Profilo della storia religiosa del Kossovo
di Roberto Morozzo della Rocca

Sulla presenza degli albanesi in questa zona, molto prima che arrivassero dall’esterno gli slavi non ci sono dubbi. La toponomastica e l’archeologia sono due fonti che permettono di sostenere questo senza incertezze. Secondo il nostro interlocutore questo lo sanno anche i serbi che continuano, per ideologia e per propaganda, a sostenere il contrario. Ed il fatto che gli illiri fossero abitanti di queste zone, e i rapporti ed i collegamenti tra gli illiri e gli albanesi sono lampanti. Ad esempio Alessandro Magno era di origine illirica ed era nato da queste parti, in un paese qui vicino. E Pristina, prima di chiamarsi tale, era chiamata la città di Costantino, perchè aveva dato i natali a questo imperatore. E nelle vicinanze di Gracianica c’erano i resti di una basilica cattolica (prima dell’invasione turca gli albanesi erano tali) da cui sono state tolte le pietre che sono servite per la costruzione dell’attuale monastero serbo-ortodosso. Gli altri templi greci-ortodossi sono infatti costruiti con materiale diverso

L’antico nome dei Balcani era “Illiria”: gli Illiri abitavano anticamente dalle Alpi all’Epiro. La grande Illiria era la vicina di Roma. Abbiamo perduto delle battaglie ma Roma ha fatto grandi progressi nell’Illiria. A quell’epoca il Kossovo si chiamava Dardania (il paese delle pere), era una grande provincia, un regno illirico. Poi è diventata una provincia romana. Era ricca di risorse naturali. I romani hanno utilizzato le miniere di Trepça, vicino a Mitrovica. Era un grande complesso, dalle Alpi fino all’Epiro, quasi tutta la Yugoslavia era Illiria. Ora è diventato questo piccolo Kossovo. La Dardania arrivava a Nis ed a Skopje. Era un bel paese, molto ricco. Ulpiana era la prima città di questa zona. Abbiamo avuto ad Ulpiana il primo martire del cristianesimo, nel I° secolo. Era il Vescovo più anziano della Roma Cristiana.
Costantino, che era del Kossovo, ha fondato Costantinopoli, poi Giustiniano ha fatto il diritto romano: ambedue erano illirici. Il vaticano ha chiamato Dardania il Kossovo fino al XV secolo, poi ha preso il nome di Kossovo, nome illirico-bizantiniano. Ma poi i serbi hanno spiegato che è Serbia.
Ora i serbi, qualche volta, lo chiamano Kosmet, ovvero Kossovo-Metohjia. Hanno detto che Metohjia è un nome slavo, invece è un nome bizantino, vuol dire la ”proprietà delle cooperative”. Hanno voluto, in questo modo, separare il significato di Kossovo-Metohjia (zona vicino alla frontiera albanese) dal Kossovo. Ma nella letteratura scientifica serba dicono sempre Kossovo. Sono manipolazoni politiche. In albanese si chiama “la pianura di Dukajini”, dalla famiglia di Dukajin, un soldato di Scanderberg, del XV secolo. Il Ducajin si chiamava il canone albanese, diritto albanese che si collegava al diritto romano, che era proprietà di quella famiglia dell’Albania ed arrivava fino a Pristina. Hanno utilizzato quella combinazione Kossovo-Metojia solo per innervosire gli albanesi.
Qui c’era la civiltà illirica e poi quella romana. I serbi sono venuti nel Kossovo nel XII secolo. Il Kossovo era un luogo del Cristianesimo. Le prime chiese, ad Ulpiana, sono state chiese degli albanesi: erano dapprima cattoliche e, dopo lo scisma e la rottura tra la Chiesa Cattolica e quella Ortodossa, alcune sono diventate ortodosse, ancora prima che arrivassero gli slavi, altre sono rimaste cattoliche. Dopo l’arrivo degli slavi i serbi hanno confiscato quei monasteri, li hanno slavizzati. Erano antichi monasteri illirico-albanesi.
Nel codice, o canone , del re Dusan (1350 circa) si legge che il re Dusan dapprima ha accettato il Vaticano ed è stato incoronato a Roma dal Papa, poi è andato contro il Vaticano ed ha cacciato i cattolici albanesi. A quell’epoca più di metà degli albanesi del Kossovo sono diventati ortodossi. Questo è avvenuto prima della battaglia del Kossovo (1389). Gli slavi, sfortunatamente, hanno scacciato i cattolici, hanno confiscato le loro chiese, le hanno slavizzate con pitture ed icone. Alcune chiese le hanno distrutte. Non abbiamo antiche chiese cattoliche, sfortunatamente. Tutte le nostre chiese sono del XIX secolo, ma non abbiamo fatto delle ricerche archeologiche nei resti di molte antiche chiese cattoliche perché è proibito. Per esempio nel mio villaggio c’era una antica chiesa che è stata distrutta, ma esiste ancora qualche resto. C’è stato un massacro dei cattolici albanesi da parte del re Dusan. Dopo la battaglia del Kossovo e l’instaurazione del regime turco i turchi hanno fatto pressioni sugli albanesi per far loro cambiare religione. Dopo la guerra di Scanderberg i turchi sono sempre stati contro gli albanesi, a causa di quella grande guerra. I turchi hanno avuto rapporti migliori con i serbi ed i greci che con gli albanesi: non perdonavano a questi ultimi quella loro guerra. Ad esempio, riguardo alla pittura, nel Palazzo del Sultano di Istanbul non c’è nessuna pittura che parli degli albanesi. I turchi hanno fatto grandi pressioni perché gli albanesi cambiassero religione. Ma gli albanesi non hanno mai cambiato completamente. Il Patriarca di Istanbul ha difeso gli ortodossi. Le chiese greche e serbe sono rimaste intatte. A noi invece hanno voluto schiacciarci. C’erano dei “cripto-cattolici” alla fine dell’800, vicino a Gilan. C’era anche una chiesa cattolica. Ma hanno fatto molte pressioni perché ci convertissimo. Poi il Vaticano ha un po' migliorato gli accordi con Istanbul. Ma la pressione da parte dei turchi è stata molto violenta. Nelle famiglie c’era il cattolicesimo, ma ufficialmente si prendevano nomi mussulmani, che spesso però nascondevano nomi cattolici. Ad esempio Pietro diventava Assam. I “cripto-cattolici” erano dei cattolici nascosti, che dicevano di essere mussulmani ma in fondo restavano cattolici. Anche in Vaticano si usa questa espressione.

