LA VENDETTA ED IL PERDONO
NELLA TRADIZIONE CONSUETUDINARIA ALBANESE
di Mirie Rushani
Università di Tetovo (Macedonia)
SOMMARIO

LA VENDETTA NEL DIRITTO CONSUETUDINARIO ALBANESE

IL CODICE DEL SANGUE

GJAKMARRJE
“PRESA DEL SANGUE” MA NON VENDETTA

TRA LA SAGGEZZA DEL CANONE ED IL PARADOSSO CRISTIANO

"VENDETTA" E PERDONO INSIEME NELLA STESSA LEGGE

PERDONO E RICONCILIAZIONE


Il fenomeno della vendetta (1) fa parte dei temi che si considerano più importanti nella storia della letteratura, e che occupa un notevole spazio. Come fenomeno che segue la vita umana dalle prime civiltà fino ai giorni nostri, la troviamo presente fin dalle prime scritture tra l’altro anche come istituzione di giustizia. La vendetta era la giustizia preferita dagli dei pagani. Nel periodo cristiano è ancora presente come timor di dio che si vendica.Come fenomeno che segue il destino e la coscienza umana così a lungo e in forme diverse, ha offerto sempre agli scrittori possibilità e materiale sufficiente per tirare fuori le più grandi discussioni sui significati fondamentali della vita e della morte, e certe volte per trasformare anche la sua brutalità in grandi valori letterari ed estetici. Ma purtroppo non si può dire che esista una altrettanto ampia letteratura scientifica sulla vendetta. Le ricerche scientifiche esistenti, per quanto siano profonde, rappresentano quasi sempre solo un punto di vista del fenomeno oppure solo un aspetto di esso, perciò c’è ancora troppo buio in questo campo. Quindi è molto chiaro che non si può pretendere troppo nello studio di questa materia senza una ricerca sistematica e multidisciplinaria giuridica, psicologica, sociologica e religiosa, senza escludere l’etica e la mitologia.
Tenendo conto di questo fatto, non si pretenderà in questo saggio di destreggiarsi in tutti questi campi e punti di vista. Lo scopo di questo lavoro è molto più semplice, di dare alcuni informazioni generali solo sulla vendetta del sangue ed il perdono, come due istituzioni più importanti di una determinata tradizione consuetudinaria (2). Si sono scelte solo queste due istituzioni perchè ci sembra che rappresentino un caso unico di stretta convivenza tra due concetti di giustizia estremi, e contrapposti, che sono riusciti a svilupparsi in due sistemi paralleli di valori in una stessa legge, e chè servono allo stesso scopo.
Qui si parlerà solo della vendetta codificata che si basa su una morale e giustizia ben precise,. che ha una lunghissima storia e larga presenza nella vita e nella cultura tradizionale di una vecchia nazione. Quindi parleremo della vendetta che aveva una propria legge (codice) il cui scopo generale era l’equilibrio sociale (spirituale, materiale, ecc.) della società.. Bisogna dire dall’ inizio chè, in generale, la vendetta albanese come istituzione giuridica e morale assomiglia molto alla vendetta degli altri popoli più antichi d'Europa di cui fanno parte anche gli albanesi, ma ci sono anche notevoli differenze causate sicuramente dalle proprie circostanze sociali e storiche. Le differenze più grandi si trovano specialmente nella maniera in cui si concepisce la vendetta, sia confrontando tra di loro queste culture, sia all’ interno di una stessa cultura, e della stessa legge, a seconda dei diversi periodi storici. (3)
Nella vita come nella letteratura spagnola, inglese, tedesca, italiana e francese, il fenomeno della vendetta, oppure faida (4), è più o meno presente fino al secolo scorso. In Corsica, in Sardegna , in Scozia e tra gli albanesi è sopravvissuta fino ad oggi. Tra gli albanesi la legge sulla vendetta non è più in vigore, ma ci sono i resti di questa legge in un territorio molto limitato e precedentemente montagnoso che ha conservato egoisticamente la propria tradizione, per cui questa legge la troviamo nella letteratura con un nome molto sbagliato di legge delle montagne oppure dei pastori.

