CORSO DI LAUREA IN DIRITTO PER LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI E ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI
TESI DI LAUREA
“La gestione civile delle crisi nel quadro della PESC”
Relatore: Prof.ssa Ornella Porchia
Candidato: Miriam Anna Paola Salussolia
Anno accademico 2006-2007

- I -
La problematica della gestione civile dei conflitti dalla nascita della Comunità Europea ad oggi

1 La situazione mondiale nel dopoguerra

Il tema della gestione civile delle crisi si sta sviluppando all’interno dell’Unione Europea solamente in questi ultimi anni, in cui vengono studiati e applicati strumenti appositi per tentare la risoluzione pacifica di conflitti. Attualmente si parla di gestione civile delle crisi, intesa come supporto o addirittura alternativa alla gestione militare delle stesse ma, nei primi anni di vita della Comunità Europea, l’attenzione dei Paesi membri era interamente centrata sull’utilizzo di strumenti militari.
Questo era dovuto alla situazione geopolitica che si era creata al termine della seconda guerra mondiale: la Comunità internazionale era caratterizzata dalla contrapposizione di Stati Uniti e Unione Sovietica e questo, aveva portato alla creazione del fenomeno del “bipolarismo” , ovvero alla creazione di due blocchi di Stati compatti al loro interno ma senza alcun tipo di rapporto con Stati dell’altro blocco.
L’equilibrio si basava sulla cosiddetta “deterrenza” : la pace e la sicurezza internazionali erano basate su un bilanciamento nel possesso di forze militari e di armi, anche nucleari. Questo ne rendeva impossibile l’utilizzo ed evitava i conflitti tra le due potenze. La politica adottata in questo periodo dai singoli stati è detta “hard security” intesa come “ricorso alla minaccia o all’uso della forza militare con intenti di carattere difensivo o offensivo”
Tra il 1970 e il 1980 la situazione internazionale ha iniziato un processo di cambiamento, dettato dalla volontà di tutti gli Stati membri della Comunità internazionale di passare dalla contrapposizione alla cooperazione: gli Stati si sono progressivamente avvicinati e, per fronteggiare le minacce che non erano comunque mutate, sono stati utilizzati strumenti di “soft security”, cioè di “misure prive di carattere coercitivo o sanzionatorio, come gli accordi internazionali di disarmo e limitazione degli armamenti, oppure le politiche di aiuto allo sviluppo, assistenza finanziaria e aiuto umanitario, dirette a stabilizzare, dal punto di vista economico e sociale zone nelle quali si teme lo scoppio di crisi internazionali.”
Verso la fine degli anni ottanta, in modo più accentuato dopo la caduta del muro di Berlino, la situazione geopolitica mondiale subisce un forte cambiamento: la divisione chiara di alleanze nei due blocchi sparisce e questo comporta la perdita di “un quadro di sicurezza stabile” . Nel momento stesso in cui le minacce maggiori provocate da Stati Uniti e Unione Sovietica, legate ad attacchi missilistici e all’utilizzo di armi di distruzione di massa, diminuiscono o addirittura cessano, viene meno “il collante che teneva uniti e compatti” i due blocchi e i singoli problemi regionali acquistano sempre maggiore importanza.

2 La situazione europea nel dopoguerra

Gli strumenti utilizzati e le politiche adottate all’interno della Comunità Europea in questi anni seguono l’andamento internazionale: in un primo periodo, quindi, si intende per “difesa” solamente rafforzamento militare e sviluppo degli armamenti.
In questo contesto l’Europa si trovava in una situazione particolare: al suo interno convivevano sia stati appartenenti al blocco di influenza sovietica sia a quello di influenza statunitense.
Nel 1950 fu firmato il Patto Atlantico e nacque la NATO (North Atlantic Treat Organisation) , utilizzata dagli Stati del blocco occidentale come strumento di garanzia contro il blocco orientale. Nonostante questo, in Europa, sotto la spinta del governo francese, si fece strada l’idea di creare un esercito europeo autonomo, formato da militari provenienti da tutti gli stati dell’Europa, sottoposto al controllo di istituzioni politiche comuni: il cosiddetto “piano Pleven” non fu approvato ma divenne la base dell’idea di sicurezza comune.
Nel 1952, subito dopo la nascita della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA), venne firmato il trattato istitutivo della Comunità Europea di Difesa (CED) che prevedeva la creazione di un unico corpo militare tra i paesi firmatari, investito di potere decisionale e di controllo sulle varie missioni, unicamente a scopo difensivo. La creazione della CED voleva essere un primo passo verso una successiva unione politica, economica e militare , la Comunità Politica Europea (CPE). Gli Stati firmatari, infatti, a causa della complicata situazione internazionale, inasprita dalla nascita di nuovi conflitti armati, furono spinti a creare un progetto di difesa: questo meccanismo voleva essere uno strumento per evitare ulteriori guerre.
Il progetto, però, fallì, per la mancata ratifica della Francia e per l’opposizione della Gran Bretagna, non inclusa nell’accordo. La difesa comune dell’Europa venne allora affidata alla Nato e all’UEO (Unione Europea Occidentale): le competenze di quest’ultima saranno man a mano ridotte, fino alla creazione della Pesc. Con Maastricht e Amsterdam, il sistema di sicurezza comune si è perfezionato e i rapporti con le due organizzazioni si sono modificati : l’UE ha iniziato a decidere autonomamente sulle problematiche riguardanti la difesa comune, ridimensionando il ruolo di attori principali che, fino ad ora, ONU e OSCE avevano avuto. Il percorso per giungere a questo punto è stato però molto tortuoso e difficile.