In Kosovo risiedono attualmente circa due milioni di albanesi, per il 95% musulmani, per il 5% cattolici. Sullo stesso territorio vi sono circa 200.000 serbi cristiani ortodossi e alcune decine di migliaia di turchi e rom, in stragrande maggioranza musulmani ( ).
Le proporzioni confessionali tra gli albanesi del Kosovo sono differenti da quelle dell'Albania storica, cioè dello Stato di Tirana che conta 70% di popolazione nominalmente musulmana e 30% cristiana (per due terzi ortodossi e un terzo cattolici). Due elementi potrebbero contribuire a spiegare questa diversità.
Il confronto etnico tra albanesi e serbi che in Kosovo dura da secoli non avrebbe concesso la presenza tra gli albanesi di cristiani ortodossi. Degli albanesi ortodossi, in Kosovo, sarebbero stati più facilmente assimilabili dai serbi (e, forse, lo sono stati). Nei primi decenni del Novecento i serbi sostenevano che gli albanesi erano semplicemente dei serbi albanesizzati che dovevano ritornare ad essere serbi. Ed è noto come nell'Europa balcanica ed orientale la religione sia tradizionalmente un fattore di identità etnica ( ).
L'espansione del popolamento albanese del Kosovo, lungo l'epoca moderna, è avvenuta per la graduale occupazione del territorio lasciato libero dai serbi pressati dalla dominazione ottomana. Ricorrente tra ottomani e serbi è la spirale oppressione-rivolta-sconfitta-repressione-fuga. A seguito della repressione delle rivolte parte della popolazione serba abbandonava le terre serbe del Sud per cercare rifugio al Nord, possibilmente nei domini asburgici. Gli albanesi, con il benvolere dei turchi, venivano a riempire i vuoti lasciati dai serbi. Si trattava degli albanesi delle zone circostanti il Kosovo, ossia di montanari dell'Albania del Nord-Est appartenenti a tribù e clan di fede islamica e, secondariamente, cattolica. Albanesi ortodossi in numero consistente si trovano, infatti, nel Sud e nel Centro dell'Albania, non nel Nord-Est.
Non solo le fedi ma anche le tradizioni culturali apparentano fortemente gli albanesi del Kosovo a quelli dell'Albania settentrionale. Come è noto, l'Alta Albania si connotava fino a tempi molto recenti per il compatto tradizionalismo patriarcale e clanico mentre la Bassa Albania per la condizione rurale feudale. A questi tratti corrispondevano un orientamento politico differente, fondamentalmente conservatore al Nord e tendenzialmente riformista al Sud.
La vicenda religiosa del Kosovo si confonde con la vicenda etnica alla quale si deve necessariamente accennare. Come altre regioni dei Balcani, il Kosovo vede antagonismi etnici connessi, nel corso della storia, a numerose pulizie etniche ( ). Le popolazioni slave, poi identificatesi quali serbe, si affacciano in Kosovo nel VII secolo, contestualmente alla loro invasione dello spazio balcanico. Il Kosovo è al centro dello Stato medioevale serbo. Gli albanesi del Kosovo ritengono di essere etnicamente i discendenti delle popolazioni -illiriche o dardane- che avrebbero abitato la regione prima della conquista slava (e vi sarebbero rimaste, secondo gli albanesi, anche successivamente). L'originale lingua albanese, di ceppo diverso da quello slavo o greco, è in genere considerata l'elemento più probante della discendenza degli odierni albanesi da antichi popoli preesistenti nei Balcani.
A prova della radice slava del Kosovo, i serbi si richiamano volentieri alla quantità di monasteri, chiese e monumenti medioevali della loro storia ben visibili sul territorio. Da parte albanese si risponde che le fondamenta di tali edifici sono costituite dai resti di costruzioni illiriche.
La prima pulizia etnica del millenario conflitto serbo-albanese per il Kosovo sarebbe stata dunque compiuta, a cominciare dal VII secolo, ai danni degli albanesi. (Beninteso questo si può dire nella misura in cui è valida la tesi, generalmente accettata ma non dagli albanesi, di un'occupazione slava del Kosovo iniziata nel VII secolo). Si noti che in quell'epoca né gli illiri, progenitori degli albanesi odierni, avevano conosciuto l'islamizzazione, né gli slavi avevano conosciuto la cristianizzazione. Il possesso etnico del Kosovo da parte dei serbi dura fino a conquista ottomana inoltrata. Inizialmente infatti i turchi non modificano granché la composizione della popolazione del Kosovo. E' nel Seicento che si avvia la mutazione che riduce i serbi, ai nostri giorni, ad essere minoranza inferiore al 10% della popolazione del Kosovo.
