IDENTITÀ NAZIONALE, MOVIMENTO E NAZIONALISMO
DEI SERBI E DEGLI ALBANESI
di Dusan Janjic
SOMMARIO

Introduzione: l’attuale conflitto serbo-albanese.

1 - L’importanza del Kossovo per le relazioni serbo-albanesi

2 - Quadro storico dell’integrazione nazionale serba ed albanese, e della creazione dei loro stati nazionali

2.1 - Lo stato serbo e l’emergente movimento nazionale albanese

2.2 - Le relazioni serbo-albanesi nello stato jugoslavo

3 - Il nodo del dramma del Kossovo: le relazioni serbo-albanesi

4 - Prospettive future dei rapporti fra serbi e albanesi



Introduzione: l’attuale conflitto serbo-albanese.

Le relazioni tra serbi e albanesi sono segnate al giorno d’oggi da scontri che indicano la presenza di un conflitto inter-etnico: i protagonisti e le loro azioni sono “etnicizzati”. Lo stesso conflitto può essere designato come un “conflitto sociale realistico” , che riguarda lo status degli albanesi e il controllo del territorio del Kossovo. E’ un conflitto tra la maggioranza (che opta per l’isolamento) e la minoranza (che opta per la separazione), dove entrambe le parti scelgono l’irredentismo o il raggiungimento di un grande ideale (la Grande Serbia e la Grande Albania) .
Il conflitto serbo-albanese rappresenta una delle sezioni cruciali nella lunga sequenza di eventi dalla crisi politica allo scontro e alla guerra in (ex) Jugoslavia, e raffigura uno dei più importanti conflitti politici aperti in Europa . Esso non si riferisce solo alla sfera politica, ma si estende a quelle più profonde della vita umana e della produttività. Ha una struttura complessa con forti elementi di un dramma politico e sociale, e per la sua complessità può essere concepito anche come un confronto tra due diverse civiltà: quella ortodossa e quella islamica .
Un ruolo speciale in questo conflitto è giocato dalle nuove elites nazionalistiche e dalle cosiddette politiche negative (colonialismo interno, etnocidio, genocidio e assimilazione). Il regime di Slobodan Milosevic ha provato a stabilire una giurisdizione diretta sul Kossovo, in un primo momento restringendo anzitutto i diritti degli albanesi con una campagna metodica per emarginarli, e fornendo loro motivi sociali, economici e politici per farli uscire dal Kossovo. Gli albanesi sono sotto il dominio del governo ufficiale della Serbia - quello centrale -, ma anche del loro “stato parallelo”. Nello stesso tempo i serbi (e i montenegrini) giocano il ruolo di agenti del Centro e di dipendenti dal Leader. Ciò fa si che si scontrino ulteriormente con i loro vicini, persone che nella maggior parte dei casi vivono in situazioni sociali, economiche, culturali ed ecologiche difficili.

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1 - L’importanza del Kossovo per le relazioni serbo-albanesi.

Il Kossovo ha un’area di 10.908 Km2 e ha circa 1.700.000 abitanti. Nella (ex) Jugoslavia il Kossovo era, ed è ancora nella Repubblica Federale Jugoslava, la periferia e gli albanesi rappresentano un gruppo sociale marginale. I serbi e i montenegrini sono la minoranza nel Kossovo e, nella maggior parte degli ambienti albanesi, vivono nell'insicurezza e nella paura per la loro esistenza sia come nazione ma anche come individui. Gli sforzi per non essere nè una periferia - un gruppo marginale - nè una minoranza minacciata hanno segnato sia il presente che il passato di quest’area.
Particolarmente importante per le relazioni tra serbi e albanesi è lo sviluppo economico del Kossovo. Nel regno jugoslavo la sua struttura economica era in gran parte feudale e basata sull’agricoltura, su un’economia di sussistenza e su varie forme di commercio; si trattava di un modello coloniale. Nella (ex) Jugoslavia il Kossovo ha visto un cambiamento completo nella struttura della proprietà e una modernizzazione accellerata dell’economia e della società ; nondimeno è rimasta la regione più sottosviluppata della ex-Jugoslavia. Tra i fattori che hanno influenzato questo andamento, al centro dell’attenzione e della discussione sono stati posti i cambiamenti demografici. La popolazione del Kossovo è raddoppiata nel periodo tra il 1948 e 1981 , e si presume che nei prossimi 20 anni raddoppierà ancora, visto che metà dell’intera popolazione è sotto i 20 anni e ci si aspetta che si sposi e abbia figli. Il Kossovo possiede le caratteristiche della transizione demografica tardiva di un paese non sufficientemente sviluppato, vale a dire la riduzione significativa dell’indice di mortalità, l’alto indice di natalità che impiega tempo per decrescere e cambiamenti lenti nell’età e nella struttura socio-economica della popolazione. Per quanto riguarda l’indice di natalità, il Kossovo è un’eccezione in Europa e il “baby-boom” che ha sperimentato la popolazione albanese sembra diventare per molti aspetti un modello culturale . E’ indubbio che questo sia anche il risultato di una posizione sfavorevole delle donne nella comunità albanese del Kossovo ; si nota inoltre una marcata presenza dello stile di vita tradizionale all’interno della famiglia e delle comunità albanesi. Inoltre nel Kossovo e nella comunità albanese è prevalente una pluralità di codici di vita e una debolezza nel regolarli che non fornisce un terreno accettabile per l’integrazione sociale basata su principi universali per tutti i suoi membri .
Nonostante molti segnali di cambiamento e modernizzazione, la società albanese nel Kossovo è rimasta rurale; la qualità della vita in Kossovo è migliorata sostanzialmente, e l’aspettativa di vita è aumentata in media di 20 anni. C’è stato anche un vero esodo dalle campagne alle città, dall’agricoltura all’industria. L’urbanizzazione del Kossovo è stata accellerata ma la città, nel modo in cui si è sviluppata, non poteva assorbire questo aumento di popolazione, né tanto meno esercitare un'influenza sostanziale nell'eliminare usi e costumi profondamente radicati.. Ciò era tanto più difficile per il fatto che il Kossovo era chiaramente un’area di emigrazione .
Gli interessi politici e militari nel Kossovo hanno avuto una marcata influenza sulle relazioni serbo-albanesi. Questi interessi derivano anche dal ruolo stesso che il Kossovo ha nelle comunicazioni, determinato dalla sua posizione geografica oltrechè dalla convergenza e conflittualità dei vari interessi di numerosi stati e popoli nel corso della storia . In questo contesto, gli albanesi colpiscono l’attenzione per la densità della loro popolazione nel territorio del Kossovo, parte del sud della Serbia e del Montenegro e l’ovest della Macedonia che confina con l’Albania. E’ il cuore geo-strategico dei Balcani, localizzato nel territorio della ex-Jugoslavia e caratterizzato dalla sua viabilità, da incroci di traffico, e da strade geo-strategicamente percorribili. La maggior parte di questo territorio centrale appartiene alla Serbia, e specialmente il Kossovo che confina con l’ovest della Macedonia; perciò il Kossovo assume una grande importanza geo-strategica anche per la Serbia: geograficamente è localizzato nella periferia, ma senza di lui "il profondo sud del territorio statale della Serbia, in direzione est-ovest a partire dal confine con la Bulgaria, sarebbe ridotto, nel principale asse geo-strategico, ad un centinaio di chilometri all'incirca". Attualmente quest’area è la cosiddetta seconda cintura di difesa strategica in caso di una presunta aggressione della Serbia dai Balcani. D’altro canto, gli esperti militari dell’Esercito jugoslavo stimano che nel caso di un conflitto armato si aprirebbe in quell’area il fronte sud, e ciò porterebbe al coinvolgimento dell’Albania. Così, la posizione geo-politica di Kossovo ed Albania è il reale fattore politico che unisce quest’area in relazioni e interessi geo-strategici globali. Questo anche perchè la costa meridionale dell’Albania chiude lo stretto di Otranto, e il suo porto, Valona, con la su baia e l’isola di Sazan, è attualmente la Gibilterra adriatica che controlla l’entrata e l’uscita da questo mare.

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2 - Quadro storico dell’integrazione nazionale serba ed albanese, e della creazione dei loro stati nazionali

