il periodo di esistenza dei sistemi comunisti su entrambi i lati del confine, dal momento che anche questi hanno agito come fattori di disintegrazione del popolo albanese.
La consistenza numerica degli albanesi, la crescita demografica e la compattezza della presenza etnica sul territorio, sono stati e rimarranno un elemento sostanziale della prospettiva nazionale albanese, della resistenza all’assimilazione, allo sradicamento fisico e all’intimidazione da parte di circoli egemonici serbi e ortodossi in genere. Ben consci di questi fatti, tutti i regimi serbo-jugoslavi hanno intrapreso un’attività continua indirizzata alla polverizzazione dell’omogeneità etnica dei territori popolati dagli albanesi, al cambiamento della loro composizione nazionale a svantaggio degli albanesi; all’indebolimento del potere demografico vitale del popolo albanese attraverso varie misure amministrative, disumane e non consone al concetto di civiltà.

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Sottosviluppo e transizione demografica ritardata.

La parte albanese nella ex- Jugoslavia, benché molto ricca di risorse naturali e potenziali umani è rimasta sottosviluppata sotto tutti gli aspetti. Perciò le differenze a livello regionale dello sviluppo demografico albanese non sono rilevanti . Una serie di cambiamenti intensivi, lentamente e con alcuni ritardi, hanno raggiunto i settori chiave di riproduzione e in generale di sviluppo della popolazione albanese: la donna, come attore principale della riproduzione biologica; la famiglia, come un fattore decisivo di nascita, maternità e riproduzione e agente di numerose funzioni socio-economiche; e il villaggio come struttura dominante nella società albanese del Kossovo .
Il Kossovo e altre aree abitate dagli albanesi dopo la Seconda Guerra Mondiale sono state considerate territori tipicamente agro-rurali e sia economicamente che demograficamente autarchici, con numerosi resti di strutture semi-feudali. L’occupazione prevalente e lo stile di vita erano fondati su una agricoltura estensiva e di sussistenza, mentre l’analfabetismo, per lungo tempo compagno degli albanesi, rimase ad un livello relativamente alto, in particolare tra la popolazione femminile. Per queste ragioni, come per il carattere a lungo termine dei processi demografici, gli albanesi della ex- Jugoslavia, ma anche la totalità degli albanesi rappresentano l’ultima transizione demografica in Europa. La popolazione rurale e agraria albanese risente ancora del forte impatto riproduttivo. La crescita demografica è stata raggiunta per mezzo della cosiddetta fertilità naturale malgrado numerose perdite umane (a causa principalmente di un alto tasso di mortalità specialmente tra i bambini), come in tutte le popolazioni preindustriali.
La poca attenzione nei riguardi del Kossovo e degli albanesi nelle politiche di sviluppo della ex-Jugoslavia - iniziando da una politica di investimenti sfavorevoli ed un tasso di impiego estremamente basso (in particolare tra le donne) e cambiamenti in ritardo nel campo dell’educazione, della cultura, della sanità, e delle infrastrutture ed un basso standard di vita.- era il risultato di una deliberata e ben concepita strategia. In Kossovo, per esempio, l’industria estrattiva (piombo, zinco, nickel, etc.) e le risorse energetiche (carbone) hanno esaurito la maggior parte degli investimenti, e come è noto questo tipo di industria ha degli effetti negativi in termini di formazione del capitale, reddito e impiego, in particolare tra le donne. D’altro canto le capacità di trasformazione e lo sviluppo di branche di lavoro intensivo erano insufficienti ad assorbire l’abbondante forza lavoro, così fornivanoun icentivo all’emigrazione economicaverso paesi stranieri circa due o tre decenni fa. Più del 90% di materie prima di Trepça (la più grande miniera in Europa di piombo, zinco ed argento) venivano trasformate fuori dal Kossovo, e per quanto riguarda l’energia elettrical situazione era simile, in quanto quetsa era esportata verso le altre parti della Jugoslavia. Nel complesso questa strategia soddisfava gli interessi della Serbia e della Jugoslavia5. Nella sfera economica il Kossovo ha sempre avuto una posizione coloniale ed è oggi il più tipico esempio di una colonia classica. Senza una profonda analisi e una esposizione critica di una simile politica (che si riflette anche in altri campi della società) sarebbe impossibile recepire e spiegare le tendenze demografiche e i cambiamenti nel Kossovo e in altre zone sottosviluppate, specialmente se messe in relazione da una parte con il rinnovamento della popolazione e dall’altra con la strategia principale delle politiche serbo-jugoslave, il cui obiettivo era di risolvere il problema degli albanesi attraverso la loro assimilazione o la loro deportazione in Turchia.

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Atteggiamento neo-maltusiano e razzista della Serbia nei confronti degli indici di natalità degli Albanesi.

L’attuale indice di natalità (circa il 28 per mille) e la riproduzione tra gli Albanesi in genere, insieme a una “struttura di età ”molto bassa della popolazione albanese (il 52% della popolazione sotto i 19 anni e l’età media di circa 24 anni), che si è raramente riscontrata nel contesto demografico mondiale, come pure la stabilità dei matrimoni e della famiglia, sono indicativi di una popolazione vitale con un incremento demografico accelerato. Questa prospettiva demografica degli albanesi diventa, agli inizi degli anni ’80, il fattore di interesse dei circoli politici, statali e scientifici della ex-Jugoslavia, in primo luogo della Serbia. Perciò una campagna su vasta scala organizzata contro il Kossovo e gli Albanesi non ha tralasciato di considerare i loro problemi demografici ed è stata caratterizzata dalla completa assenza di un approccio razionale e dal disprezzo di ogni approccio scientifico e umanistico allo sviluppo demografico di un popolo. Ciò ha rivelato il vero obiettivo di questo discorso: i problemi demografici degli albanesi non erano stati sollevati allo scopo di migliorare la qualità della nascita, della riproduzione, della vita, per umanizzare le relazioni tra i sessi e preservare la salute delle donne, ma piuttosto a causa di una infondata paura degli albanesi, o più precisamente, delle loro origini di non slavi del sud.
L ’albanofobia raggiunse un livello tale che gli albanesi venivano continuamente censiti (quanti ce ne sono adesso e quanti ce ne saranno fra trenta o cento anni), per paura che occupassero lo spazio serbo-jugoslavo e così mettessero in pericolo lo sviluppo demografico, politico , economico e nazionale degli slavi del sud, e che servendosi del fattore demografico e dei loro “movimenti secessionisti” creassero una “Grande Albania” e provocassero un conflitto internazionale.
In questo modo l’intero approccio si trasformò in una campagna senza precedenti contro la gente albanese nella ex- Jugoslavia con un chiaro sfondo razzista e sciovinista con l’indice di natalità degli albanesi proprio al centro degli attacchi. L’approccio all’indice di natalità da queste posizioni e l’intromissione nelle “gravidanze” di un popolo attraverso misure coercitive è stata considerata come un atto di genocidio nella Convenzione delle Nazioni Unite sulla Prevenzione e Punizione del Crimine di Genocidio . Come “alcuni richiami uninazionali, provocati dalla paura di un’espansione biologica in un ambiente sotto-sviluppato come il Kossovo, con l’obiettivo di prevenire l’aumento degli Albanesi in così largo numero...ha qualcosa in comune con un modello di pensiero e di azione genocida...”.
Alcune istituzioni partitiche e statali e i media in Serbia e nella ex-Jugoslavia hanno chiesto una radicale diminuzione della natalità degli Albanesi attraverso misure amministrative anti-sociali ed anti-civili del già noto tipo indo-cinese. Attraverso l’ex federazione la Serbia mirava ad usare la Macedonia come terreno di prova non solo per limitare della crescita demografica albanese ma anche per ridurre il livello educativo in lingua albanese ed anche la generale prospettiva della presenza albanese nel Kossovo . Le autorità macedoni, sia a livello di repubblica che delle municipalità a prevalente popolazione albanese, hanno approvato diverse risoluzioni, leggi, e decisioni aventi forza di legge per esercitare pressioni nella sfera della natalità; fu richiesto che le famiglie albanesi con più di due figli fossero limitate nei loro diritti all’educazione, occupazione, indennità familiari per i figli, all’assistenza sanitaria per “eccesso” di figli, etc . Queste autorità inoltre hanno approvato una legge che restringeva l’immigrazione nelle città della Macedonia (a partire nuovamente da Tetovo) , il che era valido in realtà solo per gli Albanesi, per paura che la loro crescita demografica fisiologica potesse cambiare la struttura etnica degli insediamenti urbani, mentre il “travaso” di Albanesi dal Kossovo alla Macedonia era una ingegnosa macchinazione atta ad attaccare il Kossovo e gli Albanesi in quella repubblica. La politica ufficiale macedone ha interpretato questo “flusso migratorio” e il più alto indice di natalità degli Albanesi come il risultato della loro volontà di creare “un altro Kossovo in Macedonia”, ”un’altra Albania in Macedonia”, e la “Grande Albania”. relazione alla nascita, al matrimonio, alla famiglia, come pure operare una più appropriata valutazione delle condizioni e della qualità della vita in genere. Ma questi sforzi della società e delle sue istituzioni devono considerare i fattori determinanti che stanno alla base della nascita e della riproduzione come principi comuni, senza riguardo alla appartenenza regionale, sociale, nazionale, razziale e religiosa, poiché hanno a che fare con la sfera privata che non sopporta coercizione, politicizzazione e manipolazioni burocratiche. L’intero processo di riproduzione è realizzato ad
Non c’è dubbio che ogni società potrebbe, basandosi su conoscenze scientifiche ed un approccio umanistico, considerare e riesaminare il comportamento e l’intero sistema di atteggiamenti e valori che sono in un livello micro, il che significa che i singoli e le coppie sposate e le famiglie sono i protagonisti del processo e dovrebbero avere libertà di scelta sulla frequenza e gli intervalli di tempo delle nascite. Ogni pressione con dubbie motivazioni indirizzata a favore o contro la natalità è completamente estranea ai sentimenti, alla volontà e alla ragione umana e può essere solo controproducente.