La controffensiva austriaca, dopo il fallito assedio ottomano di Vienna del 1683, porta le potenze cristiane nel cuore dell'impero ottomano d'Europa, fin nel Kosovo. I serbi, cristiani ortodossi, collaborano attivamente con gli eserciti asburgici considerati come liberatori. Il patriarca di Pec, Arsenio III, è alla testa del popolo serbo in rivolta. La ritirata delle armi austriache significa anche un'ondata di emigrazione dal Kosovo dei serbi insieme al loro capo spirituale e politico Arsenio III. La marcia verso il Nord, oltre il Danubio, di buona parte dei serbi del Kosovo campeggia nell'epica del popolo serbo. Nel patriarcato ortodosso di Belgrado l'episodio è raffigurato nell'affresco centrale della sala del Sinodo. Il Kosovo, parzialmente svuotato dei suoi abitanti, attira gli albanesi delle regioni vicine, già parzialmente islamizzati nel corso del Cinque e Seicento. Altri esodi serbi dal Kosovo, di minore entità, si avranno nel Settecento.
Il corso degli eventi muta, per i serbi del Kosovo, quando l'impero ottomano deve cedere la regione allo Stato di Belgrado a seguito della guerra balcanica del 1912. Da questa data i serbi cercano in varie maniere di ribaltare gli equilibri etnici stabilitisi in Kosovo sotto la mezzaluna. Il loro tentativo è segnato da fortune alterne.
La teoria del "vuoto etnico" del Kosovo seicentesco colmato dagli albanesi grazie al favore del dominatore ottomano non è accettata dagli albanesi. La risposta dell'etnografia albanese alla tesi del "vuoto etnico" conosce due tempi.
Gli albanesi non hanno, in un primo tempo, negato il fatto di essere subentrati ai serbi dopo gli esodi di questi ultimi, quanto di essere stati, nello spazio del Kosovo, degli usurpatori. Si sarebbe infatti trattato di un "ritorno" degli albanesi in casa propria, dopo esserne stati scacciati dai serbi nei secoli precedenti, e non di una prevaricazione. La discesa degli albanesi dalle montagne dell'ovest nelle piane del Kosovo avrebbe "costituito semplicemente un'inversione del secolare flusso migratorio da quelle zone non protette" ( ).
Dagli anni Settanta in poi, storici, geografi, demografi ed etnografi albanesi, i quali potevano finalmente formarsi e aggregarsi intorno a propri centri di cultura accademica, hanno contestato più radicalmente la teoria del "vuoto etnico". I serbi non sarebbero apparsi in Kosovo prima dell'XI secolo. Nei secoli successivi la maggioranza della popolazione del Kosovo sarebbe rimasta sempre albanese, pur sotto il dominio serbo. Talora gli albanesi avrebbero subìto una slavizzazione. Nel Medioevo sarebbero anche esistiti parecchi gruppi di albanesi di fede cristiana ortodossa in seguito assimilati dai serbi ( ).
Le più aggiornate tesi degli studiosi albanesi colmano il divario esistente rispetto alla scienza etnografica dei serbi. Quest'ultima si è sviluppata assai prima di quella albanese data l'esistenza di condizioni politiche e culturali che lo permettevano. Come è noto, quello albanese è nei Balcani l'ultimo dei nazionalismi affiorati dalle rovine ottomane. E soltanto nell'ultimo dopoguerra gli albanesi hanno potuto disporre di proprie università, dapprima nello Stato di Tirana e dagli anni Settanta in Kosovo. Dunque oggi è possibile affiancare raccolte di citazioni di fonti e studi prodotte dagli albanesi a loro favore alle analoghe raccolte già effettuate ed esibite da parte serba.
Generalmente si datano gli inizi del nazionalismo albanese al 1878, anno di fondazione della Lega di Prizren, costituita da patrioti e notabili albanesi nella storica città del Kosovo, minacciata allora da truppe serbe alleate dei russi in guerra contro i turchi. Il Congresso di Berlino lascia poi il Kosovo nel suo status di vilayet ottomano, conformemente ai desideri albanesi. Non sono gli albanesi del Kosovo a raggiungere per primi l'indipendenza bensì, nel 1912, gli albanesi del territorio costiero da Scutari ad Argirocastro. Questo si spiega con le decisioni delle grandi potenze che arbitrano la dissoluzione del "grande malato d'Oriente" e decidono che il Kosovo spetta alla Serbia mentre dai due vilayet turchi di Scutari e Janina viene creato uno Stato albanese indipendente. In quest'epoca l'idea di patria indipendente non era del tutto acquisita tra gli albanesi. Molti di essi, specie musulmani, contrariamente alla vulgata diffusa dalla storiografia degli anni di Enver Hoxha, non avevano desiderio di uno Stato nazionale indipendente. Piuttosto avevano cara la comoda nicchia che s'erano ricavata nell'impero dei sultani dove erano trattati come un popolo privilegiato. L'albanismo di molti albanesi musulmani sudditi del sultano era concepito in connessione ad uno status privilegiato in seno all'impero, non come una forza centripeta.