2.1 - Lo stato serbo e l’emergente movimento nazionale albanese

L’integrazione nazionale e la creazione degli stati e delle nazioni dell’Albania e della Serbia, costituiscono processi complessi e prolissi. Includono movimenti convergenti che rendono possibile la cooperazione, ma che spesso mostrano divergenze che invitano al conflitto. Tutto ciò è il risultato di interessi tra loro intrecciati e insieme divergenti, che esistono tra queste nazioni, ma anche di forze esterne.
Una cooperazione politica di un certo valore fra serbi e albanesi cominciò nel 1840. A quel tempo si formarono anche legami più intensi fra gli albanesi cristiani e l’Austria-Ungheria, l’Italia e la Francia .
Prima della costituzione della “Lega di Prizren” fra gli intellettuali albanesi prevaleva una concezione romantica della nazione. Ciò comunque, non diminuiva il potente orientamento anti-slavo del movimento albanese, che tuttavia non fu anti-cristiano .
Verso la metà degli anni ‘80, i contatti fra i serbi e gli albanesi furono incoraggiati dalla crisi del 1885, dalla guerra serbo-bulgara, ma anche dal nuovo movimento albanese contro la Turchia, nella regione di Prizren. Tuttavia era tempo di aperti contrasti tra l’impero austro-ungarico e la Serbia, per il controllo sugli albanesi. Anche questa rivalità conferma che, a quel tempo, la soluzione della questione albanese dipendeva da chi avrebbe dominato in Kossovo e controllato la valle del Vardar con l’accesso a Salonicco. Fu allora che la soluzione della questione della “vecchia Serbia” fu legato al successo della Serbia stessa nel portare il Kossovo sotto il proprio controllo. In quel contesto il tema della sopravvivenza dei serbi in quell’area è di particolare importanza.
La rivoluzione giovanile turca e la crisi relativa all’annessione del 1908 contribuirono a definire l’ideologia nazionale albanese che ha portato alla creazione dello stato albanese. Quello fu un periodo di avvicinamento fra i movimenti nazionali, le ideologie e le politiche dei serbi e degli albanesi . Ma fu anche un periodo di crescenti tensioni fra i circoli dirigenti serbi (la giovane borghesia) e i gruppi feudali albanesi. Ciò dipendeva dalle differenti basi sociali di queste èlites e dalle diverse direzioni dei loro movimenti nazionali. Già a quel tempo, l’ideologia nazionale degli albanesi era sotto la forte pressione della tradizione e della struttura feudo-tribale della società. Una volta plasmata, questa ideologia, nonostante tutte le sue deficienze, persistette come il legame integrativo più forte fra gli albanesi. Essa determinò le relazioni con le altre nazioni e gli stati balcanici, abolendo le identificazioni religiose e i conflitti fra cristiani e mussulmani, sia all’interno degli albanesi che nelle loro relazioni col mondo esterno .
Un importante passo avanti nelle relazioni fra Serbia e Albania fu assicurata dal conflitto turco-albanese che scoppiò in seguito al tentativo turco di istituire la costituzionalità in Kossovo, in particolar modo dopo la sconfitta del sultano Abdul Hamid nell’aprile del 1909. Allora, per la prima volta, i più alti ranghi del governo serbo decisero di estendere il loro controllo sugli albanesi. Questa politica portò alla cooperazione fra Serbia e Albania nella rivolta del 1910 contro la Turchia. Ma poi il movimento albanese cominciò a divenire più forte (a tal punto che nel 1910 a Skopje si formò il comitato albanese che protestò per la questione delle scuole albanesi e per il riconoscimento a livello internazionale della nazione albanese), e - come Lega albanese - causò la cosiddetta crisi di Malisore del 1911. Quel movimento domandò il sostegno della Serbia nella sua lotta per l’autonomia all’interno dell’Europa. La risposta a tale richiesta venne dalla Serbia, in particolare da Mikela Pasic (nel 1912), con una bozza di accordo sulla comunità dei serbi e degli albanesi nel Kossovo Vilajet.
Dunque, tutto questo periodo di relazioni serbo-albanesi manifestò oscillazioni tra alleanze e conflitti, legate principalmente al loro unirsi contro o a favore di una terza parte. Questo periodo annunciò anche lo sviluppo della coscienza nazionale degli albanesi, sotto il potente influsso di vari fattori: il sistema di vita patriarcale e l’organizzazione di tipo tribale; l’autonomia realizzata all’interno della Turchia, difesa - principalmente attraverso l’anti-riformismo - dalle classi feudali albanesi dominanti; la conservazione del sistema di proprietà caratterizzato da piccoli poderi in Kossovo e in Albania; l’assenza di una sola organizzazione politica con un unico programma politico nazionale; la disunione politica, culturale, sociale ed economica e il sottosviluppo della società albanese; l’inesistenza di città come centri nazionali culturali, economici e politici; l’islamizzazione e l’identificazione religiosa che, per molto tempo, hanno creato un rapporto più stretto degli albanesi (mussulmani) alla Turchia che all’idea di nazione, a quel tempo idea principalmente europea (sostenuta dai cristiani albanesi), ecc... In breve dunque, questo periodo di relazioni fra Serbia e Albania, ha significato più conflitti che cooperazione. Visto nel contesto, europeo e liberale del 19° secolo, del modo di intendere il concetto di nazione, di movimento nazionale e di stato, il movimento albanese appare come anti-riformista ed anti-europeo, poichè era legato agli imperi turco ed austro-ungarico, allora in declino ed in uno stadio conservatore. Comunque, quel movimento fu eccezionalmente importante per la politica europea. In aggiunta al significato del movimento albanese in sé, la sua importanza fu in parte dovuta alla relazione di “altri” verso gli albanesi, inclusi anche la politica e il movimento nazionale serbo e la loro relazione con gli albanesi, con i quali i serbi vivevano mescolati nello stesso territorio. L’ideologia nazionale dello stato serbo fece affidamento, innanzitutto, sui risultati della lotta per la liberazione nazionale iniziata (1804) con la prima rivolta serba, e quando emerse il movimento nazionale albanese, anche sul potere della classe media serba, sull'apparato burocratico e sul loro tentativo di estendere i territori serbi e riunire tutti i serbi in un singolo stato.
La concezione burocratica della liberazione e dell’unificazione della nazione serba sarebbe diventata la “nuova tradizione”, nella seconda metà del 19° secolo. Era l’idea di uno stato più grande che univa gli interessi nazionali allo stato e il loro prendere corpo in una monarchia. Si appoggiava su “Nacertanije” di Ilija Garasanin. E, secondo “Nacertanije”, essendo la Serbia un piccolo stato “non deve rimanere in quella posizione” motivo per cui “la base della politica serba non è di limitarsi ai suoi attuali confini, ma di cercare di allargarsi a tutta la gente serba dei dintorni”. La Serbia ne aveva diritto in base alla storia, dato che le radici del suo stato erano di antica data. Anche il liberalismo borghese serbo fece del suo meglio per raggiungere l’unificazione nazionale serba, o il concetto di “Grande Serbia”, nella politica estera. A quel tempo, per esempio, le concezioni del principe Mihailo erano più vicine all'atteggiamento della burocrazia riguardo al "grande stato". D'altra parte, il concetto di “forte e grande Serbia” fu osteggiato solo dal pensiero socialista iniziato da Svetozar Markovic' e continuato dai social-democratici (soprattutto Dimitri Turovic'). Il pensiero dei radicali (cioè di Jovan Skerlic') attribuì primaria importanza all’"interesse nazionale" della Serbia e al bisogno di riforme interne come pure alla sua “scalata” entro i Balcani. In effetti "la risoluzione finale della questione nazionale" fu subordinata all’accettazione della nuova dottrina di politica estera serba. Il creatore di questa dottrina fu Nikola Pasic', ed essa fu espressa nel ben noto slogan “I Balcani ai popoli balcanici”. Questo slogan ebbe inizio dal “principio delle nazioni” e insisteva che ogni popolazione dei balcani “dovesse estendersi fino a raggiungere i propri confini etnografici” e “che i popoli dei Balcani conservassero e difendessero i Balcani dagli stati e dai popoli stranieri che non vivono lì” . Riconoscendo che la Serbia non era in grado di risolvere autonomamente la propria questione nazionale, quella politica patrocinava un alleanza con la Russia; un'espansione ed un appoggio ai movimenti nazionali di liberazione dei popoli sud-slavi entro l’Impero austro-ungarico; un'alleanza con gli stati balcanici. Il margine di una politica estera di questo tipo si spinse verso sud, verso la vecchia Serbia (Novo Pazar, Sanjak e "Kosovo Vilajet"). La popolazione serba, sebbene una minoranza in queste parti, facendo affidamento sullo stato serbo, sull’ideologia e sul movimento nazionale, e richiamandosi al diritto storico ed alla prosperità economica della Serbia, divenne un fattore attivo dell’unificazione con la Serbia. Incontrandosi col crescente movimento albanese (1912) Nikola Pasic' offrì agli albanesi la già menzionata autonomia all’interno della Serbia e, poichè tale proposta venne respinta, arrivò alla decisione di anticipare lo scoppio della guerra nei Balcani per arrivare alla soluzione del problema.
La prima guerra balcanica che terminò vittoriosamente per le alleanze balcaniche, segnò la fine dell’impero Osmanli in Europa e l’inizio della liberazione nei Balcani dall’influenza austro-ungarica. Gli stati balcani così fortificati divennero il terzo fattore nella ridistribuzione dell’influenza internazionale in questa parte d’Europa. La Serbia raddoppiò i suoi territori, ottenne di confinare col Montenegro e valorizzò la sua reputazione straniera. Comunque, ancora evocando i propri incompiuti obiettivi strategici, si rifiutò di fermare la propria espansione militare nel nord dell’Albania.
In polemica con l’impero austro-ungarico, Nikola Pasic', per la prima volta con scopi politici, espresse un punto di vista - diffuso nel pubblico serbo - secondo cui “gli albanesi sono di sangue serbo, hanno cambiato la loro religione sotto l’oppressione e le pressioni del dominio turco”, ed il nord dell’Albania e il Kossovo “sono terre serbe da tempo"; inoltre lo sbocco sul mare è un "interesse vitale della Serbia” dato che “senza di esso la Serbia soffocherebbe e ribollirebbe come in un calderone chiuso da tutti i lati”. Allo stesso tempo Pasic' proclamava: “Abbiamo le istituzioni più liberali che garantiscono libertà e ampi diritti politici a tutti. Inoltre, abbiamo un sistema di rappresentanza per le minoranze, ma, in aggiunta a questi ampi diritti, cercheremo in particolar modo di assicurare agli albanesi l’uso della loro lingua e delle loro scuole, la loro religione e i loro costumi. In Serbia avranno tutti i diritti che pretendono dalla Turchia, i diritti che furono promessi loro ma non dati... Non possiamo rinunciare alle nostre intenzioni, poichè abbiamo bisogno di porti sulla costa per il nostro commercio per la sopravvivenza del nostro stato” . Comunque, sotto la pressione della Russia, cioè delle forze dell’”Entente”, la Serbia fu costretta a ritirarsi dal nord dell’Albania, ma non dal Kossovo. L’impero austro-ungarico rilevò dalla Serbia il “principio etnografico” e il suo “slogan balcanico” come una base per sostenere la creazione dello stato nazionale albanese. Incitato e sostenuto dall’impero austro-ungarico il Consiglio Nazionale Albanese (28 novembre 1912) dichiarò la costituzione dello stato albanese e formò il suo governo capeggiato da Ismail Qemal Bey. Alla conferenza di Londra, la Serbia abbandonò da sé il principio etnografico ed optò per un "confine naturale, geografico e strategico", ricordando che i confini, secondo le “considerazioni etnografiche” di Pasic', in queste aree erano "incerti e impossibili da stabilire .
Sulle basi del trattato di Londra, del 30 maggio 1913, il Kossovo e una parte di Metohija con Prizren, furono date al regno di Serbia, mentre Pec', Djakovica e Istok andarono al regno di Montenegro. Così gli albanesi si trovarono all’interno di stati slavi, situazione a cui il loro movimento si era opposto dal 1878 al 1912 nel suo tentativo di riunire i territori del Kossovo e della Metohija alla Grande Albania .
In seguito all’annessione ufficiale del 7 settembre 1913, il governo di Nikola Pasic' in Kossovo ed in Macedonia applicò la politica delle “soluzioni solide e sommarie” che implicavano che l'ordine borghese-democratico legale del regno di Serbia “non può e non deve essere subito esteso ai territori recentemente annessi” e che “la loro popolazione non può e non deve godere degli stessi diritti della popolazione del regno di Serbia”. Tale politica fu giustificata da ragioni strategico-militari e fu messa in opera “seguendo ordini speciali e straordinari .
Complessivamente, sembra che l’adozione di questo tipo di politica nei confronti degli albanesi, in Kossovo ed in Macedonia, fu influenzata da idee politiche e pretese di conquista e assimilazione degli albanesi. Ancor più importanti furono l’influenza della Comunità Internazionale (specialmente le aspirazioni territoriali dell’impero austro-ungarico e della Bulgaria), gli interessi economici e le necessità della Serbia (la necessità di libera esportazione e di indipendenza economica, raggiunte attraverso il completamento del suo mercato), e l’interesse ad assicurarsi il polso forte per mantenere l'indipendenza politica e l’espansione territoriale dello stato.