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Differenziazione dell’indice di natalità su basi territoriali, socio-economiche ed educative

A causa di cambiamenti infrastrutturali di carattere socio-economico, educativo e sanitario nel Kossovo e negli altri territori di etnia albanese il tasso di natalità cominciò a decrescere negli anni sessanta e specialmente negli anni settanta, evidenziando una differenziazione in termini territoriali e sociali. I lavori di ricerca demografica eseguiti sino ad oggi individuano la natalità come un problema di classe sociale, riflesso attraverso il prisma della stratificazione sociale, non determinato etnicamente o confessionalmente, non in relazione con schemi atavici o di origine divina o con l’ideologia nazionale e nazionalistica, tutti argomenti usati dal regime jugoslavo contro gli albanesi. Questo è stato confermato dalla ricerca demografica basata sul censimento del 1981 nel Kossovo: una donna che lavora nel Kossovo (di età compresa fra i 45 e i 49 anni) mette al mondo 3.07 figli mentre una donna che non lavora della stessa età ne mette al mondo 5.49. Una donna che non lavora e che vive in un villaggio mette al mondo 6.74 bambini, mentre una lavoratrice di un settore non agricolo mette al mondo 2.74 figli; una donna analfabeta o non scolarizzata ha 7.04 figli, mentre le donne con un’istruzione secondaria o superiore hanno rispettivamente 2.24 e 2.18 figli.
Le differenze nell’indice di natalità tra varie comunità nazionali sono inoltre il risultato di un ineguale sviluppo economico, educativo, culturale e sanitario e su queste basi hanno creato atteggiamenti e norme di comportamento orientate verso un concetto di riproduzione “bio-sociale”, mentre l’appartenenza nazionale appare come una sola delle caratteristiche sociali. Le differenze sono inoltre evidenti tra gli appartenenti alla stessa nazionalità e confessione ma viventi in aree con differenti livelli di sviluppo. Durante gli ultimi cinque decenni per esempio, la natalità è stata alta tra i serbi nel Kossovo e in Bosnia-Erzegovina, tra i Montenegrini in Montenegro (e dopo anche in Kossovo), tra i musulmani nell’area del Sandzak, tra i Croati in Bosnia ed Erzegovina e in Kossovo (nel 1981, per esempio era del 27.5 per mille contro il 15.3 della Croazia) come tra gli Albanesi nelle regioni della Ex-Jugoslavia, con alcune lievi differenze. Nel 1981 una donna albanese non più in età fertile aveva: 6.66 figli in Kossovo, 5.60 in Macedonia, 5.75 in Serbia e 4.43 in Montenegro (a causa di una emigrazione intensiva di giovani negli ultimi vent’anni). Le donne albanesi che vivevano in Slovenia avevano in media 3.04 figli, in Croazia 3.56 figli ed in Bosnia ed Erzegovina 4.29. Una donna serba al termine dell’età fertile aveva: 3.42 bambini in Kossovo, 2,81 in Bosnia ed Erzegovina, 2.02 in Croazia, 1.87 in Vojvodina, 1,35 in Serbia e 1.98 in Slovenia mentre le donne montenegrine avevano una media di 3.16 figli in Kossovo, 2.98 in Montenegro, 2.89 in Macedonia, 2.12 in Serbia, 2.05 in Bosnia ed Erzegovina, 1.98 in Slovenia, 1.99 in Vojvodina e ultimo, 1.84 in Croazia . Conformemente al censimento del 1981, 15101 donne serbe in Kossovo hanno dato alla luce almeno 5 figli (10038 ad almeno 6 figli). Lo stesso è accaduto a 1400 donne montenegrine in Kossovo
Un fattore di rilevante influenza sul cambiamento del sistema di riproduzione biologica è stata l’integrazione delle donne in tutte le sfere della vita economica e sociale, come il miglioramento della loro posizione all’interno della famiglia e della società, assieme al diminuito tasso di mortalità fra i neonati. L’attività economica, l’occupazione e l’istruzione delle donne danno vita a nuovi e diversi punti di vista sul loro lavoro e sul tempo libero, riducendo così in maniera sostanziale la loro funzione biologica. Come è noto, la posizione socio-economica, culturale e lavorativa delle donne albanesi in Kossovo e in altre parti della ex- Jugoslavia è altamente sfavorevole, come pure il loro potere decisionale nella famiglia e nella società in genere. Nel 1981 il tasso di occupazione delle donne nel settore sociale nel Kossovo ammontava a solo il 15% del numero totale di occupati albanesi ed a solo la metà di quello nelle altre parti della ex-Jugoslavia. La donna albanese è ancora economicamente dipendente (nel 1981 solo il 7.4% delle donne avevano una occupazione e di queste solo il 3.9% nei villaggi) e senza una istruzione (nel 1981 c’era il 26.3% di donne analfabete, con il 29.2% nei villaggi) mentre l’analfabetismo tra donne sopra i 35 anni di età raggiungeva circa il 60% . Fino al 1990 più di un terzo dei parti delle donne albanesi erano “eseguiti” al di fuori delle istituzioni mediche e senza una consulenza professionale, mentre il tasso di mortalità dei neonati raggiunse circa il 55 per mille, con circa il 65% di questo da imputare a cause esterne. Comunque, in seguito al licenziamento dello staff medico albanese (dopo il 1990) dalle istituzioni sanitarie pubbliche, dagli ospedali, dalle cliniche e dalle cliniche “out-patients”, questi e altri indicatori della salute pubblica hanno mostrato ulteriori peggioramenti.
Attraverso il suo impiego nel processo lavorativo, che richiede un adeguato livello di istruzione generale e professionale, una donna ha la possibilità di realizzare le sue ispirazioni, desideri, bisogni, obiettivi ed altri interessi esterni sia alla famiglia intesa come struttura base della gravidanza e della maternità, sia esterni alla comunità stessa. In questo modo essa diventa più mobile all’interno della società e nella scala sociale, sviluppa differenti punti di vista sul matrimonio (età di matrimonio), sul concepimento, sulla gravidanza, la famiglia, la vita e la morte. Questa è la base sulla quale dovrebbero esser presi impegni oggettivi per la creazione di una nuova coscienza e nuove ragioni per una pianificazione familiare, per l’adozione del controllo delle nascite nel matrimonio come per uno stile di vita con un più basso indice di natalità ed una famiglia meno numerosa.
Le cause di questa elevata natalità nel lungo periodo come pure della sua leggera diminuzione tra gli albanesi nella ex- Jugoslavia sono collegate alla prevalente struttura agraria e rurale della popolazione, ai cambiamenti avvenuti lentamente e con ritardo nelle caratteristiche economice, sociali e professionali della popolazione come nella sanità pubblica; sono inoltre collegate al basso livello di istruzione e di alfabetismo, in particolare tra le donne, con una mobilità territoriale e sociale dei cittadini molto bassa; queste sono anche connesse ad un’alta mortalità di neonati e bambini; con il bisogno di figli, specialmente maschi, come forza-lavoro nell’economia di sussistenza, come fattore necessario per la continuità della famiglia, come erede del patrimonio familiare e sostegno per i genitori nella vecchiaia, etc.. Queste ragioni sono state usate per spiegare norme e punti di vista sul matrimonio, inclusa quella del matrimonio in giovane età, dell’universalità del matrimonio, del risposarsi dopo il divorzio, e in particolare, della necessità di una “increased posterity” (accrescimento della discendenza) ...