"Sebbene si sentissero albanesi, non era facile per loro distaccarsi dalla Turchia, verso la quale provavano lealtà in quanto musulmani [...] Finché la Turchia era ancora in grado di esercitare potere nei Balcani, non potevano abbandonarla [...] La sopravvivenza della Turchia era sentita come essenziale per la loro propria conservazione." ( ).

La stessa Lega di Prizren era stata concepita in appoggio alla Sublime Porta contro le potenze cristiane slave e greche. Nel 1912 la scelta dell'indipendenza albanese, proclamata a Valona in termini comprensivi anche del Kosovo, avviene in seguito alla scomparsa della potenza ottomana, nel momento in cui serbi e greci operano per spartirsi i territori abitati dagli albanesi.
Il fatto che gli albanesi siano gli ultimi, nei Balcani, a chiedere un loro Stato nazionale non significa che il loro nazionalismo sia debole e tardivo. Per gli albanesi la nazione intesa come mito delle origini, come comunanza di lingua, come tradizioni popolari, come usi e consuetudini, come peculiare struttura sociale, come unità dinanzi al nemico- è fondamentale. Invece lo Stato è un'entità relativa e trascurabile (come i recenti eventi dell'Albania tiranese hanno riconfermato).
Fino al 1941, con l'eccezione della parentesi della prima guerra mondiale, i serbi tentano di riconquistare etnicamente il Kosovo. Vi inviano coloni. Inducono gruppi di albanesi e turchi a emigrare in Anatolia. Presumono che gli albanesi siano serbi da ricondurre alla radice slava attraverso lo sradicamente della cultura albano-islamica ( ). Tuttavia le percentuali demografiche del Kosovo non variano significativamente. La natalità dei kosovari non slavi resta forte. I serbi e montenegrini non superano, nel periodo, il 25% della popolazione complessiva, percentuale non lontana dai valori anteriori al 1912.
La seconda guerra mondiale vede un'effimera rivincita degli albanesi nel quadro della Grande Albania, voluta dagli italiani, che incorpora gran parte del Kosovo. Dalla Grande Albania resta esclusa la fascia settentrionale del Kosovo, la Metohija o Mitrovitza come usava dirsi, ricca di miniere e tenuta dalle armi tedesche peraltro anch'esse favorevoli più agli albanesi che ai serbi. Le pulizie etniche del precedente ventennio vengono annullate e ribaltate dai nazionalisti albanesi, come documentato negli archivi militari italiani.
Gli albanesi del Kosovo sono grati agli italiani per essere stati sottratti al potere serbo. A differenza degli albanesi di Tirana, la loro esultanza per la Grande Albania realizzata non si mescola a risentimento per l'invasione del 1939. A capo della comunità islamica della Grande Albania viene posto dagli italiani un kosovaro, Hafiz Langu. Non meraviglia che gli italiani, anche nei momento più difficili della loro guerra balcanica, riescano a reclutare soldati e collaboratori in Kosovo, mentre il Sud dell'Albania è loro fortemente ribelle ( ). E' del resto noto che i partigiani comunisti, bene organizzati in Albania meridionale e legati ai partigiani di Tito, non intendono modificare i confini albano-jugoslavi dell'anteguerra, lasciando il Kosovo all'amministrazione di Belgrado.
Gli albanesi del Kosovo e del Nord Albania, dopo l'8 settembre 1943, non rifuggono dal proclamarsi "ariani dei Balcani" per propiziarsi i tedeschi. Una divisione SS denominata "Skënderbeg" viene formata con 6.500 musulmani albanesi ma rivela scarsa coesione interna e poca attrazione al combattimento ( ). Peraltro i governanti della Grande Albania protestano a Berlino contro il rosso fez turco dei soldati della divisione: Vehbi Frashëri afferma la non confessionalità dello Stato grandalbanese e l'uguaglianza in esso delle religioni.
In generale gli albanesi del Kosovo difendono la Grande Albania. Pochi sono i partigiani titini di origine albanese, mentre gli slavi della regione si impegnano massicciamente con i cetnici o con i partigiani.
Terminata la guerra, gli albanesi subiscono una dura repressione da parte del potere comunista, con migliaia di vittime. Seguono due decenni di soffocamento del nazionalismo degli albanesi del Kosovo per opera del regime di Tito che vede la presenza al ministero dell'Interno del serbo Rankovic. Gli albanesi si sentono perseguitati da Rankovic in quanto serbo, sottovalutando probabilmente il lato ideologico dell'uomo, di rigida fede comunista e comunque esecutore fedele delle direttive di Tito.
Dal 1967, anno della caduta in disgrazia di Rankovic, fino al 1981, gli albanesi del Kosovo conoscono un periodo aureo della loro storia. Sono di fatto padroni della regione la cui autonomia politica e amministrativa è consacrata dalla Costituzione federale jugoslava del 1974 ( ). Dopo la morte di Tito e le agitazioni del 1981, in cui gli albanesi del Kosovo chiedono l'indipendenza e aprono la crisi della Jugoslavia titina, riprende potere la componente serba della popolazione kosovara, dapprima con l'appoggio delle varie repubbliche jugoslave e poi grazie al ritrovato nazionalismo del vertice serbo, cioè di Milosevic.
Ho richiamato queste vicende storiche perché la religione per gli albanesi è secondaria rispetto alla nazione. Si dice generalmente che gli albanesi non sono un popolo religioso. In realtà è impossibile rilevare scientificamente la religiosità o l'irreligiosità di un individuo e a fortiori di un popolo. Per quanto riguarda gli albanesi si può però notare che vi sono passioni politiche che incidono nella società più delle religioni. La nazione è tra queste e precede la religione ( ). Tutti gli albanesi conoscono le parole del vate ottocentesco dell'albanismo, Vaso Pasha: "la religione degli albanesi è l'albanismo". Scrive Christian Gut:

"La situazione albanese è in effetti piuttosto eccezionale in Europa: è il solo Stato in cui la maggioranza della popolazione si è convertita all'islam ma, paradossalmente, è senza dubbio lo Stato in cui la religione ha giocato il ruolo meno importante nella formazione e nel mantenimento dell'identità culturale e nazionale... Sembra che in Albania la ricerca dell'identità culturale e nazionale non si sia fatta a partire dall'islam come si sarebbe potuto pensare, e tanto meno non si sia fatta a partire dalle religioni anteriori." ( ).