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2.2 - Le relazioni serbo-albanesi nello stato jugoslavo

Le relazioni serbo-albanesi, dalla creazione dello stato albanese, passarono attraverso numerose fasi :
-la prima, 1918-1941/45, fu il periodo durante il quale la minoranza albanese (Shqiptari) non aveva diritti specifici garantiti e viveva sotto il dominio serbo, tranne che nel periodo 1941/44, quando all’interno della Grande Albania creata in quel periodo, ebbero successo nello stabilire il dominio albanese sui serbi e montenegrini, in collaborazione con la Germania nazista e l'Italia fascista;
-la seconda fase, 1945-1966, fu un periodo di oscillazione in questi rapporti, che andavano da conflitti armati a tentativi di trovare soluzioni politiche delle dispute, incluse le restrizioni amministrative dei diritti degli albanesi ed anche violenza;
-la terza fase, 1966-1981, fu chiamata il periodo post-Brioni, e fu caratterizzata dal riconoscimento e dalla conferma dei diritti della minoranza albanese su scala abbastanza ampia. Ciò sostenne e incoraggiò la loro emancipazione e la loro affermazione nazionale. Comunque, con il compimento della dominazione statal-burocratica, sia a livello della repubblica serba, sia della provincia del Kossovo, insieme al consolidamento dell’èlite comunista albanese, questa emancipazione crebbe fino al punto di formare un potente movimento nazionale albanese che condusse a conflitti politici;
-la quarta fase, 1981-1992, cioè il periodo che tocca i giorni nostri, è segnata dalla disintegrazione della ex-Jugoslavia e dall’acuirsi dei vari movimenti nazionalistici che hanno portato a conflitti aperti e guerre civili nei territori della ex-Jugoslavia. Il dramma del Kossovo iniziò a formarsi in questa fase. La Serbia stabilì il dominio sul Kossovo e sugli albanesi ed il movimento nazionale albanese cercò di creare lo stato indipendente e sovrano del Kossovo.
Da quando la Jugoslavia è stata creata, i suoi rapporti con gli albanesi sono stati segnati da conflitti politici e armati, che hanno coinvolto anche l’Albania. Fin dal 1918 il governo in Jugoslavia ha condotto una battaglia difficile contro il movimento albanese di “Kacaks” .
Nel Regno di Jugoslavia agli albanesi non venivano garantiti particolari diritti collettivi e le misure di nazionalizzazione, la riforma fondiaria e la colonizzazione erano rivolte contro i rapporti sociali ereditari feudali e tribali, ma anche contro gli albanesi. La terra fu redistribuita in favore di serbi e montenegrini. Nell’educazione, per esempio, contrariamente alle proposte dell’Art. 1 del trattato di San Germain sulla protezione delle minoranze in Jugoslavia, fu perseguita una politica di assimilazione.
La scelta per gli albanesi nella Seconda Guerra Mondiale, fu all’inizio quella a favore o contro la collaborazione, e in seconda battuta, per il loro nazionalismo e dominio sugli slavi del sud o per la cooperazione con i loro movimenti nazionali di liberazione .
Prevalse l’opzione nazionalistica, quella del dominio sugli “altri”, all’interno di una “Grande Albania”, creata per volontà e sostegno dell’Italia fascista e dalla Germania nazista. Questi fatti segnarono l’inizio del periodo di violenza contro i serbi e i montenegrini nel Kossovo, che ha costantemente appesantito i rapporti serbo-albanesi da allora in poi.
L’esperienza della Seconda Guerra Mondiale e la Grande Albania impressero su serbi e montenegrini l’immagine che gli albanesi fossero “inattendibili”. Quell’impressione fu accompagnata da quella di “inaffidabilità” ideologica. Dato che gli albanesi in Kossovo non si erano uniti ai partigiani ed alla rivoluzione proletaria, il loro nazionalismo fu considerato anche come “contro-rivoluzionario” dall’èlite comunista della Jugoslavia e della Serbia, ma anche da una parte dell’èlite albanese kossovara (soprattutto quella inserita nel partito comunista, nell'esercito e nella polizia). Xhafer Deva organizzò la Seconda Lega di Prizren (16 settembre 1943) che, in collaborazione con le autorità di occupazione tedesca, coordinò le attività di numerosi movimenti nazionalisti albanesi. Tra questi il più radicale a quel tempo fu il Comitato Democratico Nazionale di Djakovica, che continuò a operare in Jugoslavia anche dopo che fu stabilito il regime comunista.
I rapporti con la Jugoslavia comunista, come nel caso del Regno di Jugoslavia, iniziarono con conflitti politici e armati. Gli scontri armati si calmarono verso la fine del 1945 e l’attività politica del movimento nazionalista degli albanesi in Kossovo si dissolse. Fu però rilanciata con il supporto dell’Albania, che usò questo movimento nel suo conflitto con la Jugoslavia. All'interno della disputa fra la Jugoslavia e il Cominform, l’Albania si schierò con l’Internazionale Comunista e Stalin. Organizzò e preparò gruppi politici e terroristi per operazioni tra gli albanesi in Jugoslavia .
L’apparizione di Adem Demaqi sulla scena politica kossovara (1958) si manifestò nel ritorno dell’organizzazione nazionalista-separatista degli albanesi nel Kossovo e lo sviluppo dell’idea della “Repubblica del Kossovo”, che fu ipotizzata come guida verso l’unificazione all’Albania.
Nonostante le sue oscillazioni nei rapporti verso gli albanesi, in termini generali il pensiero socialista dei serbi, così come i partiti comunisti della Jugoslavia e della Serbia, cercarono di trovare meccanismi di cooperazione con gli albanesi. Ciò è anche illustrato della Conferenza di Bujan , tenutasi durante la guerra.
L’Assemblea Popolare Regionale del Kossovo e Metohjia, con la partecipazione dei rappresentanti dell’élite comunista albanese, approvò (il 10 luglio 1945) una risoluzione sull’annessione alla Serbia, che, tra le altre cose, sottolineava che gli albanesi godevano “vera uguaglianza” . Ci furono anche numerosi altri atti del governo comunista che puntavano a convincere politicamente gli albanesi.
La Costituzione della Jugoslavia (1946) permise l’apertura delle scuole elementari in lingua albanese; il possesso e l'esposizione di simboli nazionali; l'approfondimento e lo sviluppo della cultura e della tradizione albanese e, cosa più importante, essa stabilì l’autonomia del Kossovo e Metohjia. Nel periodo fra il 1947 e il 1951 fu stabilita la cornice per rinnovare l’economia e per uno sviluppo accellerato di queste aree. Fin dal 1956 il Kossovo era stato trattato come una regione sottosviluppata, il cui sviluppo era finanziato dai fondi aggiuntivi della federazione, dati senza che dovessero essere restituiti. Lo sviluppo delle infrastrutture venne accellerato e, specialmete dopo il 1966, furono stabilite nuove istituzioni nel campo dell’educazione, cultura, informazione, che incoraggiavano l’affermazione dell’identità nazionale albanese. Inoltre, aumentò la rappresentanza politica degli albanesi nella vita del governo e della politica. Ciò condusse ad un alto livello di autonomia degli albanesi nel Kossovo all’interno della Federazione Jugoslava .
Dal 1966 la rappresentanza e l’influenza dei serbi e montenegrini fra le autorità esecutive iniziarono a diminuire così come il loro precedente dominio nell’apparato amministrativo ed esecutivo del Kossovo. Questi cambiamenti produssero in loro insoddisfazione e, ciò che più conta, non vennero incontro al bisogno dell’élite albanese di stabilire il suo dominio. Lo scontento fu manifestato apertamente durante le dimostrazioni degli studenti albanesi (novembre 1968). Le manifestazioni chiedevano lo status di Repubblica per il Kossovo.
Il governo comunista rispose a questi dimostranti con un compromesso politico sulla posizione costituzionale del Kossovo in Serbia e nella Federazione jugoslava. Cominciando dagli emendamenti costituzionali (1968), e finendo con la Costituzione del 1974, il Kossovo e l'altra provincia autonoma (la Vojvodina) furono, di fatto, rese uguali alle repubbliche e ottennero diretta partecipazione nel governo federale. Ciò fu confermato dallo sviluppo di Prishtina in un centro di autorità provinciale (controllata dall’élite albanese) e terreno principale per i manifestanti nazionalisti. Di conseguenza, una asimmetria fu creata tra l’ordine interno della Serbia e quello di altre repubbliche, ma le aspirazioni del movimento albanese erano ancora insoddisfatte. Nel corso del 1979, ciò fu manifestato dal riemergere delle proteste nazionaliste degli albanesi, mentre il governo rispondeva con la repressione.
In base ai cambiamenti costituzionali del 1974, gli albanesi non erano più in una posizione subordinata (il bilinguismo era diventato una condizione per l’impiego nei servizi pubblici; agli albanesi venivano assegnati l’80% dei lavori, in linea con la percentuale della loro popolazione nel Kossovo; “quote nazionali” o di parità erano state introdotte per la distribuzione di impieghi pubblici) . Così iniziò il processo della cosiddetta albanizzazione del Kossovo e lo stabilirsi del dominio albanese. Emerse un sistema di discriminazione che colpì particolarmente i serbi e i montenegrini che si trovavano in una posizione di minoranza. Quel sistema consisteva di tre forme intercambiabili: discriminazione diretta o informale (generare paura e sentimento di essere in pericolo per le strade; violenza fisica; violenza verbale; maltrattamenti; insulti; ecc...); discriminazione istituzionale (nell’impiego, atti di legge, capi amministrativi, ecc...); e discriminazione ideologica (trattamento diverso per gruppi etnici diversi a livello di consapevolezza sociale che nazionalizza e produce discriminazione, la cosiddetta albanizzazione o serbizzazione del Kossovo, a seconda delle circostanze). Il governo comunista cercò di neutralizzare i conflitti tra albanesi e serbi, facendo concessioni alternativamente agli uni e agli altri, e sopprimendo la dimensione nazionale e nazionalistica nel confronto. Naturalmente, i problemi non furono risolti, ma vennero posticipati e seppelliti sotto difficoltà nuove e ancora più grandi. Con l’accoppiarsi del nazionalismo ufficiale dell’élite comunista e il nazionalismo non-ufficiale, divenne ancora più difficile una risoluzione pacifica e democratica dei problemi attraverso il dialogo, perché il potere e l’influenza vennero presi in entrambe le comunità da élites che si escludevano a vicenda. Questo impose il bisogno di una “terza parte”, un “mediatore” .
Dal 1968 al 1981 la richiesta di rendere il Kossovo una repubblica e la sua legittimazione ideologica marxista-leninista presero piede nel movimento albanese . La richiesta dell’unificazione di tutte le aree albanesi, così come di liberazione di Demaqi, confermano l’attaccamento all’idea di unificazione in una Grande Albania. Comunque, con la sua attitudine marxista-leninista il movimento albanese prese una posizione anti-riformista e anti-modernista nel conflitto jugoslavo tra la preservazione dello status quo e la riforma e la modernizzazione. Questa frangia del movimento nazionalista albanese non venne notata neanche dall’élite comunista post-Tito. Immersa profondamente nel processo di etnificazione, quell’élite segnò il movimento e specialmente la sua richiesta per il “Kossovo-Repubblica” come irredentismo.
La richiesta del “Kossovo-Repubblica” divenne il fulcro del dibattito ideologico e politico e dei conflitti. Questa richiesta era contrastata dalla popolazione serba e jugoslava con vari argomenti: una repubblica è uno stato sovrano; non ci possono essere due stati sovrani albanesi, il che significa che essi vogliono l’unificazione in un solo stato e ciò cambierebbe i confini internazionali. Inoltre, non ci possono essere due stati nel territorio serbo perché questi si escluderebbero a vicenda poiché la sovranità dello stato è indivisibile. L’eliminazione della sovranità serba sul Kossovo significherebbe la negazione del diritto della nazione serba all’autodeterminazione, che porterebbe alla secessione e assegnerebbe quel diritto agli albanesi benché essi, essendo la minoranza, non possono possederlo. Le minoranze hanno solo il diritto all’autonomia, ma non a uno stato nazionale. Quel diritto appartiene alle nazioni.
La richiesta per il Kossovo-Repubblica era una presentazione sintetica del programma politico del movimento albanese che si legava a un ideale corporativo-populista, ed esprimeva l’interesse dell’élite burocratica albanese di assicurare per se stessa il completo potere sul Kossovo e sugli albanesi . Naturalmente, l’intera élite albanese non era unanime sul modo di preservare la sua influenza. Nei primi anni ‘80, la maggior parte di essa cercò di stabilire una cooperazione con la leadership comunista serba. Quella parte diminuì col tempo, ma anche alla fine degli anni ‘80 c’era qualche leader albanese (Rahman Morina) che supportava la preservazione dello status quo. Comunque, le richieste di base dei movimenti albanesi andarono oltre allo status del Kossovo definite nella Costituzione del 1974. Quella Costituzione fu usata solamente come argomento a favore della creazione di uno stato separato.