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LA VENDETTA NEL DIRITTO CONSUETUDINARIO ALBANESE

Il diritto consuetudinario albanese, di cui fa parte anche l' istituzione della vendetta, è una legge non scritta che si tramandava a memoria da tempi molto antichi. E’ stata raccolta e scritta molto più tardi, cioè in questi due ultimi secoli, da diversi ricercatori (5). E’ una legge in cui si sono successivamente accumulati diversi “strati” dall'antichità fino ad oggi.. In esso troviamo elementi del manismo, animismo, totemismo, di religioni pagane e del cristianesimo.
Questo diritto lo si considera come uno dei più antichi dell'Europa e del mondo (6). Cercando le radici storiche del Diritto Illirico-Albanese, gli studiosi del diritto comparativo concludono che esso è più vecchio della "Legge delle XII Tavole" e lo paragonano all'antica "Legge Manu" (Manava-Dhama-Sastra), supponendo che abbiano la stessa origine (7). Si suppone che questo Diritto esistesse nell’ Illiria anche nei tempi preromani (8). Infatti l'Illiria, come una delle Quattro Prefetture dell'Impero Romano, aveva il proprio diritto autoctono riconosciuto dal governo romano. Questo lo confermano diverse fonti storiche, ed anche il noto giurista romano Ulpiano dice che il governatore romano della provincia prendeva in considerazione il diritto locale. Anche dopo la Legge di Caracalla (anno 212 d.C.), questo diritto consuetudinario locale ha continuato ad essere in vigore nella pratica giuridica (9). E’ molto probabile chè questo diritto fosse fortemente collegato con la loro religione. Bisogna aggiungere anche il fatto che lo conoscevano benissimo quasi tutti gli imperatori romani di origine illirica, e specialmente Diocleziano, Constantino e Giustiniano. Alcuni studiosi concludono che questo diritto ha esercitato un’influenza considerevole anche sul Diritto Romano e sul Diritto Bizantino. Altri studiosi sono del parere che questo diritto ha esercitato una tale influenza anche sul Diritto Ecclesiastico (10). In tutta l’epoca sotto il dominio turco, in Albania e specialmente nelle regioni del Kossovo, Dukagjini e Mirdite, c’è sempre stato un sistema giuridico parallelo che rappresentava una propria forma di autoamministrazione e di autodifesa. Il governo turco, in cinque secoli di dominio, non è riuscito a sopprimere l'applicazione di queste leggi. I governatori turchi si lamentavano che nelle terre degli albanesi si ignorava la legge ufficiale dell’ impero (11 ). Lo stesso succederà anche agli altri dominatori dopo i turchi. Una tale forza di queste leggi proveniva dalla sua funzione protettiva della propria comunità.
Ma questo non è solo un diritto, una legge, esso è - come dice lo scrittore Kadaré - un colossale mito che ha assunto la forma di una costituzione, una ricchezza universale, dinanzi alla quale il codice di Hamurabi e le altre legislazioni di quei paesi si riducono a giochi infantili. Esso è infatti, più che una semplice Costituzione e Legge, quasi un completo sistema giuridico e sociale che include anche altre norme che non appartengono del tutto alla sfera giuridica.Questo diritto riflette, in una certa misura, i cambiamenti successivi che hanno subìto gli Albanesi attraverso i processi storici, ma costituisce anche una testimonianza della loro integrità spirituale, di riflessione e di organizzazione; ricca di espressioni “auto-riflessive” del proprio universo culturale, sistemato in un codice completo che riguarda tutte le sfere della vita di una società cosciente di costruire le condizioni con le quali definisce la propria identità.
Gli albanesi lo chiamano "Ligji i Vjetër" (Legge Vecchia, Legge Antica), "Ligji i Ligjeve" (Legge delle Leggi), "Ligji mbi Ligget" (Legge al di sopra della Legge, oppure Legge Fondamentale), "Kanuni i Vjetër" (Canone Vecchio). Ci sono anche altre denominazioni particolari : "Kanuni i Skenderbeut" (Canone di Skanderbeg), "Kanuni i Lekës" (Canone di Leka), "Kanuni i Lekë Dukagjinit" (Canone di Leka Dukagjini), "Kanuni i Maleve" (Canone delle Montagne), “Ligji i Dibrës” ed altre denominazioni che si riferiscono a regioni particolari, e che differiscono un poco, tra di loro, ma che si fondano tutti sulla Legge Antica.. Questi nomi particolari della stessa Legge cominciano ad essere usati dal Medievo in poi, precisamente dall'epoca dei Principati Riuniti Albanesi (1444), quando l’Albania diventa una Confederazione (12). Questa è una data importante per la Legge Antica perché, in certi punti, viene riformata e modificata. Da questo momento in poi si permetterà ad ogni principato di decidere nel proprio territorio tra la tradizione e le nuove proposte portate avanti in questa occasione. Questa è una delle ragioni del fatto che questa legge, da ora in poi, avrà tanti nomi regionali.
Sono riusciti a sopravvivere meglio solo due di questi canoni: "Il Canone di Skenderbeu" e quello di "Leka Dukagjini". Ci serviremo questa volta di quest’ ultimo perché è il più completo, e si crede che in esso sia contenuto tutto il corpo della Legge Antica. insieme con le nuove definizioni, e soprattutto perchè è rimasto l’ultimo ancora vivo. Questa legge non è più in vigore, ma le sue norme non sono scomparse né come regolamentazione dei rapporti sociali né come devozione verso alcuni simboli di essa che sono rimasti comuni per tutti gli albanesi sia in Albania chè fuori: Kossovo, Macedonia, Montenegro, Epiro e tutte le altre regioni albanesi in Grecia.
Il "Canone di Lekë Dukagjini", contiene 12 Libri oppure Canoni (secondo l’ordine sistematico di Padre Shtjefën Gjeçovi O.F.M.): 1.La Chiesa; 2.La Famiglia; 3.Il Matrimonio; 4.La Casa, poderi e bestiame; 5.Il Lavoro; 6.Prestazioni e donazioni; 7.La Bessa (Parola d’ onore oppure Parola data); 8.L'Onore; 9.I Danneggiamenti; 10. Il Canone contro le malvagità; 11.Il Codice giudiziario; 12.Privilegi ed esenzioni. Le stesse materie le troviamo anche nel "Codice di Skenderbeu" e negli altri codici, anche se con un diverso ordine.
Questa Legge prevede un gran numero di norme di comportamento a seconda delle diverse situazioni, dalla nascita fino alla morte. Si può definire come una codificazione totale, precisa e dettagliata per una società complessa e complicata: esamina e salvaguarda le istituzioni ed i processi in corso, rinforza la matrice tradizionale dei valori, stimola un determinato modello di comportamento, scoraggia e severamente sanziona il contrario. Nel caso in cui certe circostanze sono rimaste fuori del suo controllo, allora viene rinforzata la logica immanente dell'ethos, con istruzioni per una coscienza pulita.
Una delle prime domande che ci si pone è : “se le condizioni e le circostanze nelle quali è nata questa Legge non esistono più, e nemmeno la società definita da essa, come è riuscita a sopravvivere fino ad oggi, dopo una lunghissima storia, ed essere rispettata, anche se in un modo e in un territorio molto limitato?”. La risposta si trova dentro la sua struttura e nel suo sistema di valori e di scopi universali e permanenti, di illimitata validità. Ecco perché, nonostante le circostanze nelle quali è nata questa Legge, indipendentemente dal fatto che funzioni o no come “instantia rispectiva” (legge in vigore), essa è ancora, in diversi modi, vivente. Non c’è dubbio che qui ha avuto un grande ruolo il suo sistema dei simboli, come parte di un sistema sociale classico con chiare connotazioni, ad esempio, di una religione particolare. Noi ci soffermeremo solo sul simbolo del sangue che è strettamente legato con il fenomeno della vendetta. Cercheremo di dare un quadro più chiaro della legge che definiva e regolava le disposizioni sulla vendetta del sangue, e di trovare il mistero della lunga vita di questa legge.

