Come una grande prigione a cielo aperto
di Nandino Capovilla capo-delegazione

Pax Christi Italia – Campagna "Ponti e non muri"
Gerusalemme, 26 agosto 2005

Mentre la stampa di tutto il mondo sembra applaudire allo sgombero delle colonie israeliane dalla Striscia di Gaza come a uno storico passo verso la pace e l'opinione pubblica nazionale e internazionale considera soltanto la necessità di rivalutare la figura di Sharon e l'operato del suo governo, noi, gruppo di giovani che su proposta e coordinamento di Pax Christi Italia stiamo percorrendo le strade di Israele e Palestina ci siamo accorti che la realtà dice anche altro.

Siamo partiti e siamo convinti che la pace si costruisca con dei gesti positivi e propositivi, di distensione e di riconciliazione e che il ritiro dei coloni da Gaza fosse uno di questi gesti.

Siamo partiti e siamo convinti che lo stare dalla parte delle vittime sia il punto di vista corretto per costruire la convivenza futura e ci siamo accorti che ancora una volta la violenza è giocata sulla vita quotidiana di famiglie, di giovani, di bambini di uomini e di donne spesso vittime di logiche politiche che non tutelano i loro diritti e la loro dignità.

Crediamo che stare con gli ultimi ci abbia insegnato che la terra è di tutti e che il futuro è come diceva don Tonino Bello la “conviviliatà” delle differenze e che Palestina e Israele, come tutto il mondo, abbiano bisogno di uomini e donne costruttori di ponti e non di muri.

Camminando dentro questi territori osserviamo, incontriamo, sperimentiamo una realtà lontana anni luce dall'ottimismo sbandierato da media e politici di ogni colore.

Sentiamo l'esigenza di gridare che l'occupazione militare in Palestina non sta affatto finendo.

La realtà - nascosta dai media, ma drammaticamente presente nella vita quotidiana di ogni palestinese - e' quella che stiamo vedendo in questi giorni: la costruzione ingiusta e illegale di un muro che continua a ritmi vertiginosi, imprigionando interi villaggi. Un muro che in realtà imprigiona entrambi i popoli.

Vediamo coloni che illegalmente continuano a occupare, rubare, inquinare e devastare la terra dei pastori e dei contadini palestinesi, fino ad aggredirli fisicamente. Vediamo bambini palestinesi già carichi di odio e rabbia che lanciano sassi contro gli israeliani e ci chiediamo che futuro potranno costruire.

Incontriamo persone la cui vita è resa impossibile a causa di blocchi e check-point che, inutili ai fini della sicurezza, servono invece a impedire la libertà di movimento, a umiliare e fiaccare la volontà di resistenza di un intero popolo. Vediamo quotidianamente perquisizioni, umiliazioni e sbeffeggiamenti nei confronti dei palestinesi da parte di soldati e coloni che sembrano agire al di sopra di ogni legge, con sassaiole e bastonate gratuite, diventate ormai normalità.

E Gaza? Gli abitanti di Hebron, Bilimn, Al Tuwani (città e villaggi della West Bank) ci testimoniano che molti dei coloni sgomberati da Gaza si stanno reinsediando in Cisgiordania, occupando altri territori palestinesi.

I media israeliani riportano che 500 coloni saranno trasferiti ad Ariel (la più grande colonia in Cisgiordania), 51 famiglie a Ma’ale Adummim (alle porte di Gerusalemme) e altri ad Ofra (vicino a Ramallah).

Ci sembra di poter parlare, più che di un "disimpegno" da Gaza, di una semplice "ridistribuzione" dei coloni.

Tutto questo in Cisgiordania, mentre la "Striscia liberata" rimane sotto il controllo militare di Israele. “Gaza rimane sotto occupazione – dice monsignor Michel Sabbah, patriarca latino di Gerusalemme e presidente internazionale di Pax Christi – come una grande prigione a cielo aperto. A meno che in futuro i confini non siano posti sotto un controllo internazionale” (Gerusalemme, 26 agosto 2005).

Ma la Striscia attualmente é circondata da ogni lato da soldati israeliani che controllano entrate e uscite: il controllo dei cieli è appannaggio di Israele, i porti sono in mano agli ex-occupanti, servizi come acqua, luce, posta, gas e telefono dipendono dalla incerta generosità delle autorità israeliane.

Ci sembra che la pace con l’impegno di tutti sia ancora da costruire.


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