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3 - Il nodo del dramma del Kossovo: le relazioni serbo-albanesi

La Jugoslavia del dopo Tito, come i suoi precedenti, ha iniziato la sua nuova vita con il conflitto serbo-albanese. Un anno dopo la morte di Tito (17 aprile 1981), le manifestazioni albanesi in Kossovo hanno mostrato che la questione nazionale nella ex-Jugoslavia non era stata risolta, come annunciato.
Il decennio degli anni ‘80 fino ai primi anni '90, potrebbe essere diviso in tre fasi di sviluppo della crisi del Kossovo e dei rapporti serbo-albanesi: la prima fase inizia nel 1981 e termina nel 1986. A quel tempo gli albanesi chiedevano il loro stato, “la Repubblica del Kossovo” attraverso manifestazioni pubbliche e l’uso di istituzioni statali, primo di tutti il Partito Comunista; la seconda fase inizia nel 1986 ed è caratterizzata dall’abbandono della visione del Kossovo come prevalente problema jugoslavo e dalla riduzione dell’intera questione alle relazioni serbo-albanesi che la leadership serba cercava di risolvere, tramite una discussione politica su eventuali emendamenti costituzionali, mentre la leadership albanese, con l’aiuto di altre repubbliche e della Vojvodina, oltre al pubblico internazionale (la cosiddetta internazionalizzazione del Kossovo), si sforzava di prevenire il cambiamento costituzionale del proprio status; la terza fase è segnata dal conflitto aperto e dall’aggrovigliarsi del dramma del Kossovo. Culmina nel 1989-1990, con i tentativi delle autorità serbe di invocare il “principio etnico” per costituire la Serbia come nazione etnicamente omogenea, che avrebbe incluso anche i serbi dei territori della ex-Jugoslavia. Comunque, nel loro approccio per una revisione dell’ordine interno della Serbia, e quindi anche della questione del Kossovo, la priorità fu data al “diritto storico” e al “principio di statualità”.
Le cause dell’escalation nella crisi dei rapporti inter-etnici in Kossovo durante questo periodo possono essere classificate in diversi gruppi:
- il primo è costituito dalle cause che riguardavano l’ambiente esterno, specialmente le relazioni tra Albania e Jugoslavia;
- il secondo gruppo è composto dai cosiddetti fattori “tipici jugoslavi”. Tra questi sono particolarmente importanti lo statalismo e la burocrazia; il dominio di una volontà politica sull’economia e sulla società; l’insufficiente sviluppo economico e le sproporzioni regionali; l’assenza di una strategia di sviluppo sia sull’economia che nello sviluppo demografico; la politica della Lega dei comunisti lontana dalla realtà sociale e di conseguenza le politiche della maggioranza degli altri partiti politici; ecc... Tutte queste cause hanno avuto un effetto comune che si è riflesso in una crisi profonda e globale della società. La crisi ha accentuato l’influenza della nazione, gli interessi nazionali e i conflitti.
I processi di accelerazione della differenziazione, da una parte, ed un forte bisogno di integrazione dall’altra, hanno creato la possibilità sia per il rafforzamento dell’autonomia nazionale sia per la rinascita di temi nazionali in diverse forme, sostanze e intensità .
In una società ibrida, tenuta insieme da contenuti politici piuttosto che legata da una solidarietà organica, come era la ex-Jugoslavia, ciò ha creato un ambiente in cui lo stato diventa l’unico fattore di integrazione, centralizzazione e conduzione della società. “Lo stato nazionale” in una società multietnica si è trasformato in un fattore di disintegrazione attraverso l’auto-trasformazione di una economia isolata, autarchica e statalista in una "economia nazionale". Tutti gli interessi devono essere analizzati dai “filtri” delle repubbliche e delle province e presentati come “nazionali”. La reazione a ciò fu manifestata dall’aumento del nazionalismo, che a sua volta ha giustificato e incoraggiato il rafforzamento della burocrazia statale repubblicana e provinciale. Così “la nazione” diventa il principale fattore che legittima l’approccio delle autorità, e lo stato nazionale uno scudo ideale nei conflitti sulla redistribuzione della povertà sociale esistente. Ciò, fra le altre cose, si verifica in uno stato di autarchia già ampio verso la fine degli anni ‘70 ed i primi anni ‘80. Quindi, gli anni ‘80 furono caratterizzati da conflitti fra aree sviluppate e aree sottosviluppate riguardo l’assegnazione del Fondo Federale per lo sviluppo delle aree sottosviluppate. Questo fatto è comprensibile tenendo presente che nel 1983 un dinaro di investimento economico ogni tre proveniva da questo fondo. La percentuale di fondi di investimento in aree sottosviluppate ammontava a: 15 punti in Bosnia Erzegovina, 19,6 punti in Montenegro, 33,6 punti in Macedonia e 100 punti in Kossovo .
Il centro federale stava affrontando difficoltà nel perseguire una soluzione efficiente per risolvere i problemi nell’intero paese e, quindi, anche in Kossovo. Nella sua impotenza, questo centro già nel 1981 aveva instaurato una combinazione di attività di promozione politica inefficienti e repressione (l’uso dell’esercito - Jna - nei conflitti politici interni, l'imposizione dello stato di emergenza e, nel maggio 1983 anche l'affidamento alle unità speciali di polizia federale).
Con l’inasprirsi della crisi Costituzionale, la questione del Kossovo e il conflitto serbo-albanese furono usati per imporre la visione di una delle parti per la risoluzione del conflitto. All’interno della Serbia lo scontro si verificò fra le élites centrali e quelle provinciali, mentre a livello federale il primo a venire a galla fu il conflitto serbo-sloveno (con la Slovenia che utilizzò il movimento albanese per proclamare la propria indipendenza), seguìto dal conflitto croato-serbo. Ciò ha segnato l’inizio dello stadio della cosiddetta kossovizzazione della Jugoslavia, col quale i serbi usavano la grave situazione del Kossovo per affermare il loro messaggio: "E’ impossibile vivere con gli altri" e "La Jugoslavia deve essere modificata".
- Terzo, nel contesto dei fattori "tipici jugoslavi" è importante che il Kossovo sia una parte della Serbia, e numerose conseguenze sono legate a questo fatto. Le relazioni tra Serbia e Kossovo e tra serbi e albanesi diventano le questioni più rilevanti. E’ a queste domande che la ex-Jugoslavia non ha trovato risposta. La chiave che ha complicato tutto riguarda lo status del Kossovo e degli albanesi, ed il fatto che i protagonisti di questo conflitto non sono riusciti a rompere il circolo vizioso tra dominazione e repressione è confermato dagli sviluppi del più recente periodo, che vedremo qui sotto.
- Quarto, i fattori "tipici jugoslavi" acquisiscono caratteristiche specifiche nel contesto del Kossovo. Per esempio un imponente sistema burocratico a livello jugoslavo ha rappresentato nel Kossovo lo stabilirsi dell’onnipotenza di un piccolo gruppo di persone che godono numerosi privilegi e potere illimitato nella disposizione di persone e materiale di valore. Dato l'eccezionale sottosviluppo e isolamento della società, ciò è stato più ampio e dannoso lì che in qualsiasi altro posto della (ex) Jugoslavia. Il divario tra i privilegiati ed il resto della popolazione ha creato terreno per i movimenti popolari. La coppia marxismo-leninismo e nazionalismo ha dimostrato di essere lo strumento più efficiente per radunare e raccogliere le masse sociali marginali così come per raggiungere una unione, naturalmente all'interno della "propria comunità etnica". Così, nella situazione di totale disintegrazione molte persone hanno visto il "principio etnico" come l’anello di integrazione capace di sopprimere la consapevolezza della esistenza di fattori sociali di classe per lo sviluppo e di falsità di quel genere. Nel Kossovo, ciò andava bene sia all’élite serba che a quella albanese, comunista come quella che sostituivano.
L’effetto più disastroso sulle relazioni serbo-albanesi prodotto dalle manifestazioni albanesi del 1981 e dalle risposte repressive delle autorità federali, fu la divisione in due gruppi delle linee-etniche: “noi” e “loro”. Si intensifica tra la gente il sentimento di disperazione che era riflesso in una unica visione: “E’ impossibile vivere qui” . Nella politica serba, questi eventi sono nuovi generatori di conflitti tra diversi gruppi. . Durante questi conflitti il popolo serbo dimostrò un nazionalismo più accentuato che assunse le proporzioni del cosiddetto nazionalismo di difesa, con una forte domanda di creare una “Serbia unita e indipendente”. Ciò era anche espresso nella visione che, in Jugoslavia, la Serbia era sempre stata perdente perché opposta agli altri, e che la Jugoslavia si sarebbe dovuta finalmente occupare delle "falsità del passato". A prima vista sembrava "una ritrattazione disperata", mentre in effetti si è trasformata in un approccio aggressivo. Questo nazionalismo trovava una cospirazione anti-serba quasi ovunque, e collegava senza difficoltà albanesi con mussulmani ed i mussulmani con i fondamentalisti islamici .
Lo strappo nelle comunicazioni inter-etniche in Kossovo ha lavorato a favore di questo nazionalismo. Il sentimento di essere minacciati ed il bisogno di essere organizzati in un gruppo etnico crebbero tra la popolazione serba. La psicosi della rivolta fu supportata dal centro repubblicano e dai media sotto il suo controllo, con lo scopo di contrastare la crescente élite albanese. Comunque, con i conflitti politici in corso e gli ovvi problemi nella creazione di una "Forte e Grande Serbia", la popolazione serba sviluppò la psicologia di un leone ferito. Ciò si fondava sulla percezione dell’esistenza delle due province all’interno della Serbia come di un fattore che “indeboliva” la sua posizione, percezione che si intensificò con l’approfondirsi della crisi jugoslava e l’emergere della possibilità che, una volta disgregata la Jugoslavia, i serbi avrebbero potuto essere divisi in diversi stati, mentre gli “altri” avrebbero raggiunto una sicura unificazione . In questa situazione la gente continuò a credere nella possibilità di “soluzioni veloci e sommarie”, in accordo con la tradizione della costituzione di Vidovdan ben vista dai nazionalisti serbi. Tutte queste soluzioni erano viste come un modo per costruire uno stato forte e ampiamente centralizzato. In quello stato i serbi avrebbero governato, mentre le altre nazionalità avrebbero avuto un ruolo subordinato. Da quel punto di vista qualsiasi decentralizzazione o separazione dalla Serbia non era nient'altro che "un supporto per il separatismo degli albanesi e delle altre minoranze" e la “divisione della Serbia” . Nella coscienza nazionalistica serba il posto centrale era riservato alla convinzione dell’albanizzazione della “Vecchia Serbia”. Così, gli albanesi nel Kossovo non erano autoctoni; avevano lasciato le montagne dell’Albania durante il 17° e 18° secolo, e si erano stabilizzati lì, facendo emigrare i serbi dalla regione. Con l’adozione di massa della religione islamica, nel 18° secolo, anche l’ambiente albanese cambiò, e questo per gli slavi e i cristiani rappresentò una minaccia ulteriore di assimilazione. La possibilità che il Kossovo si trasformasse in una regione “etnicamente pura” e separata dalla Serbia era sentita come un pericolo diretto per la identità nazionale serba. Infatti, il Kossovo diventò una parte del cosiddetto interesse nazionale dei serbi e della Serbia. Esso ebbe senza dubbio un posto importante nella storia ideologica e nella coscienza serba. Questo è il motivo per cui fu possibile il diffondersi della richiesta di porre fine alla repressione albanese sulla minoranza serba, tra la popolazione serba. Il popolo riprese il mito del Kossovo, costruito sulle memorie della battaglia del Kossovo, e il solo menzionare la parola Kossovo evocava il ricordo di vittime, tragedie ed oppressione.
Durante il 1987-88 furono create tutte le pre-condizioni per usare politicamente il mito del Kossovo allo scopo di raggruppare i serbi e, di conseguenza, coinvolgerli nelle guerre contro le altre nazioni . L’attivazione politica del mito del Kossovo raggiunse il suo apice il 29 giugno 1989 a Vidovdan (il giorno di San Vito). Fu allora che la chiesa ortodossa serba, supportata dalle autorità repubblicane, celebrò il seicentesimo anniversario della Battaglia del Kossovo e Slobodan Milosevic' parlò ad un incontro politico organizzato per quello scopo in Kossovo . A quel tempo la gran parte del popolo serbo credeva che agli albanesi del Kossovo fossero garantiti ampi diritti ed un alto grado di autonomia e che perciò la richiesta di una loro repubblica fosse un’espressione di slealtà, distruttiva per l’unità della Serbia e della Jugoslavia, alla quale bisognava mettere fine. In più si credeva che la pigrizia fosse una caratteristica degli albanesi e che i loro scioperi e le loro manifestazioni e disordini impedissero lo sviluppo del Kossovo . In aggiunta, i serbi si consideravano nazione, mentre gli albanesi erano una minoranza etnica e non potevano aspettarsi più del diritto di autonomia. Molte persone in Serbia erano convinte che gli albanesi fossero incapaci di uno sviluppo nazionale moderno.