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IL CODICE DEL SANGUE

Uno dei codici piu importanti di questa legge è il Codice del Sangue, una legge sulla protezione del sangue e della vita. La sua preoccupazione centrale è quella di difendere la vita in generale con meccanismi ben precisi, condannare i crimini contro la vita umana, senza trascurare nemmeno la vita degli animali, specialmente quelli della casa. Come si vede dai suoi precetti fondamentali, questo Codice, come gli altri codici civili della Legge Antica Albanese, cercava sempre modi per arrivare ad una giustizia assoluta. Però, in quale direzione andava per realizzare questo suo scopo?
Davanti ad esso si ponevano sempre due aspetti fondamentali della giustizia, quello ritorsivo o retributivo (vendetta, faida) e quello riparativo (perdono e riconciliazione). Dato che l’obiettivo di una tale giustizia assoluta verso la quale mirava sempre questa legge, non si raggiungeva mai attraverso il primo modello, occorreva bilanciarlo con l’altro modello. Così il perdono stava sempre vicino alla vendetta anche se esso comincerà a svilupparsi in un proprio paradigma solo nel medioevo, secondo le poche notizie che abbiamo. Però, per fare modifiche profonde come richiede questo secondo modello, in una Legge-Mito millenaria, bisognava prima fare grandi cambiamenti nella coscienza collettiva. Inoltre, in questo caso, ci sono due modelli estremi che si contraddicono, per cui ogni cambiamento in favore del secondo paradigma si è fatto con grande difficoltà. La forza che tendeva continuamente a far superare il primo modello era il Cristianesimo che si radicava sempre più profondamente nella vita di questa popolazione. Però questo non era facile, perchè la Legge Antica riusciva a convivere con la nuova religione avendo già, al suo interno, il filone della coscienza pulita e del perdono. Per questa ragione la Chiesa, con i suoi precetti, viene protetta debitamente da questa Legge.
Il primo passo formale verso il secondo modello si è fatto precisando il significato di “ritorsivo” e “riparativo”: nel senso di mettere a fuoco che cosa può essere riparato e cosa non può esserlo. Il togliere la vita non può essere assolutamente riparato. Però, secondo questa ricodificazione, può essere “riparabile” ogni danno materiale, le ferite corporee, anche quelle più gravi, eccetto che la morte. Ad esempio una ferita corporea può essere compensata economicamente, oppure può essere perdonata.
Tra i cambiamenti della Legge avvenuti nello stesso periodo, ci sarebbe stato anche lo spostamento, da un codice all’altro, dell’offesa d’onore, oppure la ridefinizione dell’onore. In questo caso l’onore cessa di essere considerato materia del Codice del Sangue. Perciò dopo il secolo 15mo non si considera dello stesso valore del sangue. “non si sparge sangue per nessun danno, oppure offesa personale”. Invece rimane in vigore solo l’onore della casa perchè “la casa dell’Albanese è casa di Dio”. “Non si può sparare verso di essa, oppure minacciarla”, perchè ciò rientra nella categoria dei sacrilegi che richiedono il debito del sangue.
Dopo questi cambiamenti la situazione è già più cristalizzata, il Codice del Sangue si occupa solo della giustizia penale. In questo caso si esclude la giustizia riparativa, perchè la morte come atto assoluto è irreparabile; la vita ha un prezzo solo che è la vita. Quindi resta in vigore l’istituzione della vendetta del sangue, ma solo come punizione del delitto e delle cose che si considerano delitti. E’ proprio in questo punto che resta un nodo non facile da sciogliere: fare giustizia per un delitto compiendo un altro delitto. Il paradosso di questa legge sta proprio nella filosofia della giustizia ritorsiva, che tenta di realizzarsi mettendo il segno dell’ equivalenza tra il male del reato e quello della pena, tra la vittima e l’aggressore. Senza dubbio in questo nodo c’erano intrecciati anche altri elementi non giuridici ma mitici che esercitavano una grande ifluenza sulla forma della giustizia, come al primo posto il mito del sangue. D’altra parte, la presenza del Cristianesimo, che per un millennio e mezzo aveva esercitato un‘influenza notevole nella trasformazione interiore della persona, faceva continuamente pressione su questa Legge, e piano piano penetrava all’interno di essa, affermando sempre più il senso del peccato, aiutando a realizzare il valore del perdono presente nella Legge Antica, portandolo da una posizione secondaria e marginalizzata a svilupparsi in un vero e proprio paradigma giuridico e morale. Così si può dire che la giustizia di questa Legge viene basata su due binari, sulla giustizia ritorsiva (punitiva) e quella riparativa (perdono).
Quando si parla del cambiamento di questo tipo di Legge non bisogna pensare che sia una cosa semplice. Nella storia di questa Legge sono stati fatti molti tentativi, non solo per superare l’aspetto ritorsivo dando il primato all’aspetto riparativo, ma anche per sradicare per sempre l’aspetto ritorsivo come forma di giustizia. Un tentativo di questo genere, di importanza storica per questa legge, è stato fatto nell’anno 1444, nella Grande Assemblea dei Principi e Signori Albanesi di quel tempo, tenuta a Lezha (Alessio) (12), e convocata dal Re Gjergjie Kastrioti-Skenderbeu (13). Il Re aveva proposto dapprima l’abolizione della vendetta. Non trovando un appoggio sufficiente alla sua proposta, per non inasprire le relazioni con i suoi principi in un momento così pericoloso, per la minaccia dei Turchi ai loro principati, non insistette. Però, d’altra parte, è riuscito ad introdurre il nuovo tipo di perdono e di riconciliazione. In questa assemblea c’era una parte che si è messa in difesa della forma tradizionale di questa legge. Ma i più forti tentativi erano quelli di rinforzare e di radicalizzare ancor più il paradigma ritorsivo. Questo si considera come il confronto più aspro nella storia di questa Legge che ha portato al blocco dei lavori dell’Assemblea per tre giorni di seguito. La discussione si è limitata alla scelta tra la vecchia definizione e la nuova.
Dall’altra parte, il molto autorevole Principe Leka Duka-Gjini non accettava categoricamente l’abolizione di questa legge, al contrario ha chiesto di rinforzare il paradigma ritorsivo giustificandolo non solo con le circostanze storiche e politiche, ma anche con una certa sua filosofia. Con questo suo atteggiamento il Principe voleva introdurre la faida, che era in uso in altre società europee. In quel caso il re Kastrioti trovò che la Vecchia Legge del Sangue era più giusta, quindi semmai nessuno fosse d’accordo di abolirla, preferiva rimanesse la Vecchia Legge, di cui il principio fondamentale era: “Soltato l’omicida cade nella vendetta del sangue” (Paragrafi 898-900). Questo significa che la famiglia dell’ucciso non poteva inseguire né uccidere alcun parente, nipote o cugino dell’ omicida, ma solo quest’ultimo. Invece la nuova proposta del Principe Leka Duka-Gjini, coinvolgeva., nella Legge della vendetta, tutti i maschi della famiglia, cioè la responsabilità dell’ omicida diventava responsabilità collettiva.
La formula di Dukagjini “Sangue per sangue perché l’apparenza viene da Dio“ (Libro X, l24, articolo 886 e 887), considera di pari valore la vita di ogni membro maschio, senza prendere in considerazione le loro qualità personali oppure la loro posizione (classe) sociale, perché “Il prezzo della vita umana è uguale, sia per il buono che per il cattivo“. Questo articolo sicuramente è stato provocato da una pratica precedente, quando certe volte il sangue di un bambino ucciso oppure di un handicappato, veniva perdonato. D’altra parte il perdono del sangue, nella pratica, si faceva anche a causa della paura della famiglia dell’omicida, se essa era più forte di quella della vittima. Con questa nuova interpretazione si intendeva fermare ogni valutazione e calcolo libero, per non lasciare spazi vuoti nella legge che potessero creare confusione nella società.. Con questo si proclamava un’eguaglianza assoluta della gente, almeno nell’ atto della morte: “Dio non fa distinzioni fra uomo e uomo. Il cattivo nasce dal buono e il buono dal cattivo”.
A causa delle divergenze, specialmente tra Skenderbeu e Lek Ducagjini, si decise in modo democratico che ognuno dei vari principi era libero di scegliere per il proprio territorio tra le diverse possibilità. Questo è il motivo per cui, nelle diverse provincie etniche albanesi, ci si comporta diversamente riguardo alla vendetta, dato che in alcune regioni essa sparisce presto, mentre invece si stabilizza solo in una regione che sarà proprio quella del Ducato dei Duchi Gjini (Dukagjini). Questo diverso comportamento è collegato anche al fatto che tutti gli altri principati, quelli in cui la vendetta sparisce presto, sono nel sud dove si ha uno sviluppo maggiore dell’economia, e dei processi di urbanizzazione, ed, in collegamento con questi, anche una perdita del tradizionale ruolo della famiglia patriarcale; mentre quello di Dukagjini è prevalentemente montuoso, dove ha persistito più a lungo l’economia rurale ed il modo tradizionale di vita.
Questo momento storico è fondamentale per il perdono e la riconciliazione che saranno arricchite da valori cristiani. Infatti il Re Kastrioti (Skenderbeu) ha indetto la “Grande Riconciliazione ed il Perdono” tra tutti gli albanesi rinforzando l'unione all’interno del popolo albanese. Questa riconciliazione diventerà famosa e sarà molto efficace, nei 25 anni successivi, nelle battaglie contro i Turchi. Nell’ occasione di una riconciliazione di tale ampiezza, gli albanesi avevano proposto anche all'Europa disunita di fare una grande alleanza cristiana contro il nemico comune. Per questo il poeta ugonotto francese Agrippa d'Aubingé, nella sua opera "Les Tragiques" (14), propone agli europei di superare le divisioni tra i vari paesi, di lanciare una riconciliazione tra di loro, prendendo a modello l'Albania di quel tempo e la saggezza del suo Re, con il richiamo: "Imitez Scanderbeg." (Nella stessa maniera si espressero anche Ronsard, Montaigne, ecc.).