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Il quadro etnico del Kossovo e la manipolazione serba.

Per più di un secolo la storiografia serba e gli ambienti politici hanno continuato a manipolare la verità sul Kossovo e sugli albanesi, specialmente in relazione al quadro etnico del Kossovo, alla direzione e alla portata delle migrazioni nella ex- Jugoslavia. La principale tesi delle istituzioni scientifiche e politiche serbe, che è stata vigorosamente enfatizzata da qualche tempo, può essere ridotta al fatto che gli slavi del sud, dal loro arrivo nei Balcani, ed i Serbi, dalla loro formazione nazionale, hanno numericamente dominato questa area, mentre gli albanesi, secondo questa tesi, hanno popolato l’area centrale dei Balcani, dove il Kossovo è situato e tutte le altre aree di etnia albanese nella ex-Jugoslavia, verso la fine del 17° secolo e durante tutto il 18°, come “colonizzatori” e “usurpatori” dei territori della “vita spirituale medievale serba”. Comunque queste tesi sono scientificamente infondate e completamente di parte.
I Balcani centrali, per tutta la loro storia, sono stati un’area demografica e geopolitica dinamica, caratterizzata da frequenti conflitti interni e dominata da interessi stranieri come pure da movimenti migratori di popolazioni di varie comunità etniche e confessionali. Comunque, la popolazione albanese, a dispetto delle riduzioni territoriali (conseguenza di politiche espansionistiche dei vari imperi e dei conquistatori) continuamente verificatesi in queste aree etno-geografiche dei loro antenati, gli Illiri, una popolazione indo-europea, é stata dominante in tutti i periodi. E’ sottolineata dai documenti catastali delle autorità Osmanli una massiccia partecipazione degli albanesi a numerose battaglie anteriormente al 17° e al 18° secolo, inclusa la Battaglia del Kossovo nel 1389, come dai documenti medioevali serbi, dai rapporti degli emissari e viaggiatori e da altri fatti scientifici.
La tesi della presunta immigrazione degli albanesi dall’Albania al Kossovo durante gli ultimi due secoli, quando il Kossovo é stato “svuotato” dal movimento forzato dei serbi verso nord, non è sostenibile per diverse ragioni. In primo luogo, un flusso migratorio così forte non era possibile semplicemente per ragioni demografiche, dato che, secondo i documenti turchi, l’Albania del nord nei secoli 15° e 16° aveva circa 2.000 famiglie, mentre i distretti di Prizren e di Dukagjin avevano insieme circa 20.000 famiglie . Questa tesi non può essere sostenuta tenendo in mente che l’Albania del nord è una regione montana poco attiva che non potrebbe avere una così vasta popolazione da stabilire in Kossovo e nelle aree circostanti. D’altro canto non sono stati trovati documenti scritti del tempo che potrebbero confermare la pretesa della storiografia serba che i serbi siano fuggiti verso nord lasciando il Kossovo privo di popolazione.
Le manipolazioni riguardanti la composizione etnica del Kossovo sono state intensificate nel 20° secolo fino ad oggi dai partiti politici serbi e dai circoli governativi per note ragioni. Comunque, sulla base dei dati statistici di tutte le autorità, risulta che gli albanesi siano stati la prevalente maggioranza nel Kossovo nel 20° secolo. Secondo le statistiche turche del 1908-1909, il totale della popolazione del Kossovo era di 506.862. Oltre a questo, il numero degli albanesi nei distretti amministrativi del tempo, riguardante il territorio del Kossovo come è oggi, ammontava a 413.970, ovvero l’81% del numero totale degli abitanti, o 777.152, secondo le statistiche austriache, in tutti i territori di etnia albanese (successivamente inclusi nel Regno dei Serbi, Croati e Sloveni nel 1918 contro la volontà della loro popolazione) . I documenti statistici tenuti dalle autorità austriache durante l’occupazione (1916) registrano un numero assoluto più piccolo di popolazione del Kossovo e di albanesi che può essere spiegato sia dalle carenze nel rilevamento che dall’emigrazione successiva al 1912 e dalle vittime dell’occupazione serba durante le guerre dei Balcani. Ma la percentuale di albanesi rimase quasi la stessa se confrontata con quella riportata dalle statistiche turche. Secondo i documenti austriaci, il Kossovo aveva una popolazione di 460.607 di cui 359.458 erano albanesi, il che significa circa il 78.2 % del totale .
Durante il periodo di esistenza dello stato jugoslavo costituito nel 1918, furono fatti due censimenti: nel 1921 e nel 1931. In entrambi venivano presi in considerazione la lingua e la religione, mentre l’appartenenza nazionale, a causa della politica unitaria della Grande Serbia, venne ignorata. Il censimento del 1931 comprendeva una domanda aggiuntiva sull’appartenenza nazionale, ma era solo una questione formale ed i dati rilevati non sono mai stati analizzati, né pubblicati. Comunque questi dati, oltre che mostrare alcune lacune di carattere metodologico, sono stati oggetto di speculazione, in particolare riguardo il numero della popolazione non slava, albanesi in particolare. Ma malgrado questo i risultati di questi censimenti mettono in evidenza la prevalenza degli albanesi nella struttura etnica della popolazione del Kossovo.
Secondo i dati del censimento del 1921 sull’appartenenza linguistica, l’albanese (o arnautico, come si usa chiamarlo) era la madre lingua di 280.440 degli abitanti del Kossovo, od il 64.1% del totale di 440.929. In base al criterio della lingua furono registrati 441.740 albanesi nell’intero territorio jugoslavo del tempo. In merito all’ appartenenza religiosa, il 73% della popolazione del Kossovo era mussulmana, il 26% ortodossa e meno del 2% cattolico . Il censimento del 1931 ha registrato 552.064 abitanti del Kossovo, di cui 347.213 o 62.8% erano albanesi, in base alla loro madre lingua, mentre secondo lo stesso criterio, il numero totale degli albanesi nell’intera Jugoslavia ammontava a 517.470. In merito alla appartenenza confessionale, la popolazione del Kossovo comprendeva il 72% di mussulmani, il 26% di ortodossi e il 2% di cattolici credenti.
Comunque il numero reale di albanesi viventi in Kossovo e in Jugoslavia era molto più alto. Il fatto che gli albanesi fossero sotto stimati è stato evidenziato da conoscitori della questione albanese, ed anche dei problemi demografici. J. Milaj ha stimato il numero degli albanesi in Jugoslavia negli anni trenta tra le 700.000 e i 900.000 persone , Fan Noli a circa un milione , mentre i sacerdoti Don Bisaku, Don Kurti e Don Gashi li hanno stimati in numero di 800.000-1.000.000 . L’opinione che le stime demografiche sugli albanesi nella prima metà del secolo fossero piuttosto basse è confermata dal censimento della popolazione del 1948 quando, nonostante la consistente emigrazione verso la Turchia e l’Albania tra le due guerre mondiali, e le dirette conseguenze della Seconda Guerra Mondiale (in termini di vittime), insieme ai suoi effetti indiretti (matrimoni ritardati), nel Kossovo erano registrati 498.242 in base all’appartenenza nazionale, ovvero il 68.5% della popolazione totale, mentre ci sono circa 3 milioni di albanesi che attualmente vivono nell’intera Jugoslavia.
All’inizio del 1981 (quando furono tenute dimostrazioni di massa degli albanesi che chiedevano uguaglianza e indipendenza) i circoli nazionalisti serbi e le strutture politiche ufficiali della ex-Jugoslavia formularono un’altra, ancora più assurda, tesi, che doveva essere ripetuta negli incontri sciovinisti e populisti serbi, secondo cui il largo numero di albanesi (300.000 o 400.000 di loro) sarebbero arrivati nel Kossovo nel 1941, e che in conseguenza di questa immigrazione gli albanesi prevalgono nella struttura etnica del Kossovo. I fatti rivelano comunque una situazione completamente diversa: conformemente al censimento del 1981, un totale di 3.311 persone vennero in Kossovo da fuori, di cui 1.543 dall’Albania e , secondo i documenti della polizia, ci sono solo 704 di queste persone che vivono attualmente in Kossovo. Comunque, la tesi di una massa di immigranti dall’Albania fa parte dell’attuale strategia di pulizia etnica del Kossovo. Questo è il sogno secolare dei regimi serbi e rimarrà indubbiamente solo un’aspirazione egemonica e megalomane.
Una tale insistenza dei circoli politici e scientifici serbi sulle sopra menzionate tesi, per esempio sull’argomento demografico, mira a presentare gli albanesi come “colonizzatori” e “usurpatori” dei serbi per dimostrare che solo i serbi hanno un “diritto storico”, e conseguentemente “un diritto naturale di vivere e governare nel Kossovo”, mentre gli albanesi in quanto “nuovi arrivati” non hanno questi diritti storici ed attuali. Questo è inoltre il punto di vista dell’attuale regime serbo. Dal momento che gli albanesi sono diventati cittadini disobbedienti e sleali nei confronti dello stato serbo, i circoli e i partiti dell’estrema destra fascista serba chiedono pubblicamente il loro esilio dal Kossovo per mezzo di pratiche genocide.