E, mentre nel 1986, il movimento nazionalistico albanese sembrava essersi calmato, crebbe la protesta serba . Queste proteste erano guidate dall’élite comunista locale di Kossovo Polje, che chiedeva cambiamenti, come ad esempio il ricambio della leadership nel Kossovo, nella Serbia e in tutta la Jugoslavia, per la loro incapacità di “comprendere sufficientemente” la posizione dei serbi e montenegrini nel Kossovo. Il che creò un miscuglio esplosivo di nazionalismo ufficiale (dall’oligarchia burocratica e dell’élite del partito serbo) e nazionalismo non-ufficiale da una parte, e demagogia politico-sociale e populismo dall’altra. Ciò, più tardi, fu etichettato come “rivoluzione anti-burocratica” e “affermazione della gente” dai media serbi e dalla fazione comunista di Slobodan Milosevic'.
Nel luglio 1986 questo movimento di serbi e montenegrini aumentò la sua pressione sulle autorità federali (Assemblea Federale e leadership del partito federale), andando a Belgrado ed organizzando frequenti proteste politiche sul tema del mancato adempimento delle responsabilità della Federazione nella risoluzione della questione del Kossovo e nella soppressione del nazionalismo albanese.
Il centro organizzativo di questo movimento si integrò attivamente nei conflitti intra e inter-repubblicani tra fazioni della burocrazia comunista . I tentativi delle autorità federali di rispondere a questo cambiamento portarono a una rilancio temporaneo degli interventi per “stabilizzare” la situazione nel Kossovo. Ma questo fece riemergere la questione se il Kossovo fosse un problema serbo o jugoslavo. Ciò aumentò e inasprì le relazioni tra serbi e albanesi e la situazione del Kossovo. La presidenza della SFRY cercò di riportare la situazione sotto controllo (25 ottobre 1987) mandando la polizia federale nel Kossovo. Cercò in ogni caso di restare al potere, aumentando i conflitti con il gruppo comunista locale di Kossovo Polje.
Durante il 1988 furono organizzati “gli incontri per la verità” e “la campagna di solidarietà con i serbi e i montenegrini del Kossovo”. In una situazione di conflitti politici tra leadership comuniste repubblicane sul tema del Kossovo, si aprì una vera e propria guerra di propaganda tra le repubbliche preparando il pubblico a conflitti inter-etnici maggiori. Nel novembre 1988, la leadership provinciale reagì alla sostituzione del leader comunista Azemi Vllasi con una grande manifestazione di albanesi, mentre la leadership serba rispose cominciando un cambiamento costituzionale e restringendo i poteri delle autorità provinciali.
Nel febbraio 1989, con le continue proteste albanesi, la leadership federale, sotto la pressione della Serbia, mandò l’esercito in Kossovo. In marzo i conflitti tra l’esercito e i manifestanti albanesi culminarono con la morte di 24 persone e centinaia di feriti. Nello stesso mese Azem Vllasi con altri 16 importanti leader albanesi di quel tempo furono condannati per “attacco contro-rivoluzionario all'ordine sociale”, ad esempio per aver organizzato lo sciopero dei minatori a Stari Trg e le manifestazioni politiche nel Kossovo . Qualche tempo dopo, comunque, furono assolti su pressione del pubblico internazionale e jugoslavo. Ad ogni modo, la violazione dei diritti umani ha inaugurato un nuovo modo di "trattare" le richieste politiche albanesi. La sfiducia aumentò e il divario tra comunità serba e albanese nel Kossovo divenne più profonda, toccando proporzioni mai raggiunte prima. Organizzazioni politiche separate etnicamente divennero la sola forma di organizzazioni politiche. Vennero istituite guardie nei villaggi (per esempio le guardie serbe nel villaggio di Prekale). I cittadini erano armati e pronti per scontri violenti. Questo corso degli eventi fu supportato dai media e delle autorità. In seguito alla revisione costituzionale del 1989, le province del Kossovo e della Vojvodina persero gli attributi di statualità (veto costituzionale, parti della legislazione, funzioni amministrative e giudiziali). La fine dell’autonomia politica-territoriale del Kossovo (e della Vojvodina) portò ad alcuni cambiamenti nelle relazioni tra le repubbliche. La prima risposta venne dalla Slovenia (il 27 settembre 1989), che nel perseguire la sua politica di “correr via dalla Jugoslavia”, per paura di una egemonia serba, proclamò la sua indipendenza e la secessione. Ciò fu la conferma che il problema del Kossovo, le questioni tra serbi e albanesi, non erano i soli problemi straordinari; c’era anche la questione slovena, croata, macedone, mussulmana, ecc... In effetti, tutti questi temi nazionali pesavano gli uni sugli altri . L’inizio del pluralismo politico creò la possibilità per manifestare più apertamente i problemi. Questo, in ogni modo, è un passo verso la democrazia . Comunque, ridurre la democratizzazione all’anti-comunismo nazionalista fece crescere l’intolleranza e i conflitti. La reazione degli albanesi fu massiccia, poiché molti di loro credevano che il cambiamento dello status costituzionale della Provincia li privava direttamente di numerosi diritti. Il movimento albanese ricevette nuovo impulso. Il regime rispondeva con la repressione e la violazione dei diritti umani. Vennero introdotte anche alcune misure di discriminazione contro gli albanesi . I serbi, simbolicamente come comunità e come élites in termini reali, ottennero la posizione di minoranza privilegiata, che operava in linea con i bisogni del centro repubblicano ed esercitava il controllo sull’autorità esecutiva e sulla polizia, con lo scopo della segregazione etnica. Questa si diffuse in tutti i settori della vita.
Nel gennaio (il 22 e 23) 1990 manifestazioni politiche degli albanesi chiesero le libere elezioni, la liberazione dei prigionieri politici e l’abolizione dello stato di emergenza. Questo intensificò le tensioni tra le autorità della ex-Jugoslavia e la Serbia, così come tra i serbi ed i montenegrini da un lato e gli albanesi dall’altro .
Il corso degli eventi alla fine degli anni ‘80 ebbe due conseguenze: primo, la politica nazionalistica di Milosevic finì per mobilitare i serbi contro gli albanesi nel Kossovo e introdusse alcuni elementi di democratizzazione in Serbia, ma fallì nello stabilire un controllo efficiente e democratico sul Kossovo; in secondo luogo, il Kossovo e i conflitti serbo-albanesi rimanevano ancora la sfida maggiore per la sopravvivenza della costruzione interna nazionale e statale della Serbia.
Durante il 1990, i cambiamenti nell'attività del movimento albanese, come per esempio la campagna per assolvere e perdonare le vendette di sangue, segnalarono in questo movimento - fino ad allora uno dei più esplosivi in questa parte di Europa - qualche indicativa riduzione dell’aggressività. Ciò fece sì che, in cambio, lo stato nazionalista serbo apparisse più aggressivo. In effetti, quella che era presentata come resistenza nonviolenta, specialmente da parte della leadership politica albanese, era una somma di decisioni politiche pragmatiche iniziate nel periodo tra il 1988-89 quando le manifestazioni di massa albanesi erano organizzate per difendere l’autonomia del Kossovo.
Nel marzo 1990, le misure repressive dello stato serbo assunsero proporzioni maggiori. Circa 7.000 persone furono arrestate. Poi, la leadership albanese cercò di eliminare od al limite diminuire il rischio di qualsiasi manifestazione pubblica. Con l’inizio della guerra in Croazia e in Bosnia-Erzegovina, apparve ovvio il tentativo di non coinvolgere gli albanesi nella guerra. Nello stesso tempo crebbero radicalmente le richieste politiche. Ciò è documentato dal fatto che il 7 settembre 1990, durante una sessione illegale a Kacanik, due terzi dei rappresentanti albanesi nella assemblea provinciale promossero la cosiddetta Costituzione di Kacanik, che chiedeva una repubblica indipendente per il Kossovo. Seguì poi un referendum sull’indipendenza, nel settembre 1991, e le elezioni per il Parlamento e il Presidente della Repubblica del Kossovo nel maggio 1992 .
Poi, tra i circoli dei comunisti e l’opposizione in Serbia, emerse l’idea di esiliare gli albanesi “infedeli” in Albania. Si parlava di circa 300.000 emigranti dall’Albania che non avevano regolarizzato il loro status in Serbia ed in Jugoslavia ed erano coinvolti in attività politiche ostili in favore degli interessi albanesi. Ma le fonti ufficiali più tardi confermarono l’esistenza di sole 732 persone emigrate dall’Albania e che non avevano regolarizzato il loro status. La situazione fu resa ulteriormente drammatica dall’intossicazione di numerosi alunni albanesi nel Kossovo. Nonostante il fatto che le responsabilità di questo incidente, così come gli organizzatori e i colpevoli dell’intossicazione, ad oggi siano ancora sconosciuti, non c’è dubbio che esso fu “la goccia” che scatenò mobilitazioni emotive e politiche di massa e preparò gli albanesi ad abbandonare le istituzioni e le norme della Serbia e della Jugoslavia (il cosiddetto boicottaggio). Dall’altro lato, i serbi rafforzarono la loro immagine degli albanesi come primitivi e maliziosi. Ciò facilitò lo stabilirsi del controllo delle autorità repubblicane sulla polizia, sulle istituzioni mediche, sulle scuole e di conseguenza, sull’economia e sui media in Kossovo. Il Governo e il Primo Ministro provinciali furono dimessi e sostituiti da uomini di fiducia del centro repubblicano. Le autorità della Serbia in due occasioni (nel 1989 e 1990) imposero lo stato d'emergenza. Benché queste misure fossero usate con riferimento all’Art. 4 dell’Accordo Internazionale sui diritti politici e civili e riportate al Segretario Generale delle Nazioni Unite, alcune di esse violarono la Costituzione jugoslava. Le autorità in Serbia sostituirono il rappresentante del Kossovo, Riza Sapunxhiu, dalla sua posizione nella Presidenza della SFRY (18 marzo) con un “albanese fidato” Sejdo Bajramoviq (21 marzo).
Una specie di cornice ideologica-politica generale per questo tipo di comportamento delle autorità serbe fu trovata nel “programma per la pace, la libertà, l’uguaglianza e la prosperità della Provincia Socialista Autonoma del Kossovo”, adottato dall’Assemblea della Serbia il 22 marzo 1990.
Questo programma in sei punti prevedeva che bisognava usare tutti i mezzi compatibili con uno “stato legale” per assicurare pace vera, libertà e piena sicurezza alle persone e alle proprietà serbe e montenegrine, così come alle altre "nazioni e nazionalità minacciate in Kossovo"; che i cittadini albanesi dovevano godere di "piena uguaglianza nazionale e promuovere le tradizioni nazionali, la libertà religiosa e tutte le conquiste civili"; che l’esercizio dei diritti umani doveva essere garantito a tutti i cittadini del Kossovo; che l’ ”ingiustizia” fatta ai serbi e ai montenegrini doveva essere corretta e che sarebbero state create le condizioni per il ritorno nel Kossovo di tutti coloro che volevano vivere e lavorare lì; che sarebbe stata creata una Direzione per la promozione dello sviluppo economico e sociale, attingendo dai fondi della Serbia (perciò “passando sopra” una delle funzioni della Federazione). Particolare attenzione dovrebbe essere prestata al punto 6 del Programma, che annunciava lo stabilirsi di uno “stato legale” efficiente e autorizzava il Parlamento della Serbia ad annullare le leggi e le decisioni del Parlamento del Kossovo che fossero in contraddizione con la Costituzione della Serbia e perfino con i principi di questo Programma. Il Programma era accompagnato da un “Piano operativo per la realizzazione dei temi stabiliti dal Programma per la realizzazione della pace, libertà, uguaglianza, democrazia e prosperità della SAP del Kossovo”.