Anche il conflitto tra albanesi e serbi in Kosovo va inteso in senso etnico, non religioso. Islam e ortodossia sono utilizzati dalle due parti ma non sono la posta dello scontro, che risiede piuttosto nella piena affermazione etnica degli uni o degli altri nella regione.
Lucenti moschee e antichi monasteri assumono valore simbolico della lotta in corso non perché ne siano l'oggetto bensì perché connotano la cultura dei due popoli contendenti. Nell'area dell'università di Prishtina, dopo il 1991 pressoché preclusa agli albanesi, i serbi hanno iniziato a costruire una grande chiesa ortodossa. Accanto ad essa, tuttavia, si possono notare le cupolette in stile moresco della biblioteca universitaria, costruita come tutti gli edifici universitari negli anni del potere albanese. Questa biblioteca, attualmente non più usata dagli studenti albanesi, rammenta i profili dei bagni turchi sparsi nelle città balcaniche (l'architetto, pur sloveno, aveva evidentemente precise direttive in questo senso).
Analogamente cimiteri e tombe -quanto di più connesso alle tradizioni religiose- sono nel paesaggio kosovaro un forte elemento di identità etnica. Nei cimiteri serbi la bandiera jugoslava è piantata accanto alle croci ortodosse. Le tombe albanesi, a gruppi più o meno consistenti, sono invece riconoscibili soprattutto per il carattere islamico.
Oggetto del conflitto è però il dominio sulla terra kosovara, nel quadro della secolare contrapposizione etnica fra serbi e albanesi, non l'affermazione di una religione o il proselitismo religioso. Del resto i rispettivi leader sono di cultura non religiosa. Milosevic e la dirigenza socialista serba, espressiva anche dei serbi del Kosovo, sono per lo più non credenti. Ibrahim Rugova, di padre musulmano e madre cattolica, rispetta le religioni ma non ne sposa personalmente né la pratica né la dottrina. Il suo partito, la LDK, è rigorosamente laico. Nella sede della LDK sono affisse foto di Rugova con Giovanni Paolo II: non è un riconoscimento confessionale bensì un attestato utile alla causa degli albanesi del Kosovo che ricercano appoggi nella comunità internazionale.
Che l'islam prevalente tra gli albanesi del Kosovo non sovrasti il dato etnico lo si deduce anche di riflesso dalle vicende della dissolta Jugoslavia. In essa la fede non univa più dell'etnia. I rapporti tra musulmani bosniaci -di etnia slava- e musulmani albanesi non erano granché cordiali. I musulmani bosniaci, più urbanizzati, più sviluppati culturalmente, più ricchi dei musulmani albanesi, non gradivano essere assimilati a questi ultimi in un quadro di islam unificato jugoslavo. Nella prima Jugoslavia, ante 1941, i musulmani bosniaci erano corteggiati sia dai serbi che dai croati perché si dichiarassero di nazionalità serba oppure croata. La loro solidarietà verso i musulmani albanesi, trattati come cittadini di terzo rango, era quantomeno inespressa. Nella seconda Jugoslavia, post 1945, i musulmani bosniaci erano privilegiati da Tito che intendeva farne un popolo cuscinetto fra serbi e croati antagonisti. Nello stesso periodo gli albanesi erano oppressi dal centralismo di Rankovic.
La tendenza generale degli esponenti dell'islam albanese, vuoi di Tirana, vuoi di Prishtina, vuoi di Skopje, amalgama facilmente i termini "nazionale" e "religioso", "albanese" e "musulmano", quasi siano sinonimi. Tuttavia queste identificazioni hanno un peso che varia con i luoghi. In Albania i fedeli islamici praticanti sono ben pochi, sociologicamente l'islam non supera il 70% della popolazione, per non dire il 60% nella componente ufficiale sunnita ( ). Diversamente in Macedonia e in Kosovo l'equazione musulmano uguale albanese è più frequente e radicata. La contrapposizione agli slavi macedoni ortodossi e agli slavi serbi ortodossi cementa la detta equazione. Come dichiara il capo della comunità islamica del Kosovo, Rexhep Boja: "Gli interessi religiosi dei fedeli coincidono con la totalità delle aspirazioni del popolo albanese"( ).
Si deve poi pensare alla maniera in cui l'islamizzazione degli albanesi è avvenuta. Gli albanesi citano spesso l'antico detto: "Dove è la spada, lì è la fede", ad indicare che la religione dipende dal potere. Di fatto la spada ottomana ha determinato il passaggio degli albanesi all'islam. Gli albanesi sono divenuti musulmani per ottenere un trattamento favorevole dal potere ottomano e meglio sopravvivere in condizioni di estrema miseria e di fame. L'islamizzazione degli albanesi -è stato notato- è avvenuta come "atto di politica alimentare" ( ). Molte famiglie rendevano musulmano il capofamiglia, lasciando cristiani gli altri membri, per godere dei relativi privilegi di status nell'ambito della sovranità ottomana. Con il passare del tempo tutta la famiglia diveniva musulmana, ma fenomeni di criptocristianesimo resistevano ( ). Gli albanesi, seppure abbiano cominciato ad aderire all'islam dal XVI secolo, non hanno mai inteso la fede islamica come un'appartenenza radicale ad un sistema di pensiero e di vita strutturato e vincolante. Basti notare la diffusione delle bevande alcoliche tra albanesi musulmani o la disabitudine alle preghiere rituali.