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Pulizia etnica dei territori albanesi del Kossovo e loro colonizzazione dopo il 1878.

I regimi serbi, i partiti politici, le istituzioni culturali e scientifiche continuano ad accusare altri popoli di pulizia etnica e di atti criminali di genocidio, benché questi atti li abbiano commessi loro stessi. L’idea di pulizia etnica non è nuova e non ha origine da nessun altra parte se non dai circoli governativi serbi. In seguito alla guerra serbo-turca (1876-1878) ed il Congresso di Berlino nel 1878, le autorità serbe, aspirando a realizzare la loro missione nazionale, maturarono la convizione che meno albanesi fossero rimasti nelle aree liberate dai Turchi meglio sarebbe stato per il paese stesso, di conseguenza chi avesse esiliato il maggior numero di albanesi avrebbe avuto grandi meriti per il suo stato . Allo scopo di dar vita a uno stato serbo puro, le autorità mandarono via con la forza la popolazione albanese da circa 600 villaggi nelle vicinanze di Prokuplje (Toplice, Kosanica, Dobric, Pusta Reka), di Vranje e Leskovac (Poljanica, Jablanica, Masurica, Veternica, Grdelica), dall’area di Ni_ e di tutte le città di questo distretto ( Prokuplje, Kur_umlija, Vranje, Ni_, Pirot, Bela Palanka). Gli albanesi cacciati da quest’area lasciarono tutti i loro beni mobili e immobili . Perfino lo scienziato Jovan Cvijic (1865-1927), nonostante la sua lealtà al regime, ha confermato che solo durante il 1877 30.000 albanesi furono esiliati da Toplice, Jablanica, Pusta Rreka, Poljanice e Klisura . Gli albanesi esiliati, noti come Muhajirs, si stabilirono in Kossovo e nelle sue vicinanze a sud del confine serbo-turco. Ci furono testimoni che ricordavano questo genocidio di massa operato dal regime serbo (di quel tempo) nei confronti della popolazione albanese di queste aree.
Dopo l’occupazione serba del Kossovo nel 1912, il regime serbo ha iniziato a popolare il Kossovo con serbi, e a spingere gli albanesi fuori, verso la Turchia e l’Albania. A questo scopo ha particolarmente intensificato le misure di pressione economica, politica, psicologica e legale così come le torture fisiche e gli assassinii in seguito alla creazione della Jugoslavia nel 1918, incluse una serie di riforme agrarie che miravano alla confisca delle terre albanesi e alla loro distribuzione ai coloni, alle chiese e monasteri ortodossi, all’esercito e alla gendarmeria, alle scuole serbe, agli ufficiali municipali, ai cetnici e agli “optants”. Tra le due Guerre Mondiali, secondo le fonti serbe, più di 11.000 famiglie serbe con circa 54.000 membri e circa 12.000 singoli coloni si stabilirono in Kossovo . Un gran numero di loro si trasferì nell’area confinante con l’Albania, e nelle vicinanze di Dakovica, Pec, Decani, Istoc, come pure nelle aree intorno a Urosevac, Podrimlje, Drenica, Lab, Morava superiore, etc. . La colonizzazione riguarda in maniera predominante le pianure e le aree fertili del Kossovo che offrivano vantaggi in termini di comunicazione. Questo fu il primo flusso di colonizzazione del Kossovo che non mirava alla risoluzione della questione agraria o alla liquidazione delle relazioni feudali, come le autorità di quel tempo affermavano, ma piuttosto a completare l’esilio degli albanesi e la serbizzazione del Kossovo al più presto . Si valuta che tra le due guerre mondiali circa 50.000 albanesi emigrarono in Albania e circa 250.000 in Turchia .
Nella seconda metà degli anni trenta sono stati effettuati studi e ideati piani per la deportazione degli albanesi dalla Jugoslavia facendo ricorso ai mezzi più brutali, incluso l’incendio di villaggi albanesi e dei quartieri della città dove vivevano. I principali promotori di queste azioni genocide furono le istituzioni culturali serbe, l'esercito, e i più importanti esponenti del mondo scientifico culturale e politico serbo come V. Cubrilovic (1898-1990), il vincitore del premio nobel Ivo Andric (1892-1975), D. Mihajlovic (1893-1946), S. Moljevic e altri. Molto tempo prima di questi ideologi della pulizia etnica, ci fu Ilija Garasanin (1812-1874) con il suo ben noto progetto "Nacertanije" del 1846. I sopra menzionati piani hanno anticipato i flussi di deportazione degli albanesi per gradi nel periodo 1939-1944. Comunque, gli eventi che sono seguiti, prima la morte di K. Ataturk nel 1938 ( che voleva accogliere la popolazione musulmana dei paesi balcanici, Jugoslavia, Grecia, e Bulgaria allo scopo di rinforzare la Turchia sotto l’aspetto militare), così come la caduta del governo di Stojadinovic (1939), il crollo finanziario e in particolare lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, hanno prevenuto il completamento dell’esilio degli albanesi.