Con questa politica vennero introdotte numerose leggi, come la “Legge per l’azione delle istituzioni repubblicane in circostanze straordinarie”. L’art. 2 punto 4 fornisce lo spazio per imporre misure temporanee. L’applicazione di questa legge, in particolare l'imposizione di misure specifiche, fu assicurata dall’Assemblea della Repubblica serba (con l'approvazione della “Decisione per identificare la necessità di circostanze specifiche nel territorio della SAP Kossovo” e la sua pubblicazione nello stesso giorno - 26 giugno 1990). Le misure così introdotte erano collegate più a singoli casi che alle funzioni vitali o all’intera vita in Kossovo, caratteristica invece delle precedenti misure straordinarie. Le misure temporanee permisero di prendere il controllo delle funzioni direttive in economia, nei servizi sanitari, nell’educazione, nell’amministrazione e nella giustizia. Nella maggior parte dei casi gli albanesi furono sostituiti da serbi e montenegrini e seguirono licenziamenti di massa. L’Assemblea, il Consiglio Esecutivo e la Presidenza della SAP Kossovo furono sciolti il 5 luglio 1990.
Seguirono numerose decisioni e misure che andavano contro l’interesse della popolazione albanese di governarsi autonomamente sui temi dell’educazione, dei servizi per la salute, ecc... Ciò fu seguito dalla chiusura delle scuole e dal licenziamento degli insegnanti, così come dalla limitazione nelle iscrizione alla scuola in lingua albanese; in più furono sospesi i finanziamenti alle scuole che “non seguivano” il curriculum unico della Serbia.
Ci fu poi un’altra legge ancora approvata sul Kossovo, la “Legge sulle condizioni speciali per il commercio dei beni immobili”, che può essere considerata discriminatoria per gli albanesi ma anche per tutti gli altri cittadini.
Questi esempi mostrano che ci sono alcuni elementi di una politica di discriminazione, assimilazione e persino genocidio. Comunque, è ovvio che nella Serbia attuale la situazione è principalmente quella della non-esistenza di una autorità efficiente e della legge. E’ lo stato che si trova nello stadio di “personalità scissa”: da una parte ci sono le vecchie istituzioni sotto l’influenza del volontarismo e soggettivismo, e cioè degli interessi serbi definiti in modo nazionalistico che stanno crollando, e dall’altra parte c’è il nuovo stato emergente, la Repubblica Federale di Jugoslavia, incapace di definire se stesso. La crisi di identità, l’inefficienza e la non-democrazia delle autorità affliggono tutti i cittadini, in particolare le minoranze e, soprattutto, gli albanesi.
L’anno della guerra in Jugoslavia, il 1991, iniziò il 1° gennaio con gli spari dei nazionalisti albanesi a Pec' e Mitrovica. Il 16 febbraio a Francoforte, 7.000 albanesi e croati manifestarono chiedendo “l’auto-determinazione dei popoli in Jugoslavia e protestando contro la guerra in Croazia”. In settembre gli albanesi condussero il loro referendum per un “Kossovo sovrano e indipendente”. Il Parlamento serbo rispose abolendo l’Accademia delle Scienze del Kossovo (16 ottobre). I rappresentanti di 11 partiti politici albanesi in Jugoslavia firmarono (il 17 ottobre) una dichiarazione politica per “l’unificazione di tutti gli albanesi”. Già il 22 ottobre, l’Albania “riconosceva l’indipendenza del Kossovo”. A dicembre (il 13) iniziò il conflitto tra i rappresentanti degli albanesi nel Parlamento Federale e le autorità serbe. Di fatto, 16 rappresentanti si appellarono al Segretario Generale dell’Onu e accusarono le autorità in Serbia e l'esercito federale di un “massacro armato contro gli albanesi”, richiedendo l’invio delle forze di pace ONU nel Kossovo. Il 23 dicembre fonti non ufficiali rivelarono che la Repubblica del Kossovo aveva contattato la Comunità Europea con una richiesta di riconoscimento della sua indipendenza . Durante il 1991 la spirale del conflitto ed il movimento politico raggiunsero l’apice, ma entrambe le parti, e specialmente gli albanesi, sembravano aver rinunciato all’uso della violenza e della repressione. Ma ciò non significava ancora che essi fossero pronti al dialogo. Al contrario, entrambe le parti interruppero tutte le comunicazioni politiche e negarono l’esistenza reciproca. Non sembrano esserci dubbi, però, che il 12 giugno 1991 si manifestò una sostanziale novità nel metodo di azione del movimento albanese. Veton Surroi organizzò a Prishtina manifestazioni albanesi con lo slogan di: “Seppelliamo la violenza attuale creata dalle autorità serbe”. Queste dimostrazioni attirarono l’attenzione di molti analisti per il fatto che il movimento albanese presentava numerose caratteristiche dei moderni movimenti civili. Il confronto con l’Intifada palestinese divenne luogo comune nelle analisi, ma anche nelle affermazioni politiche dei leaders albanesi. Più tardi questi confronti furono sostituiti dall’immagine di una “nonviolenza gandhiana degli albanesi”.
Il movimento albanese, oggi, enfatizza la sua resistenza alla repressione di Milosevic' come una fonte della propria identità. Ma in termini di una identità nazionale moderna, è incapace di raggruppare tutte le componenti nazionali in un movimento unitario. Quindi l’eruzione delle proteste durante gli anni ‘80 e nei primi anni ‘90, ha avuto più le caratteristiche di una ribellione individuale che di una strategia ampia. Ciò era determinato da diversi fattori, tra cui i più importanti sembrano essere:
- primo: conservazione della legge comune tradizionale e delle comunità locali come base del movimento nazionale. Ciò rafforzò una attitudine “introversa” degli albanesi;
- secondo: il processo di modernizzazione ha scosso la società tribale ed ha distrutto alcune sue istituzioni, ma è fallito nel proporre un nuovo modello di società. I resti della società tribale e gli inizi di una società moderna erano tenuti insieme da legami politici. Questo ha intensificato le tensioni tra l’ambiente sociale ed il modo tradizionale di intendere l’identificazione. La frammentazione sociale ha creato difficoltà nel mettere insieme i vari gruppi in un movimento ampio. Inoltre, i rapporti economici nella (ex) Jugoslavia hanno creato nuove tensioni. Si sono stabiliti rapporti di tipo centro-periferia. In quel contesto, la Slovenia e la Croazia erano il centro economico (o i centri), la Serbia il centro politico, mentre il Kossovo era la periferia. Ciò generò il bisogno di un'ampia mobilitazione politica (nazionale) come modo per reagire alla marginalizzazione sociale, ma dall’altro lato bloccò questa mobilitazione per la grande dipendenza dal centro;
- terzo: il Kossovo ha avuto un alto livello di autonomia (auto-amministrazione) fin dal 1974 che ha reso difficile la mobilitazione per quasi 15 anni. Le richieste di autonomia sono diventate una causa potente per la mobilitazione solo dopo che l’auto-amministrazione degli albanesi e del Kossovo sono state ristrette;
- quarto: la (ex) Jugoslavia fu stabilita con l’idea socialista come valore di base legittimo. L’idea del socialismo ha prevenuto l’idea che la nazione potesse divenire il valore principale per la mobilitazione ;
- in ultimo: il vero obiettivo-guida del movimento albanese - lo stato indipendente del Kossovo - è l’obiettivo finale. L’assenza di obiettivi temporanei o transitori difficilmente può essere vista come un fattore positivo per qualsiasi movimento politico perché esso implica la massima mobilitazione per richieste difficili da ottenere. Il risultato è l’esaurirsi delle masse e il complicarsi dello spazio politico per il dialogo. Tutto ciò dimostra che il movimento albanese in Kossovo è, dopotutto, un movimento sociale arcaico che non può raggiungere una coesione moderna, ma può mettere a repentaglio l’intera politica territoriale della Serbia e della Macedonia. Dunque, questo movimento ha generato il sentimento di “essere in pericolo” all’interno della Serbia e ha moltiplicato la richiesta per una “soluzione finale”. Il rapporto di questo movimento con il regime di Slobodan Milosevic' al potere è diventato assurdo. Da una parte, la sua identità e la legittimità furono costruite sulla resistenza a questo regime, mentre dall’altra il suo radicalismo ha imposto una cornice di autoritarismo e sciovinismo ed ha precluso un maggiore sviluppo dell’opposizione interna serba al regime, inibendo così la democratizzazione della Serbia. Indubbiamente, la democratizzazione della Serbia avrebbe imposto da sola metodi democratici e istituzioni per la regolazione delle relazioni serbe-albanesi, ma ciò avrebbe avuto bisogno dell’esistenza di un movimento nazionale moderno degli albanesi con una strategia coesiva. Adesso, i rapporti serbo-albanesi sono dominati dallo scontro di due autoritarismi sciovinistici, che in ogni caso non sono comparabili per potere e organizzazione. La parte albanese ha cercato di compensare le sue mancanze, da un lato attraverso la cosiddetta internazionalizzazione della sua questione, e dall’altro costruendo istituzioni e modi di vita paralleli. Per questo scopo sono state imposte raccolte di tasse mensili tra artigiani e cittadini, per un ammontare di circa il 3% dei loro profitti; i giovani albanesi sono stati invitati a non servire nell’Esercito jugoslavo; sono state boicottate le istituzioni statali (ospedali, scuole, università) e si sono fatti tentativi, attraverso progetti umanitari e specialmente il Fondo di Madre Teresa e l’assistenza internazionale, di costruire un “sistema parallelo di servizi per la salute e l'assistenza sociale”; sono state organizzate scuole parallele e università, con programmi rivisti nell'interpretazione della storia, della geografia e della società albanese-illirica .
Gli argomenti usati più frequentemente dalla leadership albanese comprendono: gli albanesi in Kossovo possiedono tutte le condizioni richieste per essere riconosciuti come “popolo” e nazione. Essi hanno la loro identità etnica, linguistica e culturale, la popolazione del territorio è compatta, contano su una maggioranza democratica e hanno un programma nazionale definito. Hanno anche dimostrato di avere il controllo totale della comprensione e della volontà politica, e quindi le capacità di costruire una comunità capace di auto-governarsi ; il Kossovo, per gli albanesi, non è più in Serbia. Ciò è stato dimostrato attraverso molte forme di negazione politica della Serbia e della Jugoslavia. Viene rifiutata la partecipazione alle istituzioni della vita politica in Serbia perché ciò dimostrerebbe il riconoscimento della legittimità del regime, come spesso è enfatizzato da Rugova. Questo rifiuto di accettare che il Kossovo è in Serbia ha portato alla “fiaba dei Balcani”, dove la realtà crudele è stata sostituita da finzioni politiche e da conflitti. In politica, ciò si è manifestato nel “falso realismo” dei leaders nazionalisti. In effetti, “il padre della nazione”, per sua volontà e parola, ha formato la cornice entro la quale la maggioranza della popolazione è costretta a vivere “senza calcolare i costi” e la qualità di quella vita.
Secondo l’immagine politica prevalente che gli albanesi del Kossovo hanno di sé stessi e degli “Altri” (cioè i serbi e la Serbia), la realtà potrebbe essere riassunta come segue: il nazionalismo sviluppato tra i serbi supporta la sostanza della loro politica nazionale. I serbi si sono uniti al richiamo di quella politica, che ha al suo centro il mito del Kossovo. Essi si sono uniformati completamente, non solo contro gli albanesi, ma contro il mondo intero, così da diminuire le conseguenze negative dalla loro politica. Gli albanesi, temendo il regime anti-albanese, si sono riuniti più spontaneamente che intenzionalmente, a difesa del loro corpo nazionale. Il programma nazionale serbo è più pericoloso per gli albanesi del precedente “sistema monistico”, perché ha tolto i pochi diritti umani individuali e personali che avevano. Secondo questa immagine, il programma nazionale serbo è un programma di guerra. Inoltre, gli albanesi sono “gruppo etnico dominante” piuttosto che minoranza, perché contano due milioni di persone. Non sono una minoranza neppure nel senso nazionale e internazionale. Essi sono circa la metà della nazione albanese che vive fuori dall’Albania, in una regione dove molte nazionalità sono meno numerose di loro. Sono “l’unica nazione al mondo divisa da confini internazionali”. L’autodeterminazione e l’indipendenza della nazione albanese sono giustificate perché non sono mai stati riconosciuti alla pari nell’ambiente slavo, e continuare la loro vita fuori da un loro “sistema legale” condurrà a nuovi conflitti. La soluzione sta nella richiesta di confini fatta dal movimento albanese nel 1913 .
Il potente nazionalismo albanese, così come i conflitti serbo-albanesi in Kossovo, dimostrano chiaramente che gli albanesi non sono né integrati nella società serba, né lo erano in quella jugoslava. Ciò è dovuto, oltre a diverse e numerose cause, al fatto che gli albanesi non appartengono alla cerchia linguistica e culturale slava, come pure alla divergenza negli sviluppi nazionali di serbi e albanesi ed al conflitto tra i loro movimenti, in particolare tra le élites politiche.

