A Vicenza, per la difesa della terra, per un futuro senza basi di guerra.

Vicenza è salita prepotentemente alla ribalta delle
cronache, negli ultimi tempi. Purtroppo non per le bellezze
architettoniche o paesaggistiche che la contraddistinguono,
ma perché questa città è stata scelta, all'insaputa
dei suoi abitanti, per diventare lo snodo principale delle politiche
militari statunitensi. L'aereoporto Dal Molin di Vicenza
dovrebbe diventare, secondo gli strateghi del Pentagono, la
base logistica più importante dell'esercito americano,
proiettando la propria potenza di fuoco nel già martoriato
Medioriente. La 173^ Airborne Brigade, attualmente dislocata
tra Vicenza e la Germania, si trasformerebbe in una Unità
d'Azione, pronta in poche ore a trasferirsi, armi e bagagli,
nei vari scenari di guerra. Questa è la volontà
dell'amministrazione Bush. Qualcosa di nuovo si è invece
manifestato nella nostra troppo spesso sonnacchiosa città.
Un movimento che, dal basso e in maniera del tutto autonoma,
si è sollevato, ha organizzato una resistenza potente a
questo progetto, aprendo una contraddizione enorme alla
politica "ufficiale", quella dei partiti, di centrodestra e
centrosinistra. Se il governo precedente ha lavorato
sottobanco per favorire questo insediamento militare,
l'attuale governo ha dimostrato ben poca voglia di
contrastarlo. Anzi, il ministro della difesa del governo
Prodi ha testualmente definito "coerente e compatibile con
le politiche militari del governo" questa nuova base di
guerra. Il movimento vicentino ha posto al centro della
propria battaglia due aspetti fondamentali, tra loro
concatenati: la tutela del territorio e dei beni comuni, lo
spazio cittadino come identità collettiva, da difendere
anche e soprattutto in nome delle generazioni future; in
maniera altrettanto forte il no alla guerra e il rifiuto di
diventare complici, più o meno consapevoli, di un
meccanismo che produce lutti, tragedie e sofferenze, che rende la
nostra vita quotidiana sempre più incerta e pericolosa.
Questo movimento si è allargato proprio perché ha
prodotto, nell'immaginario collettivo, l'idea che resistere a questo
scempio fosse possibile, nonostante le enormi difficoltà e
le pressioni messe in atto da chi vorrebbe speculare e far
colare centinaia di migliaia di metri quadri di cemento, o
da chi pensa che la guerra e le sue basi siano un modo come
un altro per guadagnare soldi, e vede nelle caserme l'unico
sistema per esportare democrazia e pace. Questo intreccio
forte ha permesso al movimento vicentino di espandere il
proprio consenso anche oltre i confini locali, di far
diventare questa lotta come propria da chiunque lo volesse.

Il movimento vicentino contro la nuova base Usa lancia
quindi una manifestazione nazionale, da tenersi il 2 dicembre a Vicenza.

Quello che noi vogliamo costruire è un appuntamento che
riproduca le dinamiche e le caratteristiche fin qui emerse,
nel rispetto della battaglia che i cittadini di Vicenza in
primis hanno fin qui condotto, capace di riprodurre in
piazza la ricchezza di un movimento moltitudinario, che dia
l'idea della sua ricchezza e della sua molteplicità di
pensiero, linguaggio e pratica. Una piazza capace idealmente
di mantenere assieme tutti coloro che si oppongono alla
distruzione del territorio con quelli si oppongono alla
guerra e lottano per la pace. La piattaforma che scaturisce
dal dibattito vicentino, marca alcuni punti fondamentali:

- No alla sottrazione e distruzione del territorio e dei
beni comuni per la costruzione di presidi militari

- No alla guerra, alla sua mistificazione che la vorrebbe
"buona" o "cattiva", santa o umanitaria. No all'aumento
delle spese militari.

- Desecretazione degli accordi riguardanti le basi militari
e accesso pubblico alle informazioni

Le cittadine e i cittadini dell'Assemblea Permanente di
Vicenza.

www.altravicenza.it

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