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La deportazione degli albanesi ed il secondo flusso di colonizzazione del Kossovo.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale la principale preoccupazione della Sebia e della ex- Jugoslavia era quella di porre fine al problema degli albanesi attraverso la loro deportazione in Turchia, e nelle zone desertiche dell’Anatolia, ed attraverso l’assimilazione. Subito dopo la liberazione di Belgrado (20 ottobre 1944), Vasa Cubrilovic, ministro con diversi mandati nel governo del Maresciallo J. B. Tito (1982-1980), presentò un altro progetto, che faceva affidamento sull’uso della forza militare, per l’espulsione di tutti gli albanesi ma anche di altre comunità etniche di origine non slava, (tedeschi, rumeni, ungheresi, italiani, turchi), e la creazione di uno stato etnico degli slavi del sud. L’esilio di oltre 500.000 tedeschi dalla ex- Jugoslavia, in seguito alla seconda Guerra Mondiale, non provocò molte reazioni nel mondo sulla base del fatto che la Germania si era compromessa come stato fascista durante la guerra. Nel caso degli albanesi questo progetto non è stato subito messo in atto a causa delle circostanze, principalmente per le buone relazioni tra Albania e Jugoslavia. Ma non appena le relazioni si interruppero (1948) ebbe inizio un flusso di deportazione degli albanesi su vasta scala sulla base di un rinnovato accordo turco-jugoslavo.
Le principali misure di pressione applicate per esiliare gli albanesi .includevano: la creazione di un clima di paura e insicurezza; pressioni nei confronti degli albanesi perché si dichiarassero turchi nei censimenti della popolazione del 1953 e del 1961; campagne per la ricerca di armi nel 1955-1956, accompagnate da una orribile repressione (più di 50.000 persone torturate) e assassinii (1909) sotto il pretesto che gli albanesi si stavano preparando per la rivolta armata e l’annessione all’Albania; persecuzione dell’intellighentsia e di coloro che lavoravano nel settore dell’istruzione; l’addestramento di gruppi e azioni nemiche; la riduzione di alcuni diritti civili e nazionali, per esempio il divieto dell’uso della lingua albanese e dei simboli nazionali nella vita pubblica, la chiusura dell’Istituto di Albanologia (fondato nel 1953, chiuso nel 1955), della Libreria Nazionale e Provinciale e delle scuole in lingua albanese, il divieto di lavorare ai gruppi che eseguono danze folk, canti, etc. fino al maltrattamento di massa e alla segreta eliminazione fisica della popolazione.
Si ritiene che, dai lontani anni sessanta, quando il processo di deportazione verso la Turchia era discontinuo a causa del cambiamento nel clima politico e dei rapporti di forza nella ex-Jugoslavia, circa 250.000 persone lasciarono il Kossovo ed altre aree abitate dagli albanesi. Ma l’alta natalità, nonostante l’alto tasso di mortalità, dimostrava di essere un potente fattore di compensazione demografica della popolazione albanese. Dovrebbe inoltre essere sottolineato che fino alla fine del sopra menzionato periodo era rigorosamente proibito mantenere contatti con i propri parenti nella loro terra nativa, dal momento che le autorità serbe temevano che le reali informazioni sulla vita in Turchia potessero rallentare il corso dell’emigrazione verso le regioni povere e feudali del paese, per lo più le terre desolate dell’Anatolia. Questi contatti furono possibili solo dopo i cambiamenti nei vertici politici jugoslavi (1966), con il decentramento delle funzioni della ex federazione ed il rafforzamento dell’autonomia del Kossovo (1968, 1974).
Durante l’emigrazione albanese verso la Turchia, prende piede in Kossovo il secondo flusso di colonizzazione dei serbi. Un consistente numero di serbi e montenegrini vennero dalla Serbia e dal Montenegro come quadri (comunque con un’istruzione elementare e secondaria o spesso solo con le basi essenziali), portando con loro le famiglie. Essi trovarono una occupazione principalmente nell’amministrazione e nei corpi statali, nel settore sociale, medico e culturale, nei servizi municipali, etc.. I nuovi arrivati, originari principalmente del sud della Serbia e delle aree di Plav, Gusinje, Titograd, etc., sono oggi, dopo aver completato le loro carriere e guadagnato un patrimonio, ritornati nei luoghi di provenienza, dove avevano lasciato le loro proprietà. Il numero di serbo-montenegrini immigrati nel periodo 1945-1966 è di circa 500.000 persone.
Verso la fine degli anni sessanta, principalmente a causa delle loro preoccupazioni riguardo al futuro, i lavoratori albanesi iniziarono ad emigrare verso Paesi europei più sviluppati, anche se un numero consistente di loro, sia prima che dopo, usassero andare nelle città della Jugoslavia principalmente come lavoratori manuali ed un numero più piccolo come artigiani. Coloro che emigravano erano prevalentemente giovani e uomini. Questo processo è continuato fino ad oggi, ma in circostanze di ancora maggiori pressioni politiche ed economiche applicate dalle autorità occupanti. Il più gran numero di emigrati per ragioni economiche si ha attualmente in Germania, Svizzera, Austria, Italia, Stati Uniti, Australia, etc..

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Emigrazione dei serbi dal Kossovo dopo il 1966 e l’arrivo degli albanesi.

Il periodo seguente al 1966 ha segnato una decisiva svolta politica e sociale nel Kossovo e nell’intera Jugoslavia. I cambiamenti nei più alti livelli della politica e il rifiuto della visione nazionalista ed egemonica della politica di Rankovic, ha posto le basi per un eguale trattamento degli albanesi in Kossovo, insieme con la loro affermazione nazionale e culturale. In questo clima i serbi iniziarono a lasciare il Kossovo, mentre iniziavano ad arrivare gli albanesi dalla Macedonia, Montenegro e dal sud della Serbia, come pure i musulmani dall’area del Sanjak. La emigrazione degli albanesi verso il Kossovo fu una conseguenza della restrizione dei loro diritti civili e politici e della politica, macedone, serba e montenegrina, discriminatoria ed oppressiva. L’introduzione di un certo grado di autonomia nel Kossovo (1968 e più avanti) fu accompagnata dall’apertura di una università (1970) e di un certo numero di scuole secondarie. Gli albanesi provenienti dalle sopra menzionate aree della ex Jugoslavia, hanno iniziato a venire in Kossovo, in particolare a Pristina e negli altri centri urbani, principalmente per l’educazione scolastica. Un numero consistente di albanesi rimase in Kossovo dopo aver ottenuto il diploma o la laurea, poiché non avrebbero potuto trovare una occupazione nelle terre di provenienza, o perché erano stati perseguitati dalle autorità in quei luoghi. Tra di loro ce n’erano diversi che si stabilirono in questa zona per motivi di matrimonio. L’apertura della università di Pristina ha intensificato la migrazione inter-albanese ed i matrimoni hanno aumentato le possibilità degli albanesi di integrarsi nelle diverse sfere della vita. Ma il numero degli albanesi, che sono venuti direttamente nel Kossovo, con le loro famiglie, a causa delle sopracitate ragioni, non era sicuramente piccolo. Sempre dopo il 1981, quando il Kossovo oscillava tra stato di emergenza e stato di guerra, la situazione era ancora più insostenibile per gli albanesi che vivevano nella Macedonia e nelle altre aree, così che numerosi singoli e famiglie trovarono rifugio nel Kossovo, finchè la sua autonomia non fu completamente schiacciata (1989). Naturalmente c’erano state migrazioni anche sul confine Kossovo- Macedonia ma soprattutto per ragioni familiari (matrimoni). Si valuta che dal 1966 circa 45.000 albanesi siano arrivati in Kossovo direttamente dalla Macedonia, Montenegro e Serbia.
L’emigrazione dei serbi dal Kossovo in seguito al 1966 non fu il risultato della pressione esercitata su di loro dagli albanesi, come le autorità comuniste serbo- jugoslave solevano affermare dopo il 1981, quanto per i diminuiti privilegi di cui godevano e per la loro riluttanza ad accettare l’uguaglianza con gli albanesi, ed inoltre per il sentimento di insicurezza dei serbi che lavoravano negli apparati statali e di polizia, a causa delle ingiustizie e dei crimini che avevano commesso nei confronti degli albanesi nel periodo di governo di Rankovic, ed inoltre in vista di una migliore situazione economica in Serbia e degli enormi profitti che avrebbero ottenuto vendendo i loro immobili nel Kossovo, come pure per ragioni familiari e personali, dal momento che un buon numero di coloro che erano emigrati erano di origini coloniche (del primo e del secondo flusso di colonizzazione), etc.. Una parte consistente dei serbi che emigrarono apparteneva ai ranghi degli ufficiali dell’esercito. Si ritiene che, a causa delle suddette ragioni, nel periodo 1966-1981 circa 52.000 serbi lasciarono il Kossovo, con un’aggiunta di 20.000 in seguito al 1981. La maggior parte degli emigrati serbi si stabilì in Serbia, principalmente nella zona urbana di Belgrado (circa il 40%) e in altre città al sud della Serbia. Ma, durante questo periodo, nonostante il bilancio migratorio negativo, vi furono immigrazioni dei serbi in Kossovo a causa dei matrimoni, ed in particolare a causa di incentivi per la ricolonizzazione del Kossovo dopo il 1981.
Dopo la completa distruzione dell’autonomia e della personalità politica del Kossovo nella federazione jugoslava attraverso la polizia e l’esercito nel marzo 1989, l’emigrazione serba è continuata a un tasso ancora più elevato. Ma le autorità serbe hanno scelto di non far proseguire quel processo, dal momento che non potevano più incolpare gli albanesi per questo stesso motivo, sia di fronte al mondo che all’opinione pubblica serba; se le autorità serbe avessero ammesso l’emigrazione serba in seguito alla completa annessione e occupazione del Kossovo, avrebbero operato un aperto riconoscimento della completa sconfitta della loro politica nel Kossovo.