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GJAKMARRJE
“PRESA DEL SANGUE” MA NON VENDETTA

In tutti i Codici della Legge Antica albanese, non esiste la parola "vendetta", né come parola né come concetto. C’è solo il simbolo del Sangue che è uno dei simboli centrali. Il sangue è un simbolo mistico e sacro, probabilmente antichissimo, e sinonimo della vita verso la quale si mostra gran rispetto e devozione. Quindi qui è codificata "la difesa del sangue" e della vita, da dove proviene anche "il dovere verso la difesa del sangue", che non è una difesa semplice. Perchè il sangue è nello stesso tempo un oggetto di giustizia, quindi si chiede di prendere il sangue solo per il sangue innocente versato. E’ lui che chiede di essere restituito, "ritornato": "Gjaku nuk humb" (Il sangue non si annienta). Non c’è dubbio che qui si tratta di una reliquia di un'antichissimo sistema di simboli sacri, forse di una religione pagana.. Secondo questo sistema simbolico, il sangue versato non muore insieme con il corpo ma molto più tardi, a seconda dello stesso sangue. Probabilmente c’era qualche credenza in relazione con l' anima, o qualcosa di simile dentro al sangue, oppure si è identificato il sangue con l’anima. E’ molto difficile ricostruire adesso questo mito antichissimo, perché ne sono rimasti pochissimi elementi che non offrono un materiale sufficiente per completare il suo significato d'origine. Ecco solo un frammento rimasto di tutto questo: i vecchi raccontavano che nell’ antichità, i loro antenati, quando era possibile prendere un pò di sangue fresco della persona uccisa, lo mettevano in un recipiente e lo tenevano come una cosa viva . Il sangue stesso sarà quello che chiederà di "non essere perso, annientato". Quindi quando esso si inquieta, si ribella, fermenta, oppure si sciupa, questo viene considerato come segno di una rivolta contro l’ingiustizia commessa. Per non farlo morire definitivamente e, per non “perderlo", bisogna riprenderlo velocemente (da chi ha commesso il delitto). Non è il caso di entrare più profondamente in questo mito, e nel sistema dei valori sacri di questa legge, ma cerchiamo di trovare un significato pratico. Dunque il sangue versato, quando è innocente si rivolta contro l’ingiustizia subìta. Il sangue innocente "perso", oppure "morto", non è di fatto una giustizia persa oppure morta? E la giustizia non è la condizione principale per una vita di società? Dunque, la ribellione contro l’ingiustizia è il principio che sta alla base della “presa del sangue”.
Con questa legge è severamente proibita e sanzionata come sacrilegio (delitto più grave) la vendetta del sangue come tale. Usare per il sangue la parola "vendetta" sarebbe un'offesa per la Legge e per il sangue, perchè nella parola "vendetta" è sottinteso dell’ odio. Invece il Canone del Sangue, nella tradizione albanese, proibisce e punisce severamente ogni tipo di odio, specialmente in relazione con il sangue. Quindi si dice : "bie në gjak" (cadere nel sangue, e cioè cadere nel debito del sangue), "gjaku merret" (il sangue si prende), "kthimi i gjakut" (la restituzione del sangue), ecc., ma non si usa invece la parola vendetta.
Nella Vecchia Legge Albanese, fondamento degli altri canoni regionali, il valore del sangue è unico e si può pareggiare solo con sé stesso. "Gjak për faj nuk jet" (Sangue per danno e per offesa non si versa), per nessun danno assolutamente, per quanto grande sia, nemmeno per offese o minacce. I danni sono danni e si misurano secondo il loro peso previsto dalla Legge (Articoli dal 909 al 915). Perché "... la colpa (il danno) rimane sempre colpa (danno) ed il sangue sempre sangue...", " Il sangue non si perde mai" (Art.917), "Il danno si punisce, si castiga... Il sangue non diventa pena, castigo" (Art.919)
Però c’é una eccezione, quando l' offesa all’onore della donna costa sangue. Perché l’ onore della donna è concepito come somma di onori ed anche qualcosa di più. Lei è portatrice dell'onore della sua famiglia d'origine, dell'onore della famiglia di suo marito, dell'onore del suo marito, dell'onore dei suoi figli e figlie, dell'onore proprio, ma anche dell'onore di tutti i suoi discendenti. Ecco perché "La fucilata sparata per la donna violentata, non cade nel sangue, e nemmeno si punisce" (Art.953). In questo caso la dignità e l'onore della donna hanno un massimo valore. Lo scopo di questa disposizione è molto chiaro : creare condizioni normali e di sicurezza per la donna. Perciò nella letteratura si è parlato molto della donna albanese che si muove liberamente nelle campagne e nelle montagne.
Per questo, colui che violenta una donna viene considerato come un barbaro ed un bastardo il cui sangue non è degno e valido, perciò se si versa questo sangue non rimane nessun debito. Questo è l'unico caso in cui si tratta di "liquidazione" del sangue. Da tutto ciò emerge chiaramente quanto sia forte il controllo sociale dell' igiene morale della persona e della società.
A proposito del sangue della donna, che è un argomento speciale di questa Legge, e che viene definito in certe disposizioni come “metà sangue”, non bisogna concludere subito, come hanno fatto tanti studiosi mediocri, che il sangue della donna è meno prezioso. Qui abbiamo a che fare solo con il diritto e la padronanza del sangue della donna. La verità è che il diritto-dovere alla difesa della donna, che si considera parte indifesa della società, viene diviso a metà tra la sua famiglia d' origine e la famiglia di suo marito.
Di chi è la padronanza del sangue e di chi è il dovere del sangue?. C’è una padronanza indiretta della collettività che si esprime come sorveglianza oppure come culto comune, e c’è la padronanza della famiglia più ampia oppure di quella ristretta, mentre debitori del sangue sono tutti coloro che hanno versato un sangue, anche se si tratta di un delitto commesso senza volere. Debitori sono anche i parenti dell’ uccisore, però, secondo questa Legge, la parentela albanese continua all’ infinito (Art.695): " l'albanese non dà e non riceve per i quattrocento focolai successivi, cioè non si sposano tra di loro" (Art.697). Questo significa anche padronanza sulla vita, sulla dignità e sul loro sangue, e nello stesso tempo un dovere comune per un sangue versato da parte di uno di questi. Però, con la trasformazione della struttura familiare, anche per questo canone, la padronanza ed il dovere del sangue si è limitato a poco a poco all’interno della famiglia più ristretta, cioè all’interno della famiglia che vive sotto lo stesso tetto.
Qui c’è ancora un'altra eccezione. Deve un sangue colui che uccide un ospite, anche se questi risultasse debitore del sangue verso di lui, o non lo protegge in modo adeguato, perché l’ospite è sacro e "la fiducia non deve essere tradita" (Art. dal 640 al 652). Ma non deve sangue né il prete (i religiosi ) né la donna : "Gruaja dhe prifti nuk bien ne gjak" (Art.897 ed Art.10), perché si considerano “indifesi”, ma, nel caso che uno di loro commetta un delitto, è la loro famiglia che è obbligata a restituire il sangue. Come si vede, la presa del sangue nel senso pragmatico non è altro che un diritto di difendere l'indifeso dalla mano dei prepotenti, delle persone aggressive,ecc. Quindi non è per caso che in tutti questi Canoni si difendono in maniera speciale la donna, i religiosi, i bambini, i vecchi e anche il nemico senza armi.
Non è il caso qui di entrare più a fondo nella struttura del Codice del Sangue, perché questa materia è molto ampia e complessa. Quello che vogliamo concludere è che nel Diritto Consuetudinario Albanese si esclude la vendetta come espressione di odio. Ecco un esempio più concreto: secondo le regole, se il sangue versato non si prende subito, dopo 24 ore entrano in vigore le disposizioni della Legge, e l'intermediazione da parte del “Consiglio degli Anziani” del paese. Questo, in nome dell’ uccisore, chiede di far la pace con la famiglia della vittima, e se ciò viene concesso si apre una tregua di un mese e ci si impegna con la "Bessa"- un'altro simbolo sacro della Legge, che ha un valore di garanzia assoluta -. In questo caso l'uccisore è obbligato a partecipare al funerale della sua vittima. Al ritorno dal cimitero, lui è tenuto a partecipare anche al "Pranzo del defunto" insieme con i familiari, gli amici ed i parenti dell'ucciso. Egli sta al centro dell' attenzione. Non basta il fatto che sia venuto a mostrare il massimo rispetto per l'ucciso, se nel suo viso e nel suo comportamento si vedono anche piccolissime tracce di orgoglio, di vendetta, oppure di odio, in questo caso non ci sarà sicuramente il Perdono. Cosìcchè, dopo un mese, quando scade la "Prima Bessa" e si è verificata una certa colpa (colpa è la vendetta, l'odio, l'orgoglio, ecc.), lui diventa vero debitore del sangue e non c’é più speranza di perdono, né di riconciliazione, perché in questo caso si rifiuta ogni ulteriore procedura.
Ci sono altre sanzioni più severe su questo argomento. Per esempio, si considera un delitto molto grave l’aver infierito sulla persona uccisa: chi massacra una persona uccisa "per presa del sangue", col coltello o in altra maniera, è doppiamente colpevole, deve due vite, cioè due sangui.; colui che prende il sangue non può offendere in nessuna maniera, nemmeno con parole e con gesti, la sua vittima, né prima né dopo la morte. Neanche può derubare la sua vittima perché " ... se succede una tale vergogna , si cade in due sangui “ (Art.847).
E’ difficile trovare qui quell’orgoglio della vendetta come virtù, come si definiva nell'antichità, oppure nel Medievo, ed anche più tardi in tutta Europa.. Qui c’è un problema da risolvere: quale è l'origine di questo concetto, che sta molto vicino alla vendetta ma anche molto lontano?. In una eventuale religione particolare antica, che forse aveva in sé anche elementi che poi saranno evidenziati dal Cristianesimo, oppure in qualche riflessione dal Vangelo?
In questa Legge c’é anche un paradosso: il sangue così prezioso e così sacro, lo si può perdonare. Forse proprio qui si nasconde la risposta alla domanda precedente.