L'islamizzazione dell'Albania da parte della Sublime Porta è ottenuta lentamente lungo il corso dell'età moderna, con momenti in cui la pressione per l'abiura del cristianesimo è più forte, come alla metà del Seicento. E' probabilmente decisivo il sistema della dimma, la tassa che i sudditi non musulmani dell'impero ottomano devono pagare in cambio della "protezione" loro accordata. Questa tassa induce i cristiani a passare alla fede dei loro dominatori, per ottenere lo status di cittadini a pieno titolo dell'impero ( ). Nell'ambito di questo gli albanesi musulmani, considerati sudditi fedeli e di valore, divengono presto un popolo privilegiato per il reclutamento del personale amministrativo e militare. A Costantinopoli numerosi albanesi ricoprono le più alte cariche. Alla fine dell'Ottocento, mentre già sulle rive del Bosforo giunge l'eco del nascente sentimento nazionale albanese, lo stesso sultano Abdul Hamid II è uso ripetere che il suo impero si regge "sugli albanesi e sugli arabi".
Oltre ai vantaggi derivanti ai neoconvertiti dal professare la prima religione dell'impero, concorrono all'abbandono dell'antica fede cristiana altri elementi. Il passaggio da una fede all'altra è in taluni casi una semplice conseguenza di litigi e divisioni tra clan e tribù, in un tipo di società arcaica, la cui estrema frammentazione corrisponde alla tortuosità del territorio, per la gran parte impervio o montagnoso, dove le singole comunità vivono in rigido isolamento. I missionari cattolici raccontano di abiure della religione cristiana dopo contrasti personali con il clero latino oppure per questioni d'onore di carattere locale.
D'altra parte l'affermarsi dell'islam potrebbe essere visto, in prospettiva storica, anche come un fenomeno di resistenza alle pressioni assimilatrici slave e greche, esercitate tra l'altro attraverso la Chiesa ortodossa ( ). Il desiderio di conservare l'identità nazionale avrebbe favorito l'accettazione della religione coranica. I turchi erano del resto geograficamente lontani e i primi nemici degli albanesi, da cui temere un assorbimento etnico, erano i popoli vicini di ceppo slavo e greco. Questa tesi gode di ampio consenso tra gli intellettuali albanesi contemporanei.
Ma torniamo alla nostra epoca. Nel 1967 l'islam, come ogni altra religione, viene bandito in Albania ( ). Questa proibizione non coinvolge evidentemente gli albanesi del Kosovo e della Macedonia tra i quali la pratica religiosa continua ( ). Sia l'islam sunnita che l'islam confraternale e derviscio -non poco diffuso nei Balcani- usufruiscono della libertà religiosa esistente nella Jugoslavia. Se oggi si confrontano i tre principali territori di insediamento albanese -l'Albania di Tirana, il Kosovo e la Macedonia- si nota che gli albanesi del Kosovo e della Macedonia sono più istruiti religiosamente e le loro moschee e chiese sono in condizioni di maggiore floridezza rispetto all'Albania storica.
Chiusasi la parentesi per certi versi irreale, extraterrestre, dell'incredibile regime di Hoxha, gli albanesi dello Stato di Tirana riallacciano immediatamente i fili delle loro tradizioni etniche, familiari ed anche religiose ( ). Heri dicebamus. Già nei primi momenti di decompressione, nel 1990, con le fughe nelle ambasciate ed il primo esodo verso l'Italia, quegli albanesi che raggiungono l'Occidente non hanno difficoltà a dichiararsi ora musulmani ora cristiani, seppure delle loro religioni nulla sappiano a parte il dato della fede professata dagli avi. Dopo il 1990, le comunità religiose riemergono dalle macerie causate dall'ateocrazia. Naturalmente gli albanesi degli anni Novanta sono tabula rasa nella conoscenza delle loro religioni, dopo che per decenni è stato persino vietato l'uso di nomi di tradizione cristiana o islamica. L'appartenenza confessionale è fatto sociologico, clanico, piuttosto che adesione consapevole ( ).
I responsabili islamici degli albanesi di ogni latitudine balcanica pensano oggi di trovarsi in una fase di transizione. Non si odono cenni alla legge islamica né contestazioni della laicità degli Stati. Questo avviene probabilmente per il senso della propria debolezza nell'attuale fase storica che in Albania è ricostruttiva ed in Kosovo e Macedonia è di resistenza all'elemento slavo dominante. Si ha però viva consapevolezza della forza numerica potenziale dell'islam albanese. Questo islam non conta solo sul 70% dei tre milioni di albanesi dello Stato di Tirana le cui famiglie hanno una tradizione musulmana. Infatti si calcola che il 95% circa degli altri tre milioni di albanesi stanziati in Kosovo, in Macedonia, in Montenegro e in Grecia sia pure islamico. Se si considerano gli albanesi nel loro insieme balcanico, la percentuale dei musulmani si colloca oltre l'80%, ciò che fa sognare ai dirigenti dell'islam albanese una futura egemonia, vuoi confessionale vuoi sociale e politica, nel quadro di quella Grande Albania che è nel cuore di ogni albanese e che forse a medio o lungo termine si realizzerà stante l'esuberante forza demografica del popolo albanese.
I capi dell'islam albanese kosovaro condividono appieno le speranze dei colleghi tiranesi e skopiani. Essi vedono nell'islam l'elemento unificante del popolo albanese diviso oggi principalmente fra tre Stati -Albania, Macedonia e Jugoslavia. Afferma Rexhep Boja, capo del Meshihat, cioè dell'islam albanese kosovaro:

"In primo luogo è nostro interesse osservare attentamente, creare una strategia nell'interesse dei nostri territori, dimostrare che questa disgraziata divisione che altri ci impongono la supereremo creando una unione tra noi, il Meshihat di Skopje e la comunità musulmana albanese, naturalmente senza dimenticare gli altri musulmani, ma sempre prendendo in considerazione il fatto che proprio gli albanesi nei Balcani costituiscono il maggior numero di fedeli musulmani. Credo che soltanto su questa base dobbiamo costruire una piattaforma fondata sul Corano e la Sunna, che è stata distrutta con la divisione dei nostri territori etnici." ( ).

Come l'islam in Kosovo corrisponde grosso modo all'etnia albanese, la Chiesa ortodossa si identifica con l'etnia serba. Il fenomeno è per certi aspetti speculare. L'ortodossia in Kosovo ha seguito -lo si è notato- le fortune della popolazione serba. Non meno dell'islam, l'ortodossia in Kosovo si nutre di nazionalismo. Anzi il Kosovo stesso, considerato "terra sacra serba" ( ), costituisce uno dei "valori eterni" della Chiesa ortodossa serba, accanto a San Sava, alla dinastia dei Nemanja, alla lotta contro i turchi, ai monasteri medioevali ( ). S'intende il cosiddetto mito del Kosovo, sia in riferimento al secolare travaglio del popolo serbo del Kosovo, sia in riferimento alla battaglia del kosovaro Campo dei Merli del 1389. Sulla vicenda di questa battaglia si fonda l'identità serba.
Il cosiddetto spirito del 1389 è centrale nella comprensione che i serbi, specie a livello popolare, hanno della questione del Kosovo anche ai nostri giorni. Questo spirito è inteso come la resistenza serba all'annientamento, secondo categorie non tanto storiche quanto mistiche. Si tratta di salvare il popolo serbo quale "popolo celeste" in forza della sua fede e della sua tragica storia di martirio. Amfilochije Radovic, futuro metropolita del Montenegro, in tempi ancora sereni per la vecchia Jugoslavia, scrive sul fatale 1389:

"La battaglia di Kosovo, interpretata dall'inizio come il Golgota del popolo serbo, ebbe ed ha tuttora un'importanza eccezionale nella formazione della coscienza non solo nazionale ma anche religiosa del popolo serbo [...] l'evidente sconfitta e la catastrofe del popolo serbo furono interpretate attraverso il prisma delle sofferenze del Cristo e del Golgota come pure attraverso l'idea del martirio cristiano, cioè come una vittoria, come perdita del regno terreno e transeunte e conquista dell'eterno regno celeste." ( ).

La tradizione popolare serba vuole che il re Lazar, prima di trovare la morte nella piana del Kosovo, abbia avuto una visione della "Gerusalemme celeste". Posto innanzi all'interrogativo su quale regno scegliere, il terreno o il divino, egli avrebbe scelto il regno celeste, ottenendo così insieme al suo esercito il martirio e la vittoria (non delle armi). Questa scelta di Lazar è stata considerata dalla Chiesa ortodossa come il momento decisivo della storia serba. Per citare ancora Radovic:

"Questa trasformazione, sulla base della filosofia cristiana della vita e della storia, di una sconfitta in una vittoria fece sì che nel corso dei secoli il Vidovdan, il giorno della battaglia di Kosovo, si mutasse da giorno di tristezza nella più grande festa nazionale serba. Senza questo cosiddetto 'mito' di Kosovo, che in realtà testimonia la cristianizzazione della coscienza nazionale e collettiva, sarebbero inspiegabili molti avvenimenti della storia serba sino ai nostri giorni." ( ).

Lo spirito del 1389 è riecheggiato nelle scelte nazionaliste serbe degli ultimi anni. In Kosovo tale spirito, politicamente interpretato, ha portato ad una dura repressione del movimento nazionale albanese. In realtà la battaglia del Campo dei Merli aveva visto schierati insieme serbi e albanesi, all'epoca tutti cristiani, contro i turchi musulmani ( ). Principi serbi erano alleati con principi albanesi: il fatto non stupisce se solo si pensa all'accanita resistenza antiturca di Skënderbeg, l' "athleta Christi" albanese, nel secolo successivo. Si deve anche ricordare, dal momento che i serbi non si accontentano del mito ma affermano il fondamento storico di uno scontro esclusivamente serbo-turco, come sul Campo dei Merli, nel 1389, vi fossero anche reparti serbi schierati a fianco degli ottomani, poiché vi erano già vassalli serbi del sultano.
La memoria storica, nei Balcani, è tanto parossisticamente esaltata quanto distorta per essere usata nella lotta politica e nazionalista. Nel caso della battaglia del 1389, né serbi né albanesi hanno oggi interesse a rammentare le vicende storiche nella loro esattezza.

Roberto Morozzo della Rocca

NOTE

1) Sull'islam balcanico cfr. per un inquadramento delle sue varie componenti A.Popovic, L'Islam balkanique. Les musulmans du Sud-Est européen dans la période post-ottomane, Berlin 1986. Cfr. inoltre, in una prospettiva anche di storia politica, Z.T.Irwin, The Fate of Islam in the Balkan: A Comparaison of Four State Policies, in Religion and Nationalism in Soviet and Eastern European Policies, edited by Pedro Ramet, Durham 1984, pp.207-225. Sull'islam nello Stato albanese di Tirana si veda R.Morozzo della Rocca, Nazione e religione in Albania (1920-1944), Bologna 1990.

2) Cfr. Z.Sulowski, Demografia storica della Polonia, in Storia religiosa della Polonia, a cura di Luciano Vaccaro, Milano 1985, pp.65-71.

3) Sulla storia del Kosovo in età contemporanea si vedano due testi ricchi di dati e di analisi: M.Roux, Les albanais en Jugoslavie. Minorité nationale territoire et développement, Paris 1992, e M.Dogo, Kosovo. Albanesi e Serbi: le radici del conflitto, Lungro di Cosenza 1992. Sulla contesa per il Kosovo tra serbi e albanesi esistono numerose recenti pubblicazioni, esemplificative delle passioni che animano le due parti in lotta. Per la parte serba si vedano tra l'altro: R.Petrovic - M.Blagojevic, Die Abwanderung von Serben und Montenegrinern aus Kosovo und Metochien, Beograd 1989 (il volume, edito a cura dell'Accademia delle Scienze serba, è in lingua serba con sintesi conclusiva in tedesco); Le Kosovo-Metohija dans l'histoire serbe, Lausanne 1990; D.Batakovic, The Kosovo Chronicles, Beograd 1992; ID., Kosovo. La spirale de la haine Les faits. Les acteurs. L'histoire, Lausanne 1993; The Serbian Question in the Balkans, Belgrade 1995 (a cura della Facoltà di Geografia dell'Università di Belgrado). Per la parte albanese: The Albanians and Their Territories, Tirana 1985 (a cura dell'Accademia delle Scienze albanese); The Truth on Kosova and Albanians in Yugoslavia, Tirana 1990; The Truth on Kosova, Tirana 1993 (a cura dell'Accademia delle Scienze albanese); e "Kosova" ("historical / political review"), edita a Tirana dal 1993.