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Emigrazione degli albanesi e sistematico terrore militare e poliziesco dal 1981.

Dopo il 1981, quando l’intera ex Jugoslavia si levò contro gli albanesi e le loro richieste di uguaglianza e indipendenza espresse in dimostrazioni di massa, siebbe come conseguenza che un largo numero di albanesi, prevalentemente giovani, fuggì dalla pressione di uno stato di polizia e di partito. Erano prevalentemente rifugiati politici, mentre più di 140.000 lavoratori albanesi dopo essere stati licenziati dal lavoro dal 1990, intensificarono l’emigrazione per motivi di sopravvivenza. Dopo lo scoppio della guerra in Slovenia e Croazia (1991) e Bosnia ed Erzegovina (1992) i soldati albanesi, non volendo combattere dal lato dell’esercito aggressore serbo-jugoslavo, fuggivano principalmente verso i Paesi occidentali. Attualmente un gran numero di giovani albanesi cerca asilo politico in questi Paesi, se ritornassero potrebbero essere perseguitati dalle autorità militari e reclutati per combattere contro gente innocente; l’esercito nazionale della ex Jugoslavia, nel 1981, aveva iniziato a tenere numerosi processi politici contro i soldati albanesi, e un gran numero di loro furono condannati a 15 anni di prigione, mentre molti furono “liquidati”.
Malgrado alcuni Paesi abbiano introdotto visti di entrata per stranieri sin dal 1991, un largo numero di albanesi ha continuato ad emigrare, individualmente o con le proprie famiglie, verso quei Paesi che erano ancora aperti all’immigrazione ed entrando, attraverso canali illegali, nei Paesi che avevano in vigore il regime dei visti. Numerosi giovani albanesi, sfuggiti alle autorità serbe, trovarono rifugio insieme ai loro familiari, in Turchia, Albania, Macedonia, etc. Un argomento di grande interesse è la partenza degli albanesi, in particolare giovani, oltre-oceano verso gli Stati Uniti, il Canada, l’Australia, etc., dato che la loro temporanea emigrazione potrebbe facilmente trasformarsi in permanente. La più recente ondata di terrore messa in atto dalle autorità serbe, portata avanti sotto il pretesto di ricercare delle armi, influenza direttamente l’emigrazione degli albanesi. Lo stesso scopo è ottenuto con il licenziamento dei lavoratori albanesi ed interferendo a tutti i livelli nell’istruzione albanese (espulsione degli scolari, studenti ed insegnanti albanesi dalla scuola e dall’università, ed anche con un sistematico maltrattamento degli stessi studenti, scolari ed insegnanti).
Crediamo che attualmente ci siano più di 400.000 albanesi provenienti dal territorio della ex-Jugoslavia, ed in particolare dal Kossovo che lavorano e vivono in Germania (circa 120.000), Svizzera ( 95.000 ca.), Austria (circa 23.000), Belgio (circa 8.000), Francia (5.000), Danimarca (5.000), Italia (4.000), Norvegia (3.000), Olanda (2.000), Inghilterra (2.500) Finlandia (6.000), Lussemburgo (circa 200) come pure in Croazia (40.000), Slovenia (circa 15.000), Albania (25.000 circa), mentre il numero degli albanesi che vivono in Bosnia ed Erzegovina è sfortunatamente sconosciuto, sebbene secondo alcune stime ce n’erano circa 30.000 prima della guerra (1992), che vivevano lì con diversi status di residenza.
Durante gli ultimi anni, per ragioni ben note, molti albanesi sono emigrati verso gli Stati Uniti dove si sono ricongiunti alla vecchia e largamente diffusa diaspora, raggiungendo anche l’Alaska, il Canada, l’Australia e la Nuova Zelanda. Si ritiene che ci siano circa un milione di albanesi nei paesi occidentali, di cui metà emigrati negli ultimi due decenni. Questi loro compatrioti farebbero qualsiasi cosa per aiutare il Kossovo occupato e gli albanesi di tutte le aree della ex-Jugoslavia.

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I progetti estremisti serbo-jugoslavi degli anni ottanta per il cambiamento della struttura etnica del Kossovo.

Nel periodo seguente il 1981, é stato avviato il terzo flusso di colonizzazione del Kossovo attraverso il cosiddetto programma jugoslavo sul Kossovo. Questa nuova politica di colonizzazione è parte del programma nazionale estremista serbo che insiste vigorosamente sull’emigrazione dei serbi nel Kossovo allo scopo di raggiungere un equilibrio etnico. Dall’inizio della sua applicazione questo programma faceva assegnamento sui progetti egemonici di V. Cubrilovic del 1937 e 1944 come su quelli degli altri ideologi della Grande Serbia degli anni trenta e quaranta, ed il memorandum dell’Accademia Serba delle Scienze e delle Arti del 1986.
La ex federazione jugoslava e le sue repubbliche, come pure la Vojvodina, investirono una grande quantità di fondi per incentivare, per quanto possibile, un massiccio arrivo dei serbi in Kossovo, con il sostegno della ex leadership comunista albanese in Kossovo. I privilegi per i serbi erano notevoli: lavori sicuri, appartamenti, aree fabbricabili gratuite, crediti a lungo termine senza interessi, salari più alti, ed altri benefici.
Durante gli anni ottanta, i fondi forniti all’interno del programma jugoslavo furono utilizzati per iniziare la costruzione di stabilimenti industriali nelle “enclaves” serbe e nella costruzione di insediamenti segregazionisti, mentre agli albanesi, sempre conformemente al programma, furono offerti impieghi in miniera, nell’industria pesante, nei lavori di costruzione e nei servizi di pubblica utilità (pulizia delle strade) in Serbia e negli altri territori della ex Jugoslavia, secondo quanto si dice per aiutarli a migliorare la loro situazione lavorativa e le loro condizioni di vita in generale. Questo flusso di colonizzazione, apparentemente sotto forma di assistenza al Kossovo, ha iniziato a portare i quadri della polizia in Kossovo, in particolare unità speciali , alti istruttori militari, giudici e amministratori, allo scopo di perseguire una più intensa persecuzione e terrorizzare gli albanesi. L’ex federazione e le sue unità hanno, in questo modo, stimolato la repressione e la segregazione in Kossovo e aperto la strada alla realizzazioni delle aspirazioni di lunga durata della politica egemonica serba.
Nel marzo 1990, la politica statale serba rese evidenti con leggi, progetti egemonici e programmi, che la principale intenzione era quella di cambiare la composizione nazionale del Kossovo attraverso la colonizzazione serba ed una segreta pulizia etnica degli albanesi. Questa piattaforma politica adottata nell’Assemblea generale serba e nei più alti corpi della Lega Comunista Serba, fu supportata dagli appena formatisi partiti politici serbi. In seguito alla disgregazione della ex Jugoslavia, obiettivo strategico della Serbia rimasero le aspirazioni di una Grande Serbia e la serbizzazione del Kossovo. A questo scopo la Serbia, assieme alla persecuzione degli albanesi con metodi repressivi e intimidatori, porta nel Kossovo rifugiati-coloni dalla Croazia, Bosnia ed Erzegovina, e serbo-montenegrini dall’Albania. Questo programma della Serbia era inizialmente sostenuto dall’ Alta Commissione delle Nazioni Uite per i Rifugiati che aveva sede a Pristina. Questi rifugiati venivano sistemati dalle autorità serbe occupanti in varie parti del Kossovo e principalmente nella regioni di Metohija, soprattutto in strutture educative e ricreazionali per scolari e studenti, come pure in stabilimenti turistici e mense. Il numero di questi rifugiati-coloni attualmente non è molto elevato, e conformemente ai dati della stampa serba, ammontano a circa 10.000 persone. Comunque essi sono militanti di partito e prevalentemente criminali di guerra, spinti dal governo serbo contro gli albanesi, secondo le linee direttive della pulizia etnica presentate nel progetto di V. Cubrilovic (1937), che chiedeva letteralmente che in Kossovo, dove il flusso di emigrati “attraversa” territori albanesi, loro potessero subire infiltrazioni da parte di “gente pericolosa, aggressiva che con il loro comportamento eccessivo costringono gli altri Arnauti ad emigrare, ... ed infine a portare coloni provenienti dalle altre parti”.
Non è possibile ricondurre la colonizzazione del Kossovo al tipo classico, dal momento che essa è l’area più densamente popolata in questa parte d’Europa, in particolare in termini di popolazione agraria, con un gran numero di lavoratori potenziali disoccupati, una capacità lavorativa insufficientemente sviluppata, ed un livello veramente basso di possibilità di trasformazione delle materie prime che ha in abbondanza. D’altro canto, la distruzione delle basi economiche del Kossovo e il saccheggio dei loro beni e della sua tecnologia da parte dei governanti serbi, non favorisce un incremento della popolazione. Ma il principale obiettivo dell’occupazione serba rimane il cambiamento della struttura nazionale del Kossovo. Le aree agro-rurali in Serbia stanno per morire e sono di fronte a un collasso demografico, ma le autorità non vi portano i loro rifugiati dalla Croazia, Bosnia ed Erzegovina ed Albania; inoltre le autorità non permettono ai rifugiati di nazionalità musulmana dalla Bosnia ed Erzegovina di stabilirsi in Kossovo.
Ricordando che la colonizzazione, perseguita attraverso il sopra menzionato programma della ex Jugoslavia concepito negli anni ottanta, il programma serbo degli anni novanta ed attraverso il ritorno dei rifugiati, non è riuscita a fornire risultati incoraggianti riguardo a veloci cambiamenti del quadro etnico nel Kossovo, la polizia e le autorità militari serbe oggi portano avanti una politica di sistematico terrore contro i cittadini albanesi, specialmente sui giovani, con l’obbiettivo di spingerli ad abbandonare il Kossovo. Le pressioni più forti sono state esercitate sia nelle aree confinanti con l’Albania, nelle municipalità di Pec, Dakovica, Decani, Istok e Klina, Podujevo etc., il cui motivo in genere è attribuito al mantenimento di armi (che gli albanesi non hanno) secondo gli scenari della ricerca di armi degli anni cinquanta, sia nella persecuzione degli arruolati albanesi, i quali sono fra 18.000 e 20.000 ogni anno. Per poter perseguire una silenziosa pulizia etnica, provocazioni, violenze e terrore si sono scatenate attraverso l’intero Kossovo annesso e occupato.