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TRA LA SAGGEZZA DEL CANONE ED IL PARADOSSO CRISTIANO

Il Cristianesimo arriva in mezzo agli Albanesi con gli Apostoli stessi. Quindi per quasi due millenni conviveranno insieme il Codice ed il Vangelo. Il problema non consiste nell'arrivo di un nuovo Dio, ma nel paradosso che Cristo porta e che è difficilmente spiegabile. Il carattere divino della persona umana non era un fenomeno né nuovo né strano: ma lo è il fatto che non difenda il suo sangue, la sua vita, da nessuno, nemmeno da Dio, suo Padre. Per il Canone questo sarebbe stato un sacrilegio. Quello che fa la gente, i suoi allievi, gli amici ed il Padre suo, verso un uomo indifeso e innocente (Gesù) è un vero scandalo. Per il Canone, questa è indifferenza di fronte alla violenza, una cosa immorale molto grave. Il sangue e la vita non sono cose sacre? E la loro protezione non è un dovere? Sì, dirà anche il Vangelo. Ma il paradosso sta nell'altra parte. Nel primo caso la difesa della vita è conseguita con la restituzione del sangue - che ha un vero e proprio valore mistico - perso a causa di una violenza, attraverso un altro atto simile; invece nel secondo caso è conseguita attraverso la sofferenza, attraverso la propria morte che trasfigura e restituisce la vita. Da questo punto di vista, il Vangelo si contrappone radicalmente alla saggezza del Canone. Però, da due millenni sono in vigore tutte e due i sistemi di valori, due grandi regni che non potevano mai conciliarsi del tutto, e nemmeno confondersi. Come potevano convivere se non tramite lo sviluppo e la rivalorizzazione dell'istituto del Perdono e della Riconciliazione che erano due elementi in comune?. Questo significa che i Patriarchi di questa Legge avevano capìto fino in fondo il linguaggio cristiano; oppure che c’erano nella loro religione già dei semi o dei germogli che hanno preceduto il Cristianesimo e reso più facile l’ accettazione dei suoi insegnamenti.
Più che la loro saggezza, nel sistema di costruzione della Legge c’è sempre stato un meccanismo aperto che permette una continua ramificazione, ed anche un meccanismo con il quale ogni tanto si mette in funzione la logica dell'ethos, cioè della coscienza pulita vicino al "Peccato" ed al Comandamento "Non uccidere". Quindi non è che questa Legge non conoscesse la possibilità di impedire il male senza violenza. Una tale possibilità era sempre interna alla Legge definita molto chiaramente come Perdono e Riconciliazione, un vero germoglio del Perdono Cristiano. Qui ci è impossibile far vedere la bellezza di questo gesto attraverso le citazioni sia dei Canoni che della letteratura albanese, per comprendere la grandezza del Perdono del Canone come virtù, specialmente il perdono delle offese e del sangue. Attraverso questo fatto si può dire che il Canone si avvicina in misura singolare al clima cristiano. Qui è così chiara la ricerca e "l'attesa" della "buona novella".