4) Ib idem, p.33.

5) Cfr. S.Pulaha, On the presence of Albanians in Kosova during the 14th-17th Centuries, in The Truth on Kosova, cit., pp.33-47.

6) S.Skendi, The Albanian National Awakening 1878-1912, Princeton 1967, pp.469-470. Cfr. anche P.Bartl, Die albanischen Muslime zur Zeit der nationalen Unhabhängigkeitsbewegung 1878-1912, Wiesbaden 1968.

7) Si vedano fra i più recenti lavori sulla storia della Jugoslavia: P.Garde, Vie et mort de la Yougoslavie, Paris 1992; J.Pirjevec, Il giorno di San Vito. Jugoslavia 1918-1992. Storia di una tragedia, Torino 1993; S.Bianchini, Sarajevo le radici dell'odio. Identità e destino dei popoli balcanici, Roma 1993.

8) Cfr. Morozzo della Rocca, op.cit., Bologna 1990.

9) Cfr. G.H.Stein, The Waffen S.S., New York 1966; H.Sundhaussen, Zur Geschichte der Waffen-SS in Kroatien 1941-1945, in "Südost Forschungen", 30, 1971, pp.176-196; Ch.Stamm, Zur deutschen Besetzung Albaniens 1943-1944, in "Militärgeschichtliche Mitteilungen", 2, 1981, pp.99-120; Y.-M.Ajchenbaum, Une division SS islamiste en Bosnie, "Le Monde", 14-15 novembre 1993.

10) Cfr. S.Ramer, Nationalism and Federalism in Yugoslavia 1962-1991, Indianapolis 1992.

11) Cfr. Morozzo della Rocca, op.cit., e Id., Laicità e nazione nell'Albania contemporanea, "Studium", 2 (1993), pp.211-223

12) La citazione in "Groupe de Travail sur l'Europe Centrale et Orientale", Bullettin d'Information, 2, juin 1978, pp.39-40 (bollettino pubblicato dalla Fondation de la Maison des Sciences de l'Homme e dall'École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi).

13) Cfr. N.Clayer, L'Albanie, pays des derviches. Les ordres mystiques musulmans en Albanie à l'époque post-ottomane (1912-1967), Berlin 1990, e J.K.Birge, The Bektashi Order of Dervishes, London 1937.

14) "Hëna e re", 80, 1 luglio 1994, p.7, citato in N.Clayer, Identité nationale er identité religieuse chez les musulmans albanais, in Islam et laïcité. Approches globales et régionales, Paris 1996, pp.137-149.

15) Cfr. Shqiprija pays des aigles, "Revue des deux Mondes", giugno 1990, pp.42-53.

16) Cfr. il classico F.W.Hasluck, Christianity and Islam under the Sultans, Oxford 1929, 2 voll.

17) Sull'islamizzazione degli albanesi si vedano Bartl, op.cit., pp.15-30; G.Stadtmüller, Die Islamisierung bei den Albanern, "Jahrbücher für Geschichte Osteuropas", 3, 1955, pp.404-429; E.Rossi, Saggio sul dominio turco e l'introduzione dell'Islam in Albania, "Rivista d'Albania", 3, 1942, pp.200-213.

18) Cfr. in particolare H.Kaleshi, Das Türkische Vordringen auf dem Balkan und die Islamisierung. Faktoren für die Erhaltung der Ethnischen und nationalen Existenz des albanischen Volkes, in Südosteuropa unter dem Halbmond, hrsg. von Peter Bartl und Horst Glassl, München 1975, pp.125-138, e S.Juka, L'islamizzazione dei Balcani. Alcune osservazioni sull'islamizzazione dell'Albania, "Islam. Storia e civiltà", 2, 1985, pp.101-111.

19) Si veda l'ufficiale Storia del Partito del Lavoro d'Albania, Tirana 1971, pp.652-656, da confrontare con B.Tönnes, Sonderfall Albanien. Enver Hoxha's "eigener Weg" und die historischen Ursprünge seiner Ideologie, München 1980.

20) Cfr. A.Popovic, Les musulmans yougoslaves (1945-1989). Médiateurs et métaphores, Lausanne 1990.

21) Sulla rinascita delle religioni nell'Albania postcomunista cfr. R.Morozzo della Rocca, Religione dell'albanità e utopia ateocratica, "Limes", suppl. al n.1 del 1997, Albania emergenza italiana, pp.35-41.

22) Cfr. P.Resta, Un popolo in cammino. Le migrazioni albanesi in Italia, Lecce 1996

23) "Hëna e re", 80, 1 luglio 1994, p.7. Citato in Clayer, Identité..., cit.

24) Cfr.D.Djordjevic, Il cristianesimo ortodosso serbo e la chiesa ortodossa serba nella seconda e nella terza Jugoslavia, "Religioni e Società", maggio-agosto 1996, pp.28-42.

25) Cfr. A.Popovic, Les rapports entre l'Islam et l'Orthodoxie en Yougoslavie, in Aspects de l'Orthodoxie. Structures et spiritualité, Paris 1981, pp.169-189.

26) Radovic, I serbi e la loro Chiesa nel corso dei secoli, cit., p.171

27) Ibidem, p. 172.

28) Cfr. Dogo, op.cit.

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