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NOTE

1) M. Roux, Les Albanais en Yougoslavie, Edition de la maison des sciences de l’ homme, Paris, 1992, pp. 103-158.
2) H. Islami, Kosova dhe shqiptart (shtje demografike), Pena, Prishtin, 1990, pp.89-152.
3) H. Islami, “Zadnja demografska tranzicija v Evropi: primer Kosovo”, Casopis za kritiko znanosti, No. 79-80, Ljubliana,1985, pp. 29-45; H. Islami, “ La population albaneise de Yougoslavie: acroissement numerique et ripartition spatiale”, Population, No. 1, Institut national d’etudes demographiques, Paris,1983, pp 166-173.
4) P. Festy, La feconditè des pays occidentaux de 1870,1970, Institut national d’etudes demographiques, Travaux et documents, Cahier No. 85,PUF, Paris, 1979,pp. 7-47.
5) Xh. Bakrai, “Pozita e KSA t Kosovs si faktor i diferencime interregjionale”, Econimia,n°2,Prishtin,1973, pp.157-159; Aktuelni problemi proizvodne strukture SAP Kosova (Problemi correnti della struttura produttiva della Provincia Socialista Autonoma -SAP- del Kossovo), Ekonomski institut, Beograd, 1970, p.42 e seguenti; M.Limani, “Investicjie i privredni razvoj Socijalisticke Autonomne Pokrajine Kosovo, Zavod za udzbenike i nastavna asredstva SAP Kosova”, Pristina, 1980,pp.227-235; N. Bashota, “Uvodna razmatranja o strukturnoj orijentaciji i ubrzanom razvoju nerazvijenih”, Casopis za kritiko znanosti, N. 51-52, Liubljana, 1982, p.41.
6) Il filosofo serbo S. Stojanovic vede, come uno dei principali fallimenti della politica nazionale nella ex Jugoslavia ,il fatto che gli albanesi ,” raggiungeranno indici di natalità molto bassi solo in conseguenza di conflitti con altri popoli, a meno che non decidanoessi stessi di ridurli”,. S.Stojanovic, “Beleske o jugoslovenskoj krizi i nacionalnom pitanju”, Theoria, No. 3-4; Beograd, 1987,p.28
7) Convenzione sulla Prevenzione e Punizione del Crimine di Genocidio, Human Right: A Compilation of International Instruments, UN, New York, 1988( Articolo II, item d ).
8) Dall’intervista con il famoso vittimologo Prof. Zvonimir Separovic, Start, No. 526, Zagreb, 18 marzo, p.17.
9) In questa occasione la stampa scrisse: “La politica restrittiva sulla natalità è stata applicata per circa un mese. E’ vero che ciò è stato fatto a livello municipale, ma è abbastanza chiaro che l’esempio di Tetovo e della Repubblica Socialista di Macedonia potrebbe servire come modello generale, tanto più che simili proposte sono state fatte anche a livello federale. Nella municipalità di Tetovo è stata presa una decisione per risolvere il problema della esplosione demografica attraverso misure amministrative. L’organizzazione socio-politica e il Consiglio Esecutivo della municipalità ha adottato una risoluzione sullo sviluppo socio-economico della città che include una parte speciale sulla politica demografica Le misure della Risoluzione saranno basate su un modello di famiglia di due, ciò significa che su una famiglia con più di due figli si ripercuoteranno delle conseguenze economiche; il terzo figlio (e tutti i successivi) non avranno l’assicurazione sanitaria e non riceveranno l’assegno familiare...ci saranno emendamenti alle regole che governano la distribuzione delle unità abitative e dei crediti, la determinazione dei livelli di reddito e le priorità per l’impiego ( S. Draguljcic,”Nataliet i Represija- Zakon kroji porodicu”,Danas, No. 311, Zagreb, 2 febbraio 1988, p.68)
10) Nel dicembre 1987 il Parlamento macedone adottò una risoluzione sulla politica demografica della Repubblica Socialista di Macedonia. A questo fece seguito una analoga risoluzione del parlamento della SRFY nel 1989 (Official Gazette of the SFRY No. 27, 28 aprile 1989), il Parlamento della SR serba e il Parlamento della SAP del Kossovo nel 1989. Gli sforzi in favore di una politica demografica restrittiva furono inoltre portati avanti attraverso i comitati delle Leghe Comuniste a tutti i livelli, le alleanze socialiste del Kossovo, Serbia e Jugoslavia, gli istituti per la salute pubblica, il lavoro e la politica sociale federali, serbi e kossovari, l’Istituto per la Pianificazione Sociale,etc., e in particolare la stampa, la radio e la TV. Gli indirizzi fondamentali della politica restrittiva sulla natalità erano tracciati in particolare nel Programma jugoslavo di misure e attività per fermare l’emigrazione di serbi e montenegrini dal Kossovo e dal programma jugoslavo per il Kossovo.
11) In Tetovo, le autorità competenti hanno iniziato la loro lotta contro la natalità “problematica” attraverso una legge. Dato che l’incremento naturale della popolazione in questa municipalità era sostanzialmente oltre il “livello desiderabile”, fu deciso che una famiglia avrebbe potuto avere un massimo di due figli, e inoltre le coppie sposate avrebbero subìto delle “conseguenze economiche”; a partire dal terzo figlio avrebbero dovuto pagare per i servizi medici, le medicine e per le scuole, e inoltre sarebbe stata negata loro l’ assistenza sanitaria.” (“Nataliet i politika”, Danas, No. 310, Zagreb, 26 gennaio 1988, P.30).
12) “Allo stesso tempo il dipartimento di Tetovo del Ministro degli Affari Internazionali ha approvato una decisione che proibisce alle persone senza sicura occupazione di trasferirsi a Tetovo” (S. Drakulic, Ibid,p.68).
13) H. Islami, “Demografski problemi Kosova i njihovo tumacenje”, Kosovo-Srbjia- Jugoslavjia, Ljubljana 1089, pp.39-46.
14) G. Todorovic, “Dejstvo aktivnosti i obrazovanja zene na njeno radanje i stav o njemu na podrucju SR Srbjie”, Stanovivnisvo, N. 1, CDI, IDN, Beograd, 1984/85,p.58.
15) Demografska kretanja i karakteristike stanovnistva Jugoslavije prema nacionalnoj pripadnosti, CDI, IDN, Beograd,1978, pp. 27-31; Saopstenje saveznog zavoda za statistiku,N. 178, Beograd,1983.
16) Demografski razvoj i populaciona politika SAP Kosovo- interna studija, CDI, IDN, Beograd, 1988, p. 62.
17) “Zene stare 15 i vise godina prema vitalnim, etnickim, obravnim i ekionomski obelezjima u Sap Kosovo”, 1981. Censimento della popolazione, famiglie, appartamenti, Ufficio Statistico Provinciale, Bollettino N.47, Pristina, 1984, p.24.