3 Dai piani Davignon ad Amsterdam

Subito dopo il fallimento della CED si manifestò comunque, in modo molto forte, l’ esigenza degli Stati membri della Comunità di ricercare un punto di incontro oltre che sui temi riguardanti l’economia, anche su quelli riguardanti i rapporti con altri stati esterni, in particolare si cercò di migliorare la tutela della sicurezza. Infatti, negli anni seguenti il fallimento della CED, si svolsero una serie di negoziati che portarono al cambiamento delle posizioni di Francia e Gran Bretagna così che nel 1970 fu possibile adottare i “piani Davignon”, sulla base del rapporto di Lussemburgo : questi segnarono l’inizio della cooperazione politica europea informale; prevedevano, in particolare, consultazioni tra gli Stati in materia di politica estera. Le riunioni dei Ministri degli Affari esteri, prima semestrali poi trimestrali, dovevano essere la base per creare maggior dialogo tra gli Stati su questi temi. Nonostante non fossero state create nuove istituzioni stabili che ponessero in essere atti vincolanti votati dall’insieme degli Stati membri, è proprio nella cooperazione politica che la Politica Estera e di Sicurezza trova il suo fondamento.
Anche se la gestione e l’utilizzo delle forze armate ebbe sempre grandissima rilevanza nelle politiche della Comunità, la volontà degli Stati membri di adottare strumenti tipici della soft security per arginare minacce e risolvere eventuali crisi iniziò a farsi strada in Europa. L’atto finale della Conferenza sulla Sicurezza e Cooperazione in Europa, adottato ad Helsinki nel 1975 fu uno dei primi segnali in questa direzione. La Dichiarazione fu firmata da 35 stati europei, alcuni dei quali già membri della Comunità Europea.
Nel capito secondo si afferma:
“Gli Stati partecipanti si astengono nelle loro relazioni reciproche, nonché nelle loro relazioni internazionali in generale, dalla minaccia o dall'uso della forza sia contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite e con la presente Dichiarazione. Nessuna considerazione potrà essere invocata per servire da giustificazione al ricorso alla minaccia o all'uso della forza in violazione di questo principio. Di conseguenza, gli Stati partecipanti si astengono da qualsiasi atto che costituisca una minaccia di ricorso alla forza o un uso diretto o indiretto della forza contro un altro Stato partecipante. Parimenti essi si astengono da ogni manifestazione di forza volta ad indurre un altro Stato partecipante a rinunciare al pieno esercizio dei suoi diritti sovrani. Parimenti essi si astengono nelle loro relazioni reciproche anche da qualsiasi atto di rappresaglia per mezzo della forza. Nessuna minaccia o uso della forza di tal natura saranno impiegati come mezzo di soluzione delle controversie o delle questioni che potrebbero portare a controversie fra loro.”
Con l’Atto Unico Europeo, firmato nel 1986, la Comunità Politica Europea entrò a tutti gli effetti tra gli strumenti utilizzati dagli Stati membri attraverso la maggiore istituzionalizzazione delle procedure ancora informali della cooperazione politica. Inoltre la necessità di collaborare al raggiungimento di una situazione di pace, fu inserita tra gli obiettivi dell’Atto: si parlò di “contribuire alla pace e sicurezza internazionali” “ facendo appello agli altri popoli d’Europa animati dallo stesso ideale, perché si associno al loro sforzo”.
L’ Atto Unico Europeo dimostrò, però, quanto l’Europa procedesse a rilento sul tema della sicurezza comune. La situazione era piuttosto complicata: il crollo del muro di Berlino, nello sconvolgere la situazione internazionale toccò anche l’Europa, che si ritrovò in una situazione di grande incertezza e instabilità senza sapere come comportarsi e senza saper offrire una risposta comunitaria a tutti questi problemi.
Nel 1992, fu firmato il trattato di Maastricht con il quale venne rivoluzionata la struttura delle Comunità, con la nascita dell’Unione Europea: nel dividere tutti i compiti nei tre “pilastri”, la cooperazione politica europea fu inglobata in uno di essi. Nacque la PESC, Politica Estera e Di Sicurezza Comune, struttura con proprie norme e procedure precise, le cui decisioni sugli indirizzi generali relativi alla politica estera e alla sicurezza comune erano affidati al Consiglio Europeo, e alla Commissione, con compiti di controllo. Nell’articolo J1 (oggi art 11 T.UE.) è stilato un lungo elenco di obiettivi : figurano in particolare “il mantenimento della pace e il rafforzamento della sicurezza internazionale, conformemente alla Carta delle Nazioni Unite, nonché ai principi dell’atto finale di Helsinki e agli obiettivi della carta di Parigi della CSCE.”
La definizione dell’articolo è volutamente piuttosto vaga per lasciare ad altri organi il compito di definire con precisione i vari compiti. Con la firma del trattato di Amsterdam, nel 1999, gli Stati membri esprimono, però, la volontà di specificare meglio gli impegni da assumere: all’art 17, oltre all’accenno alla politica di difesa comune (futura PESD), è specificato che “le questioni di cui si riferisce il presente articolo includono anche le missioni umanitarie e di soccorso, le attività di mantenimento della pace e le missioni di unità di combattimento nella gestione delle crisi ivi comprese le missioni tese al ristabilimento della pace”. Queste azioni coincidono alle cosiddette “missioni di Petersberg”, nate, appunto, dalla Dichiarazione di Petersberg. Firmata nel 1992 dal Consiglio dei Ministri dell’UEO, al suo interno conteneva i compiti di difesa militare e di prevenzione dei conflitti che l’organizzazione intendeva svolgere, anche per conto dell’UE stessa. Si parlava di “compiti umanitari e di soccorso; di mantenimento della pace; compiti assegnati a forze combattenti nella gestione delle crisi, includendovi quelli per il ristabilimento della pace.” È proprio con la revisione del T.UE. che questi compiti diventeranno esclusiva competenza dell’UE , ridimensionando il ruolo dell’UEO nel campo della sicurezza comune nell’Unione.
Si può notare come, dalla nascita delle Comunità fino al trattato di Amsterdam, il tema della pace e della sicurezza assuma sempre maggior rilievo ma la volontà generale resta ancorata al ricorso alla forza: sono molto pochi i riferimenti all’utilizzo di personale o strumenti civili. I primi passi in questo senso sono stati mossi circa tre anni dopo Maastricht.