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4 - Prospettive future dei rapporti fra serbi e albanesi

Le controversie etno-nazionaliste nel Kossovo hanno portato alla formazione di due movimenti forti e opposti: quello degli albanesi e quello dei serbi. Questi movimenti, come alla metà degli anni '80, hanno costituito una minaccia all'ordine esistente . Gli sforzi del movimento albanese di unificarsi all'Albania hanno messo a repentaglio anche l'integrità territoriale della Serbia e della (ex) Jugoslavia. Questi movimenti si sono in sostanza aggiunti alla disintegrazione dello stato. Ma, come gli altri nazionalismi, non lo hanno fatto affondare. In sostanza, ciò è avvenuto per l'incapacità delle autorità comuniste di attuare una riforma interna . Il dramma del Kossovo, l'aggravarsi dei rapporti tra Serbia e Albania e la divisione della (ex) Jugoslavia sono una chiara conferma del fatto che i regimi comunisti e socialisti hanno bloccato gli strumenti per la riconciliazione di interessi divergenti e la gestione del conflitto .
La guerra civile nei territori della (ex) Jugoslavia, ha arrestato e posticipato la soluzione di numerosi problemi nei rapporti tra serbi e albanesi in Kossovo. Molti problemi anzi sono diventati più seri e intensi. Il conflitto del Kossovo ricorda davvero una tragedia greca: tutti i protagonisti sono condannati a commettere un crimine che non possono evitare e per il quale non possono essere ritenuti responsabili. Il Kossovo è un fuoco assopito e il rapporto serbo-albanese è un nodo che nessuno ha ancora provato a sciogliere. Sono invece troppi coloro che vorrebbero attizzare quel fuoco.
La regola prevalente nel Kossovo resta quella dell'intensificazione della situazione di conflitto. Le relazioni inter-etniche sono stabilite secondo un modello di dominio e di stato autoritario. L'utilizzo di misure organizzative statali, legali-costituzionali e politico-amministrative hanno condotto alla prevalenza del centro repubblicano. Di conseguenza il problema è stato soppresso più che risolto. Le gravi difficoltà politiche, economiche, demografiche, culturali ed ecologiche sono tuttora presenti e tendono a diventare sempre più complesse. I rapporti serbo-albanesi sono stati portati ad un punto di congelamento e di esistenza parallela, ma si tratta al momento di uno stato di comunicazione divisa. Ciascuna delle parti tende a portare a compimento le proprie richieste, in primo luogo quelle di uno stato sovrano. Entrambe poi cercano di istituzionalizzare il loro dominio. Ciò potrebbe portare a uno scontro nello stesso territorio e fra la stessa popolazione - fra richieste uguali. Poiché non esiste una "struttura di controllo", in seguito alla sospensione della Costituzione federale e delle sue istituzioni, questo conflitto non lascia alcuna possibilità agli attori politici attuali di risolvere i problemi da soli. Il Kossovo oggi è colmo di pericoli di "esplosione", ma è ancora stabile. Le autorità serbe e la leadership albanese controllano per il momento la situazione; ma le possibilità di perdere questo controllo aumentano ad ogni incidente.
Numerosi osservatori prevedono la possibilità di conflitti armati nel Kossovo, e nel farlo prendono in considerazione sia la realtà del conflitto politico che l'esistenza di forze para-militari .
Comunque, per rispondere alla domanda se il Kossovo sarà il prossimo conflitto nel territorio della (ex) Jugoslavia, devono essere presi in considerazione numerosi altri fattori e protagonisti. I più importanti sono ancora la situazione politica interna e le leadership influenti. Gli interventi intrapresi fin qui non hanno preso abbastanza in considerazione la complessità e il groviglio delle crisi Jugoslave, concentrandosi solo su problemi più urgenti, e solo quando si erano già trasformati in conflitti armati. Inoltre la questione del Kossovo e dello status degli albanesi, sono usate per scopi tattici, piuttosto che all'interno di una strategia onnicomprensiva per la soluzione dei conflitti nei territori della (ex) Jugoslavia e per lo sviluppo dei Balcani e dell'Europa Centro-Orientale. In ogni caso, è anche vero che questo tema non può essere risolto semplicemente, nemmeno in principio. L'Europa - dopo l'unificazione della Germania, la secessione degli stati baltici e delle repubbliche della (ex) Jugoslavia - deve, in casi come questi, fare una scelta tra il diritto all'autodeterminazione etnica e nazionale (di fatto, il principio etnico invocato dal lato albanese nel conflitto serbo-albanese e dalla parte serba nel conflitto serbo-croato e serbo-mussulmano rispettivamente in Croazia e in Bosnia-Erzegovina) e il principio dell'integrità territoriale e dell'inviolabilità dei confini statali con la forza. Nel caso del Kossovo c'è anche un elemento "in più", che si manifesta nella differenza tra i diritti e le pretese delle minoranze. Allora, fra tutte queste richieste, quella per ridurre il pericolo di un conflitto armato nel Kossovo o sulla questione del Kossovo è la prima priorità della comunità internazionale. L'urgenza di questa richiesta è accresciuta dalla situazione complessiva del Kossovo e dai numerosi incidenti al confine tra Jugoslavia e Albania, così come da decisioni politiche come quella presa (l'11 luglio 1991) dal Parlamento albanese, che ad oggi non è ancora stata ritirata. Quella decisione prevede l'assistenza alla popolazione del Kossovo in caso di bisogno .
Comunque, il Kossovo sembra essere più vicino alla pace che alla guerra. I signori della guerra in questi territori sono stanchi ed è risaputo che gli USA e la NATO non permetterebbero il diffondersi della guerra . Ma soprattutto, l'attuale fase di stallo, o piuttosto l'incapacità delle parti in conflitto di realizzare le loro aspirazioni, ha creato le circostanze per cui entrambe le parti saranno costrette a cominciare il dialogo. Stando così le cose, si è aperta la prospettiva di una soluzione pacifica del conflitto in Kossovo. Questa prospettiva offre due possibilità: primo, la divisione dei territori o una delimitazione accordata e pacifica; secondo, la previsione di garanzie per i diritti degli abanesi all'interno della Serbia e della Jugoslavia e l'integrazione dei Balcani.
Prendendo il caso che implica la divisione del Kossovo, la delimitazione territoriale tra i serbi e gli albanesi lungo i confini etnici - come discusso nell'opinione pubblica jugoslava e specialmente all'estero nel 1992 e '93 - ci sono almeno tre varianti: la prima sarebbe più favorevole agli interessi nazionali, religiosi, storici ed economici dei serbi, ed il 40% del Kossovo diventerebbe il cosiddetto Kossovo serbo. Questa variante è proposta da Dobrica Cosic'; la seconda privilegia gli interessi albanesi, lasciando alla Serbia il 10% circa del territorio del Kossovo (i comuni di Leposavic' e Suva Reka); la terza, infine, assegna circa il 20% del territorio alla Serbia (incluso, oltre a Leposavic' ed a Suva Reka anche il comune di Strbce) ed al Montenegro parte del territorio intorno a Pec' dove è situato il Patriarcato.
Queste possibilità dovrebbero essere prese in considerazione, specialmente nel caso in cui prevalgano le tendenze alla creazione di stati piccoli ed etnicamente omogenei, nei quali i membri di altre nazioni sono ridotti a cittadini di seconda classe. Comunque, ci sono poche possibilità che una soluzione così venga accettata senza conflitti locali e regionali. Inoltre, proposte di questo tipo richiedono un coraggio notevole che manca attualmente ai leader serbi e albanesi. Questo è il motivo per cui la questione del Kossovo rimarrà ancora ferma e produrrà tanti nuovi conflitti e problemi. La separazione degli albanesi del Kossovo intensificherebbe probabilmente le aspirazioni di quelli della Macedonia per una divisione ed una riunificazione con gli altri territori albanesi. Ciò potrebbe lanciare il tema di nuove alleanze (per esempio fra Serbia e Grecia o fra Turchia e Bulgaria in cooperazione con l'Albania e gli albanesi ed i mussulmani di Serbia e Bosnia-Erzegovina). In tutte queste possibilità la posizione della Macedonia diventerebbe precaria ed il suo futuro incerto . La soluzione dovrebbe essere cercata ancora una volta nell'assicurare agli albanesi una propria identità nazionale e l'autonomia del Kossovo, che porterebbe alla creazione di rilevanti garanzie nelle sfere culturali, economiche, amministrative e politiche. Ciò richiede da parte della maggioranza della popolazione - gli albanesi - la rinuncia alla secessione e da parte della Serbia, come della Jugoslavia, il lasciare una parte della propria sovranità nel rispetto della minoranza. Ciò sarebbe simile alla rinuncia dell'Italia ai territori in Alto Adige e Sud Tirolo a favore dell'Austria. Questo processo richiede garanzie internazionali ed il controllo della fase di transizione dal conflitto alla fiducia reciproca, all'unione ed alla cooperazione . Sembra che l'approccio di questo modello si possa collegare alla posizione della Dichiarazione de L'Aia sulla (ex) Jugoslavia (18 ottobre 1991) (68).(nota aggiunta in fondo, modificare i numeri delle note successive)