18) H. Islami, Fshati i Kosovs,- Kontribut per studimin socialogjiko-demografik te evolucinit rural, Rilindja, Prishtin, 1985,pp.158-175.
19) Il cardine della pianificazione familiare non è la quantità o il tentativo di avere più o meno figli, ma piuttosto la qualità della riproduzione biologica e gli sforzi per permettere ai singoli, alle coppie sposate, alle famiglie e alla popolazione in genere, di controllare la propria riproduzione. (Vedere: D. Breznik “Demografska kretanja u SR Srbiji i mere za resavanja problema”, Stanovnistvo,N. 3-4/1975 e 1-2 /1976, CDI, IDN, Beograd, p.29; V. Tomsic, “Planiranje porodice i populaciona politika”, Izgradnja drustvenih stavova o populacionoj politici u Jugoslaviji, Beograd, 1975, p.583).
20) Per l’analisi di questa necessità in una situazione caratterizzata da un’economia di sussistenza e da una società di tipo patriarcale vedere: V.St. Erlich,Jugoslavenska porodica u transformaciji - studija u tri- stotine sela, Liber, Zagreb, 1971, pp.262-267; M. Rasevic, Determinante fertiliteta stanovnistva u Jugoslaviji, DCI, IDN, Beograd, 1971, pp.31-39.
21) Per maggiori dettagli vedere i risultati degli studi basati sui dati degli archivi turchi: S. Pulaha, Popullsia shqiptare e Kosovs gjat shek. XV-XVI, Tiran, 1984, pp. 1-685; M. Trnava, “Migrimet e popullsis n trritorin e sotm t Kosovs gjat shkujve XIV- XVI”, Kosova, N.5, Prishtin,1976,pp.289-325;M.Trnava, “Shqiptart n qytetet e Kosovs n shekujt XV-XVI”, Studime historike, N.2, Tiran, 1979, pp. 105-145; M.Trnava, “Popillsia e Prishtins n gjysmn e dyt t shkulit XVI n baz t t dhnave antroponimike t nj defteri turk”, Onomastika e Kosovs, Prishtin, 1979, pp.105-136; A.Handzic, “Nekoliko vjesti o Arbanasima na Kosovu i Metohiji sredinom XV vijeka”, in Simpozijum o Skenderbegu, Pristina, 1969, pp.201-209
22) S.Pulaka, op.cit., pp. 601-659.
23) Shqipnia prpara Konferencs s Paques, Bl i Par (Dokumenta zyrtar t paraqitur nga ana e Drgats Shqiptare qysh prej 12 shkurt e deri m 5 qershor 1919, e t botuem nga ana e Qewerris s Prkohshme), Roma, 1919, pp.35-36.
24) Ibid., p.37 ( completato da dati provenienti da altre fonti)
25) Popis stanovnistva u Klaljevini Srba, Hrvata i Slovenaka 1921, Drzavna stamparija, Sarajevo 1924.
26) Popis stanovnistva u Klaljevini Srba, Hrvata i Slovenaka 1931, Drzavna stamparija, Sarajevo 1934.
27) J.Mlaj, Raca Shqiptare, Tiran, 1944, p.107.
28) F.S.Noli, “Nj tragjedi n tri akte: pasurim, prngulje, farosje”, Liria Kombtare, n.110, Gjenev, 10.aprill 1929; F.S.Noli, Vepra 3, Rilindja, Prishtin, 1988, pp.177-178.
29) La situation de la minorité en Yugoslavie (Memoria prsentata alla Società delle Nazioni da Don Bisaku, Don Etienne Kurti et Don Lous Gashi), Gnve, 5 maggio 1930; questo documento ha 8 annessi che testimoniano l’esilio forzato e la denazionalizzazione degli albanesi da parte del regime serbo del tempo ed è stato presentato al pubblico albanese per la prima volta nel quotidiano “Rilindja” ( oggi vietato) del 31 luglio 1990 (in alcune sequenze) tradotto dal Dr. Rexhep Ismajli.
30) I.Hadzivasilevic, Arbanska liga, Beograd, 1909, p.14.
31) S. Uka, “Vendbanimet e Sanxhakut t Nishit t banuara me popullat shqiptare dhe t przier n vitet 1887/78”, Gjurmime albanologjike- Seria e shkencave historike, XII, Prishtin, 1983, pp. 105-124.
32) J.Cvijic, Onsnove za geografiju i geologiju Makedonije i Stare Srbije, Vol. III, Beograd, 1911. P.166
33) M. Obradovic, Agrarna reforma i kolonizacija na Kosovu (1818-1941), Pristina, 1981, pp.221-222.
34) M. Obradovic, op.cit. p.5.
35) H.Hoxha, “Proces nacionalne afirmacije albanske nacionalnosti u Jugoslaviji: Izabrana poglavlja” , Casopis za Kritiko znanosti, No. 51-52, Ljubljana, 1982, pp. 305-316; H. Bajrami, “Rrethanat shoqrore dhe politike n Kosov m 1918-1941”, Prishtin, 1981,p.177.
36) V. Cubrilovic Iseliavanje Arnauta, Predavanje odrzano u Srpskom kulturnom klubu od dr Vase Cubrilovica, 7. Marta 1937. Godine, Vojno-istorjiski institut, Arhiv bivse jugoslovenske vojske, No. 2, File 4, Box 69; Il testo di questa lettura, data al circolo culturale serbo, é scritto in cirillico e consiste di 19 pagine dattiloscritte; comprese in queste ci sono una mappa, due tavole e due carte; la copia originale è scritta a mano.
37) B. Krizman, “Elaborat dr Ive Andrica o Albaniji iz 1939. Godine”, Casopis za suvremenu povijeest, II, Zagreb, 1977.
38) Vedi il documento dei cetnici scritto da D. Mihajlovic in persona: Dokument br. 37 od 20. 12. 1941. Godine, Arhiv vojno-istorjiskog instituta, Beograd; progetti analoghi furono preparati dai cetnici prima e dopo il 1941.
39) S. Moljevic fu uno dei principali ideologi del circolo culturale serbo per la formazione della Grande Serbia e per l’eliminazione fisica delle nazioni non serbe. Egli partecipò all’elaborazione di diversi progetti con tali obiettivi.
40) V. Cubrilovic, Manlinski problem u novoj Jugoslaviji (Il problema delle minoranze nella Nuova Jugoslavia), 3.12.1944; il documento consiste di 11 pagine dattiloscritte a spaziatura singola ed è scritto in cirillico; insieme a questo ci sono due tavole e una mappa; la copia originale é firmata a mano (la fotocopia di questi testi è in possesso dell’autore di questo testo).
41) Per maggiori dettagli vedi H. Hoxha, “ Kosovo i Albanaci u novoj Jugoslaviji”,in Albanci, CanKarjeva zalozba, Ljubljana, 1984, da p. 214.
42) P.Nushi, “Karakter i obsobenosti prilaza izucavanju iseljenistva naroda i narodnosti Pokrajine Kosovo”, in Iseljenistvo naroda i narodnosti Jugoslavije, Zagreb,1978,p.586.
43) H.Hislami, “Demografski problemi Kosova i njihovo tumacenje”, in Kosovo-Srbija-Jugoslavjia, Ljubljana,1989,pp.46-66.
44) Memorandum SANU, Nase teme, N.1-2, Zagreb,1988,pp.128-163.
45) Vedi il testo con il cinico titolo: “ Programma per il raggiungimento della Pace, della Libertà, dell’Uguaglianza, della Democrazia e della Prosperità” , Gazzetta Ufficiale della SR della Serbia, N. 15, 30 marzo 1990, Belgrado.


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