4 Il Corpo Civile Europeo

Nel 1995 viene approvata dal Parlamento europeo la relazione Bourlanges/Martin, in cui, per la prima volta, si afferma che “un primo passo per contribuire alla prevenzione dei conflitti potrebbe consistere nella creazione di un Corpo civile europeo della pace, CPCE (che comprenda gli obiettori di coscienza) assicurando la formazione di controllori, mediatori e specialisti in materia di soluzione dei conflitti".
Da questo momento in poi, la tematica dei corpi civili di pace, come gruppi di soggetti volti a ricercare la pace senza l’utilizzo delle armi, sarà spesso discussa in Parlamento fino a che, nel 1998, sulla base della proposta presentata dall’onorevole Spencer e da altri 38 deputati , il Presidente del Parlamento deferisce alla “Commissione per gli affari esteri, la sicurezza e la politica di difesa” il compito di analizzare la proposta e di redigere una relazione.
Nell’introduzione della relazione, si sottolinea come sia “ovvio ormai che avvalersi unicamente delle risorse tradizionali associate alle strategie diplomatiche o militari non basti più. E' necessario pertanto un approccio globale inteso a creare la pace, che comprenda gli aiuti umanitari, la cooperazione allo sviluppo e la soluzione dei conflitti. Gli interventi debbono essere coordinati a livello internazionale; riferirsi ai bisogni della popolazione nella zona di conflitto; essere compatibili con la società civile e con gli altri attori sul campo; essere non violenti e distinti dalle azioni coercitive, flessibili e pratici; essere altresì in grado di contrastare fin dall'inizio l'escalation della violenza.”
Il CPCE avrà carattere esclusivamente civile, le sue missioni saranno caratterizzate dall’assenza di operazioni militari violente, avrà il compito di ricercare il consenso delle parti interessate e “dal momento che gli sforzi intesi a trasformare il conflitto debbono riguardare tutti i livelli di conflitti che si protraggono nel tempo, il CPCE assumerà compiti multifunzionali. Esempi concreti delle attività del CPCE intese a creare la pace sono la mediazione e il rafforzamento della fiducia tra le parti belligeranti, l'aiuto umanitario (ivi compresi gli aiuti alimentari, le forniture di acqua, medicinali e servizi sanitari), la reintegrazione (ivi compresi il disarmo e la smobilitazione degli ex combattenti e il sostegno agli sfollati, ai rifugiati e ad altri gruppi vulnerabili), il recupero e la ricostruzione, la stabilizzazione delle strutture economiche (ivi compresa la creazione di legami economici), il controllo e il miglioramento della situazione relativa ai diritti dell'uomo e la possibilità di partecipazione politica (ivi comprese la sorveglianza e l'assistenza durante le elezioni), l'amministrazione provvisoria per agevolare la stabilità a breve termine, l'informazione e la creazione di strutture e di programmi in materia di istruzione intesi ad eliminare i pregiudizi e i sentimenti di ostilità, e campagne d'informazione e d'istruzione della popolazione sulle attività in corso a favore della pace.” Un altro compito rilevante del CPCE sarà quello di fungere da “ponte” tra le attività diplomatiche e politiche e la società civile.
Si sottolinea come tutto ciò non potrà essere imposto direttamente alle parti coinvolte nel conflitto : sarà quindi necessario sostegno a livello politico sia interno sia esterno.