Ciascuna delle parti che compongono il dramma del Kossovo ha le proprie ragioni che devono essere rispettate, ma i loro obiettivi ultimi non sono perseguibili senza una guerra. Ed una guerra civile è, come si è visto nei territori della (ex) Jugoslavia, un gioco sanguinoso a somma zero. Di conseguenza il rispetto dei diritti umani e della libertà, il diritto all'autodeterminazione dei cittadini - così come perseguito dagli standard europei nel diritto all'auto-amministrazione - potrebbero fornire la cornice per una risoluzione politica del conflitto in Kossovo. Sembra che una Regione Kossovo, all'interno di una Serbia decentralizzata e democratica, potrebbe, per lungo tempo, favorire una via di uscita a tutte le parti coinvolte. Il problema non può essere risolto dal "proprio" punto di vista, perché richiede un consenso internazionale, sociale e politico, che può essere raggiunto solo attraverso il dialogo ed una procedura democratica e parlamentare. E' quindi necessario fermare la guerra nei territori della (ex) Jugoslavia e regolare i rapporti tra le ex-repubbliche jugoslave in una maniera che garantisca accordi reciproci ed assicuri stabilità, almeno per un lungo periodo di tempo. La fine della guerra costringerebbe tutti i protagonisti della guerra stessa e delle crisi a trovare soluzioni per i propri problemi interni ed a regolare i loro rapporti reciproci. Da questo punto di vista, molti osservatori hanno ragione nell'affermare che le questioni del Kossovo e dei rapporti serbo-albanesi non sono ancora diventate prioritarie. Entrambe le parti sono ancora molto attaccate ai loro obiettivi nazionali più che alla modernizzazione, alla democrazia ed al dialogo, e sono quindi ferme per pregiudizio e per testardaggine alle loro "richieste finali"; fra di loro dominano la sfiducia e le accuse reciproche, mentre tutti i rapporti tra le autorità serbe e la leadership politica del movimento albanese sono già quasi del tutto interrotti. Ciò impone il bisogno di una "terza parte", di un "mediatore". I mediatori si potrebbero trovare, innanzitutto, tra parte dell'opinione pubblica o dell'opposizione serba, o tra gli albanesi che non sono direttamente coinvolti nell'istigazione e nell'aggravamento dell'attuale conflitto. Per permettere il primo passo - l'inizio di un dialogo - la mediazione internazionale è necessaria e benvenuta. In questo contesto, il ruolo delle organizzazioni internazionali (CSCE, ONU), ma anche delle organizzazioni non governative è di estrema importanza.
Il dialogo offre la via principale verso la pace e la cooperazione. Non c'è dubbio che questa via sarà difficile, tenendo ben presente la lontananza tra le parti in termini di volontà e di cultura del dialogo. Comunque, bisognerebbe cominciare i colloqui, perché tutto il dramma del Kossovo ed i conflitti armati nei territori della (ex)-Jugloslavia ci insegnano che è possibile fare una scelta tra cooperazione reciproca e coesistenza da una parte, e chiusura e conflitti dall'altra. L'altra lezione da imparare è che l'esito dei conflitti non è altro che l'inizio di guerre perse e l'incertezza nella risoluzione dei problemi. Il punto centrale nelle relazioni serbo-albanesi è quello dei rapporti tra il Kossovo e la Serbia e tra le autorità serbe e la leadership albanese. Quindi, se le autorità serbe vogliono che i serbi vivano in Kossovo e vogliono che il Kossovo rimanga in Serbia, devono perseguire una politica accettabile anche per gli albanesi del Kossovo; se gli albanesi del Kossovo insistono per avere un loro stato, questo stato deve essere basato su principi accettabili dalla Serbia; e se le due parti fanno in modo di raggiungere un accordo, deve essere accettato dalle altre parti coinvolte, prima di tutto dagli albanesi in Macedonia e dei governi della Macedonia e dell'Albania .
L'inizio del dialogo prevede però il raggiungimento di alcune condizioni:
- il riconoscimento da entrambe le parti dei reciproci diritti di base e delle libertà. Ciò significa accettare che gli albanesi abbiano la libertà di sviluppare la loro identità collettiva, e di conseguenza il diritto all’autodeterminazione ed all'autorganizzazione. I serbi in Kossovo hanno lo stesso diritto. Sopra questo diritto c’è solo il diritto delle persone che vivono in Kossovo e in Serbia di essere liberi cittadini in uno stato democratico;
- l’eliminazione di tutti i limiti imposti ai diritti degli albanesi (come richiesto dalla Convenzione della Sottocommissione ONU per i Diritti delle Minoranze dell'agosto 1993);
- la proibizione delle forze paramilitari e delle milizie parallele, così come dei gruppi, associazioni, partiti che diffondono una cultura nazionalista, razzista e religiosa e causano conflitti armati inter-etnici (un obbligo che deriva da numerosi atti internazionali e dalla legge interna, soprattutto dall’Art. 42 della Costituzione federale, dall'Art. 44 della Costituzione serba e dall'Art. 134 del Codice Penale);
- l’abbandono da parte degli albanesi della volontà di trattare il problema del Kossovo come problema dello status degli albanesi; questo è uno dei problemi più importanti, ma è collegato ai rapporti generali tra Kossovo e Serbia e quindi anche al problema dello status del Kossovo, incluso lo status dei serbi e delle altre comunità etniche presenti in Kossovo;
- la rinuncia da entrambe le parti alle loro “richieste ultime” e l’accettazione da entrambe le parte della decentralizzazione e della regionalizzazione della Serbia, per completare il diritto all’autonomia (legislativa, amministrativa, personale e funzionale) di tutti gli abitanti del Kossovo, e specialmente degli albanesi, all’interno di una speciale cornice (esempio: Regione Kossovo);
- l’accettazione da parte della leadership albanese dell’obbligo di utilizzare le vie parlamentari e le elezioni per ottenere i propri obiettivi. Si tratta dell'obbligo di partecipare alle elezioni democratiche e libere sotto la supervisione internazionale, piuttosto che ad elezioni-farsa come si sono verificate in Serbia fin dal 1990. In altre parole, abbandonare l’attuale opzione per i metodi rivoluzionari cosiddetti extra-parlamentari è una condizione necessaria per avviare una democratizzazione in Serbia e per stabilire legami con quei gruppi e partiti in Serbia che sono pronti a partecipare al dialogo per la risoluzione dei problemi del Kossovo. Ciò non significa negare la presenza delle cosiddette autorità parallele, che si battono per la difesa delle libertà e dei diritti degli albanesi e per la loro autonomia, ma farle diventare “legali”. Ciò può essere regolato da un atto speciale all’inizio del dialogo, che deve ancora essere formulato con la moderazione e sotto la supervisione del Parlamento serbo e del Parlamento albanese del Kossovo.
Questo processo di risoluzione del conflitto serbo-albanese implica l’esistenza di una strategia appropriata che dia ad entrambi le parti una immagine chiara e accettabile della soluzione futura. Questa strategia potrebbe avere questi tre punti chiave:
- la partecipazione del Kossovo alla cooperazione regionale: all’interno della Jugoslavia con il Montenegro e nei territori della (ex) Jugoslavia con la Macedonia, la Croazia e le altre repubbliche. La cooperazione con l’Albania potrebbe essere il primo passo verso una cooperazione più estesa tra Jugoslavia ed Albania ed il nucleo di una cooperazione più ampia nei Balcani. Ciò nonostante, richiede la soluzione dei pressanti conflitti politici e l’abbandono delle forza nei rapporti reciproci, con lo scopo di stabilire una base economica per le relazioni future. Ciò potrebbe essere fatto in primo luogo tramite progetti specifici di cooperazione economica finanziati da banche interne locali e internazionali; facilitazioni per il traffico di passeggeri e merci (andando da un cambiamento nelle leggi sui passaporti e sulle dogane fino all'unificazione dei passaporti);
- l'aumento nella qualità della vita, partendo dal difficile tema dello sviluppo demografico, dell'occupazione e della distribuzione sul territorio delle strutture economiche fino alla soluzione della tragica situazione ecologica ed all’innalzamento del livello dei servizi culturali, educativi, sanitari e di informazione;
- l'adozione del principio per il quale non è possibile trasformare gli albanesi in serbi, e anche che i serbi non possono vivere con il timore di una albanizzazione, e che entrambi possono diventare liberi cittadini che, in accordo con la loro specificità nazionale, accettano tra le altre cose il Kossovo come loro.

Nota aggiuntiva (68): Questa è l’idea di uno “status speciale” che, secondo questo documento, si applica in modo particolare ai serbi che vivono in Croazia in regioni dove essi sono la maggioranza. Ma questo non esclude l’applicazione di questi principi ad altre comunità minoritarie, come invece sostengono le interpretazioni ufficiali delle autorità serbe. Al contrario nella dichiarazione si accenna specificamente anche agli albanesi, dato che essi sono la maggioranza del territorio in cui vivono (Kossovo). A queste comunità sono garantiti: il diritto a non essere discriminati, i diritti culturali come previsti dalle NU, CSCE, e dal Consiglio d’Europa; il diritto ad una libera scelta di affiliazione etnica o nazionale e l’esercizio di tutti i diritti connessi a tale specifica affiliazione; il godimento dello “status speciale” (“autonomia”) che include il diritto ad utilizzare simboli nazionali, il diritto ad una seconda cittadinanza, in aggiunta a quella repubblicana, il diritto all’educazione, a corpi legislativi, ed a strutture amministrative, incluse le corti e la polizia regionale (Jugoslavia treci put, Specijaalno izdanje, Borba. Nov.,1991, p.38)

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