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"VENDETTA" E PERDONO INSIEME NELLA STESSA LEGGE

Vendetta e perdono sono due delle istituzioni più note della Legge, tutt’e due definite come virtù, e le troviamo insieme anche nei suoi strati più antichi. Tutt’e due sono nate dalla stessa necessità: impedire, oppure scoraggiare e ridurre l'aggressività dei più forti, di non fare quello che essi vogliono e possono; dar vita ad una società di pace e giustizia. Quindi "Gjakmarrja" ( la presa del sangue) oppure la "vendetta" (la scriveremo tra virgolette), è una risposta all'ingiustizia. "L'ingiustizia si vendica oppure si perdona"- dice la Legge. Lo scopo è quello di eliminare il conflitto dalla radice, togliendo spazio all’arbitrio del più forte. Ecco perché queste due istituzioni le troviamo sempre una accanto all’ altra.
Nell’ opinione corrente e superficiale è profondamente radicata la convinzione stereotipata che tutte le forme della vendetta codificata dimostrino una feroce crudeltà e brutalità della società che le porta avanti. Il Diritto Consuetudinario Albanese può dare molti esempi, invece, di come la "vendetta" sia una obbligo generale della famiglia, e si elabori dettagliatamente come risposta, ed estrema soluzione, nei confronti dell’ingiustizia in una società dove il comportamento aggressivo è a livelli molto elevati. Quindi, questa Legge Albanese che segue la società fin dall'antichità, cercava sempre strumenti per ridurre la violenza e non per stimolarla.
Se si può entrare dentro la struttura molto complicata di questa Legge, senza accettare gli stereotipi ed i pregiudizi negativi, vedremo che tutte le disposizioni sulla "vendetta", ed anche l'istituzione della "vendetta" stessa, rappresentano un’ istanza molto chiara di violenza difensiva. Nel caso degli Albanesi, che sono stati per lunghi periodi sotto diverse dominazioni, si poneva sempre il dilemma: contraccambiare la violenza per sopravvivere, oppure perdonare?. Il Perdono è il segno centrale di questo sistema di valori e della mentalità generale. D'altra parte perdonare in certe condizioni, e cioé dove predomina l’aggressività dei più forti, potrebbe significare suicidarsi. Quindi, malgrado la resistenza al primo modello, quello della “vendetta”, la necessità di sopravvivere alle violenze altrui ha portato ad approvare un certo sistema di sanzioni. Proprio per questo grande dilemma tra Perdono e "Vendetta", il Canone Albanese è differente da tutti gli altri canoni. Mentre le altre culture che dimostrano un alto livello di comportamento aggressivo, possono sfruttare ogni tipo di valore astratto sociale, per stimolare azioni di larghe proporzioni come, per esempio: conquiste, invasioni, ingiustizie "storiche", ferite della "causa nazionale", differenze religiose, intolleranze nazionali,ecc., la cultura dove nasce questa Legge ed alla quale essa appartiene, può mobilitare i suoi membri soltanto a causa di una estrema minaccia, sia pure un motivo strettamente ridotto ad una pura autodifesa.. Forse proprio qui si può cercare la ragione del fatto che nella storia degli albanesi non c’é alcuna guerra di conquista.
Nella pratica consuetudinaria degli Albanesi al Perdono si dava sempre un vantaggio come virtù e come mezzo per annientare un conflitto. Questa virtù del Perdono si chiama "Burrni-a" (virilità) e contiene un insieme di virtù. Ecco come è concepita questa virtù, in relazione con il Perdono, in uno dei tanti racconti cosiddetti giuridici:

In una seduta dell'Oda (Forum) dei Vecchi, o degli Anziani, alla domanda su “quanto può essere alta e sublime la Burrnia (virilità)”, uno dei Saggi rispose: Burrnia ha tre piani e l’apice va molto più in alto. Del primo piano è colui che resiste al male, soffre e sopporta eroicamente e non va a suicidarsi- questo si dice che è Burrë (uomo virile). Del secondo piano è colui che sa uscire dal male senza provocare conflitti e guerre - lui è Burrë i Burrave (miglior uomo virile). Del terzo piano è il Forte che perdona al Debole- e questo è un superuomo virile." (da una raccolta di Anton Çetta - (15)

Sul perdono si insiste sempre di più anche perché in questa maniera non si tocca nessun simbolo tradizionale della Legge. Così con il Perdono non si può mai dire che il sangue non è sacro, che la giustizia non è uguaglianza, che l'onore e la dignità non sono virtù, che la casa, la famiglia e la chiesa non sono cose sacre ed intoccabili, nemmeno che la difesa non è legittima, semplicemente si rivalorizza il Perdono. E’ così che, nella Legge, si è aperta la porta ad un nuovo strato cristiano. Dunque perdona Dio, ha perdonato anche Gesù, perché siamo certi che le brutte cose si fanno per ignoranza. Un Perdono forse può salvare quel povero ignorante dalla sua stessa ignoranza, dato che lui ha bisogno di un buon modello di vita. Almeno così non ci si copre di un'altra colpa., poichè il Perdono è Redenzione per tutti.

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PERDONO E RICONCILIAZIONE

Quella che gli Albanesi chiamano riconciliazione, è una nozione molto importante della loro tradizione. Anche la Riconciliazione, come il perdono, è una istituzione centrale e antica della Vecchia Legge. Essa, nella procedura giuridica, ha sempre avuto un ruolo molto importante e pratico, per impedire l’espandersi dei conflitti, ma anche per evitare le condanne come forme non sempre produttive. Il suo ruolo più grande è stato in relazione con la "vendetta". Siccome la Vecchia Legge prevede anche condanne molto rigide, specialmente nel campo delle norme morali, la Riconciliazione ha preso il ruolo di diminuire le conseguenze sia delle colpe che delle condanne. Diminuire le sofferenze quanto più è possibile. Quindi il suo ruolo diretto nella umanizzazione della società è evidente. Questo ruolo emerge direttamente dalla Legge stessa e proprio dal suo substrato (fondamento). Perché lo scopo principale di questa Legge è CONVINCERE e non OBBLIGARE.
La Riconciliazione è la prima fase di ogni procedura giuridica dei conflitti. Ci sono almeno tre tipi di Riconciliazione: individuale, regionale e generale. La Riconciliazione individuale e regionale si stabilisce quando tra le due parti in conflitto, con l'intermediazione del Consiglio degli Anziani, oppure dell'Assemblea dei Consigli, si trova un modo di superare il conflitto e stabilire la pace. Ma non c’é Riconciliazione senza Perdono. Dopo di che segue la Riconciliazione che si stipula sempre con un contratto speciale che si chiama "Besëlidhje" (Alleanza). Questo tipo di Riconciliazione prevede condizioni che sono poste dal danneggiato, oppure dal Consiglio degli Anziani.
La Riconciliazione generale è di fatto un grande "Giubileo" dei peccati e del perdono. Una azione preventiva collettiva che certe volte ha un carattere sociale e politico. Cioè, un provvedimento di sicurezza e di autodifesa. L'emanazione della Riconciliazione Generale viene effettuata in caso di emergenza, quando la nazione viene minacciata da fuori: invasione, guerra, minaccie,ecc. Oppure quando crescono le negatività all’interno della collettività ed i conflitti interni arrivano ad un livello pericoloso. Dal punto di vista giuridico è una amnistia generale. L'iniziativa per una tale Riconciliazione non viene sempre dal Consiglio degli Anziani, ma anche dalla Chiesa, oppure da altre istituzioni e gruppi di persone con una certa autorità.
Tali Riconciliazioni non succedono spesso. Nel corso di un secolo potevano succedere solo poche volte. Nel lunghissimo periodo della dominazione turca le Riconciliazioni sono però state molte più frequenti. Alcune delle più grandi Riconciliazioni Generali della storia sono state quelle del 1444, del 1703 e del 1878.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1946, in Albania si abolisce questa Legge e si punisce ogni ricorso ad essa. Invece nei territori Albanesi fuori dell’ Albania, questa Legge, sotto il nome di "Kanone di Lekë Dukagjini", è rimasta viva specialmente in una parte del Kossovo (Dukagjin) ed in Montenegro, cioé in tutti i territorii del Principato medievale di Aleksandër-Leka III Dukagjini. In tale zona, grazie alla devozione verso il suo Canone, questa legge è rimasta valida tuttora come piena entità culturale ed etnica.
La storia del dopoguerra di questo Canone in Kossovo contiene un grande capitolo. Questo sarà un periodo particolare nella storia degli Albanesi che si ricorderà, non solo come un mezzo secolo sotto il dominio slavo, ma anche come un periodo molto pesante della loro de-nazionalizzazione e de-culturazione. Quello che veniva offerto loro era sempre una subcultura; quindi era difficile, quasi impossibile, difendere la propria identità. Il potere buttava ogni valore tradizionale senza alcun criterio, si negava totalmente ogni valore precedente. Queste condizioni avevano fatto rivivere il Canone di Leka Dukagjini, uno dei più rigidi di tutti i Canoni della Vecchia Legge Albanese. Come sempre il Canone, anche se abbastanza atrofizzato, si è messo di nuovo in funzione, almeno parzialmente, sul piano morale, sociale, giuridico, politico e storico. Vedendo che la legge statale, fino al 1966, tendeva alla de-culturazione ed alla de-nazionalizzazione degli Albanesi, la comunità albanese è stata costretta a chiudersi in sé stessa, con il motto: se non ci sono condizioni per sviluppare la nostra cultura, bisogna allora difenderla e conservarla. Questa è stato sempre anche una delle funzioni principali del Canone. C’è molto da dire per questo raro fenomeno di “anabiosis” culturale e sociale; sarebbe tutto a posto se questo "conservare" non significasse in questo caso anche regredire.
Tutti i dominatori hanno tentato in maniera più severa di proibire questa Legge perché creava sempre un parallelismo giuridico ed una certa sovranità orizzontale degli Albanesi. E’ vero che con le loro forze statali non sono riusciti a sradicarlo, ma solo a manipolarlo . Specialmente il Codice del Sangue è stato degenerato a tal punto, che a volte non si riconosceva più la sua fisionomia. E’ diventato uno dei tanti strumenti di pulizia etnica e di genocidio (16). Per questo i Consigli degli Anziani facevano grandi sforzi per risolvere tutti i problemi prima di arrivare nei Tribunali statali perché questi non rappresentavano alcuna giustizia, ed erano, al contrario, strumento di oppressione e di distruzione. Queste cose provocheranno una reazione generale degli Albanesi. Nel 1970 viene proclamata la "Besëlidhja e Madhe" (Grande Alleanza), così si chiama questa Riconciliazione, che ha avuto un grande successo spirituale e pratico, ma d’altra parte ha provocato il regime stimolandolo a cercare mezzi piu raffinati per i suoi scopi.
Nel 1974 si ha, con la nuova Costituzione, la riorganizzazione della Federazione Jugoslava. Nello stesso anno si proclama la Costituzione del Kossovo, per la quale esso diventa entità autonoma della Federazione, con tutti i poteri di una repubblica. Così finalmente il Canone comincia, piano piano, in maniera naturale, a ritirarsi dalla storia.
Nel 1989 il Kossovo viene in pratica occupato militarmente dalle forze federali, e viene abolita l’autonomia, ed eliminate tutte le istituzioni di autogoverno. Nel 1990 viene proclamata un’altra Riconciliazione Generale. La Riconciliazione è sempre stata un grande e vero rituale comune, il più grande possibile. Ma questa volta è stata differente in tanti aspetti. Prima di tutto, come atto di autodifesa, non è un richiamo per unirsi nelle armi, come quasi sempre nel passato delle Riconciliazioni Generali, ma per unirsi in una resistenza generale senza armi, e senza violenza, con la coscienza che la resistenza non-violenta avrebbe comportato enormi sofferenze ed un prezzo molto alto. Nello stesso tempo, un rifiuto morale di ogni tipo di condanne a morte, cercando, non solo per se stessi ma anche per tutto il mondo, un nuovo diritto della persona, una nuova morale, senza offendere la "Nostra Legge". Questa è stata una grande e piena vittoria storica del Perdono, questa volta con altri nuovi valori: non si perdona più solo per virilità (Burrni), né per carità, ma per riconoscere il valore della sofferenza, come un dono misterioso per l'umanità

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NOTE:

(1) In un lavoro su una tradizione consuetudinaria, il problema più importante e più difficile è il linguaggio: quale terminologia usare. Ogni tradizione ha una sua terminologia , certamente perché ha anche i suoi concetti. Si tratta di un linguaggio tradizionale di alcuni periodi storici della lingua, delle concezioni e delle consuetudini. Dato che la terminologia del diritto consuetudinario albanese è molto specifica, possiamo solo sperare di aver trovato un linguaggio ed espressioni che corrispondano più esattamente al significato dei suoi concetti. L’applicazione di termini contemporanei non può esprimere il significato essenziale dei concetti di questo tipo, per esempio: “Gjakmarrja” (presa del sangue ma non vendetta), “Bessa” (parola data, o parola d’onore) , “Pleqëria” (il consiglio dei vecchi, o degli anziani), “Burrnia” (virilità, o forza di carattere), “Nderi”(l’onore), “Oda” (forum, o assemblea), “Vëllamia” (fratellanza), ecc.
(2) La parola “consuetudinaria” non è ancora elaborata scientificamente ma la useremo qui solo come significato di norme costitutive generali che contengono una tradizione, ed un certo modo proprio di manifestarsi e di essere, una forte autorità sociale con forze coesive organizzate, e anche quello che si chiama la forza della tradizione.
(3) C. Picard, ” L'ancien droit hellenique et la vendetta albanaise”, in Révue de l'Histoire des Religions, Paris, l920, p. 1-30. Anche: G. Shehu, (in albanese) “Alcune somiglianze tematiche nella letteratura francese ed albanese - Vendetta in Corsica e la ‘presa del sangue’ albanese, in Çështje të studimeve Albanalogjke. Materiale nga Simpoziumi i mbajtur në Tiranë - 20 djetor 1985, II, Prishtinë 1987.
(4) Nel diritto germanico medioevale, viene definito “faida” l’esercizio della vendetta da parte della vittima di un reato o di esponenti della sua famiglia (dal Tedesco: feig: fel+ge = colpevole di un danno). In longobardo “Fahida” significa il diritto di vendetta privata. Nell’uso quotidiano questo concetto viene utilizzato con riferimento alla lotta fra gruppi privati ai fini di ritorsione o di vendetta, per esempio, le faide politiche.
(5) La raccolta di queste leggi, tramandate oralmente di generazione in generazione fin dai tempi antichissimi, è stata fatta da diverse persone, in tempi diversi, e in differenti regioni, come H. Hekard, R. Kosmajac, Mons. Lazër Mjeda, N. Ashta, il Barone F. Nopca, E. Koci, E. Durham, V.Bogi_ic’, B. Palaj, Padre S. Gjeçovi, F. Illia, ecc. Fino ad oggi la migliore e la più completa si è considerata quella del padre francescano Atë Shtjefën Gjeçovi "Kanuni i Lekë Dukagjinit" Shkodër, 1933, opera postuma, la cui traduzione in italiano è stata pubblicata nel 1941, a Roma, dal Centro per gli Studi Albanesi dell’Accademia Italiana delle Scienze. Di particolare interesse è anche la raccolta, curata da Don Frano Illia, dell’altro canone più noto :" Kanuni i Skenderbeut", Milot, 1993. Confrontando tra di loro tutti questi testi, non si trovano differenze sostanziali tra gli articoli dell’ uno e dell’ altro, benché siano stati trascritti in luoghi e tempi diversi. Suscita meraviglia la certezza e la sicurezza, e la perfetta memoria che traspare dai diversi generazioni.. Una tale memoria, nella tradizione albanese, si rivela anche nelle epopee storiche e leggendarie tramandate oralmente, tipo quelle del Ciclo dei canti epici sulla Battaglia del Kossovo, i Canti e le rapsodie eroiche medievali sulle diverse battaglie contro i turchi, il Ciclo dei canti leggendari, il Ciclo dei canti delle gesta, ecc., alcuni dei quali composti di migliaia di versi .
(6). L.Fox, "Introduction", Code of Leke Dukagjini, New-Jork, 1989, p.XVI.
(7). M.Vickers, The Albanians, London, l995, p.6.
(8). L.Fox, Op. cit., p.XVI. Vedi anche:V.Meksi,”Il problema dell’antichità delle istituzioni giuridiche degli albanesi” , (in albanese), Konferenca e Dytë e studimeve albanologjike, Tiranë, 12-18 janar 1968, II, Tiranë 1969, pp.l95-196.
(9) S.Pupovci., Relazioni giuridiche civili nel Codice di Lekë Dukagjini.(in albanese), Prishtinë ,1971.
(10) S.Villari.- Le consuetudini giuridiche dell’Albania nel Kanun di Lek Dukagjini, Roma, 1940. Il Villari ha notato punti uguali fra il Canone Albanese ed il Fetha Neghest attribuito ai padri della chiesa convocati a Nicea (pag.31-33). Non si può dire che queste due leggi abbiano una unica fonte, ma il fatto della larga presenza attiva dell’ Episcopato Illirico-Albanese nei primi concili ecumenici, specialmente il loro contributo sin dal Primo Concilio dove viene approvato il loro testo della formula del “Credo” ci fà pensare ad influssi reciproci. Nei documenti dei concilii della chiesa troviamo anche altri contributi dei padri della chiesa Illirico-Albanese nel campo della costruzione dell’ “usus” ecclesiale. Quindi questo non deve essere escluso a priori, nemmeno per ciò che riguarda strettamente la dottrina cristiana. Ad ogni modo non è facile provarlo, ma nemmeno si possono ignorare alcuni fatti.. (Vedi anche: Mansi I.D., Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Florentiae, Venetiis, Parisis, Lipsiae , 1759- 1927 ).
(11) Tra gli albanesi sono molto diffusi i racconti sulla loro disobbedienza alle leggi turche nei quali, con orgoglio, si racconta la superiorità della loro legge di fronte a quella turca. Ne citiamo uno, scelto soltanto per il fatto che riguarda gli ultimi anni del dominio turco:
Quando uno dei “Grand Visir” (primo ministro) dell’Impero ottomano aveva saputo che gli albanesi non ubbidivano ancora alla legge di “Sceriat” (legge del Corano e legge ufficiale dell’Impero), nemmeno gli albanesi “turchizzati” (islamizzati), cosa incredibile per lui, decise di verificare sul posto questo fatto assurdo. Transformatosi in un derviscio (monaco musulmano) povero, salito a cavallo arriva vicino alla città di Prizren (Dukagjin - Kossovo) dove si ferma per passare la notte in un albergo. Durante la notte un ladro gli ruba il cavallo, il padrone dell’ albergo si mette a caccia del ladro, e lo trova velocemente. Però il ladro insiste categoricamente che il cavallo è suo. La questione arriva al Tribunale Principale della regione. Il giudice, prima che cominciasse il processo, chiede al derviscio turco se vuole essere giudicato secondo la Legge turca oppure secondo quella albanese. Spaventato da questa domanda, il derviscio turco sceglie la legge turca che è la legge ufficiale dello stato. Allora il giudice gli dice: siccome tu non hai nessuna testimonianza che il cavallo è tuo, la Legge turca in questo caso è impotente. “Facciamo allora secondo la Legge albanese”, chiede il derviscio. Ed il giudice ordina a tutt’ e due di togliersi le scarpe. Visto che i piedi del derviscio erano piedi di uno che non va quasi mai a piedi, ma piuttosto a cavallo, ed al contrario, che i piedi del ladro erano i piedi di un povero che non aveva mai potuto avere un cavallo, si è fatta giustizia dando ragione al vero proprietario.
Tornando dalla sua missione, il Grand Visir ordinò di intraprendere azioni più dure per sradicare la Legge albanese che per secoli aveva ignorato e quasi eliminato una grande parte della legislatura ufficiale turca.
Questo racconto coincide stranamente con il tempo delle azioni più feroci del governo turco verso gli albanesi, sia cristiani che musulmani. Questo è il tempo che, nella storia albanese, si conosce come periodo della caccia ai cristiani “nascosti”, quando il governo turco, alla fine del suo dominio, scopre che molti albanesi mussulmani sono in realtà cristiani nascosti, e si vendica ferocemente. ( Su questo argomento si vedano maggiori dettagli nella monografia di Gj.Gjergji, I martiri del Montenegro di Scopia l846-1848, (in albanese), Zagabria, l989. (Seguita da una lunga bibliografia sull’argomento).
(12) Historia e popullit Shqiptar, Vol. I, Prihstine, 1968, p. 255-256.
(13) Gjergji Kastrioti Skenderbeu figlio del Principe di Kruja Gjon Kastrioti. E’ stato preso come “derscirme” (tassa in sangue). I Turchi, ogni 10 anni, secondo questa Legge, raccoglievano tutti i bambini maschi più belli e più forti fisicamente della popolazione albanese e li portavano in Turchia dove venivano educati e preparati per diventare guerrieri dei reggimenti cosiddetti “janiciari” (giannizzeri). G. Kastrioti, come figlio di un Principe, venne educato nella Corte del Sultano Murrat II, insieme con il suo figlio Mehmet II (il Conquistatore di Costantinopoli). Il soprannome Skenderbeu (in turco “Iscander”, che significa “Alessandro Magno”) gli era stato dato dallo stesso Sultano sperando che lui sarebbe stata una figura come questa per l’Impero Turco. Dopo una breve carriera militare Kastrioti torna nel suo paese e riunisce i Principati Albanesi disuniti, e viene nominato dagli altri Principi come Re d’Albania e dell’Epiro. Guida la lotta degli Albanesi contro i Turchi espellendoli dal territorio albanese. Nei documenti storici si dice che lui ha convocato questa riunione in qualità di Re, invece, secondo alcuni, è in tale occasione che egli è stato nominato Re, anche se lui considera se stesso solo come “capo militare” della Grande Alleanza Albanese.
(14) Teodore Agrippa D’Aubigné, Les tragiques, Maille, 1616. Vedi anche: A. Puto, S. Pollo, Histoire d’Albanie, Paris, 1974, p.98.
(15) Da una raccolta dei racconti giuridici di Anton Cetta, Jehona, Prishtinë, 1993, p. 7.
(16) V. Cubrilovic, Iselavanje Arnauta, Beograd, 1937.