Tutte le attività del CPCE saranno basate su un’intensa cooperazione con le ONG presenti sul territorio del conflitto ma, quale organo ufficiale dell’Unione, si distinguerà da esse. L’attività del corpo civile sarà indipendente dalla struttura militare ma vi dovrà essere cooperazione con essa nel caso in cui le missioni per il mantenimento della pace dovessero coincidere: “l'idea del CPCE dovrebbe essere presa in considerazione dall'UE quale ulteriore mezzo per accrescere e rendere la sua azione ancora più efficace. Agevolare il dialogo e ripristinare le condizioni di reciproca fiducia sono compiti troppo spesso trascurati che dovrebbero far parte di ogni missione di pace. Solo perseguendo un reale processo di riconciliazione si potrà raggiungere una pace durevole. La diplomazia civile, meno dura e più flessibile, dovrebbe essere usata per affiancare, continuare o concludere azioni militari per il mantenimento della pace.”
A seguito di questa relazione nel febbraio del 1999, il Parlamento redige una raccomandazione in cui si richiede al Consiglio di elaborare uno studio di fattibilità sulla possibilità di istituire un CPCE per rendere ancora più salda la Politica estera e di sicurezza comune. Raccomanda, in particolare, di vagliare tutte le concrete possibilità di intervento del corpo civile nella “mediazione e nella promozione della fiducia fra i belligeranti, nell’assistenza umanitaria, nella reintegrazione (specie tramite il disarmo e la smobilitazione), nella riabilitazione nonché nella ricostruzione unitamente al controllo ed al miglioramento della situazione dei diritti umani” ma chiede anche che sia proposta una relazione riguardo i limiti di un simile corpo.

5 Il Consiglio europeo di Helsinki: una svolta decisiva

Nel Consiglio europeo di Colonia del giugno del 1999 si è continuato il cammino, intrapreso con Amsterdam, di riforme in tutti i settori. Per quello che riguarda la gestione civile dei conflitti “il Consiglio europeo invita il Consiglio "Affari generali" ad approfondire i lavori su tutti gli aspetti della sicurezza, al fine di perfezionare e coordinare meglio gli strumenti non militari di risposta alle crisi dell'Unione e degli Stati membri. Nell'ambito di tali lavori potrebbe tra l'altro essere discussa, a complemento di altre iniziative di politica estera e di sicurezza comune, l'eventuale creazione di una capacità di stand-by al fine di concentrare le conoscenze specialistiche e le risorse civili dei singoli Stati”.
Questo punto generale viene ripreso e analizzato in modo più analitico nel Consiglio europeo dello stesso anno, svoltosi a Helsinki. In particolare, il Consiglio adotta due allegati, uno dei quali riguarda lo sviluppo delle capacità di gestione non militare delle crisi da parte dell’Unione Europea. Pur sottolineando che “L'Unione riconosce al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite la responsabilità primaria del mantenimento della pace e della sicurezza internazionali” , essa decide di impegnarsi a contribuire alla sicurezza e alla pace internazionale. Oltre a tutta una serie di impegni in campo militare, verrà creato un “meccanismo di gestione non militare delle crisi per coordinare e rendere più efficienti i vari mezzi e le varie risorse civili, parallelamente a quelle militari, a disposizione dell'Unione e degli Stati membri.”
Le concrete possibilità sono analizzate più attentamente in una seconda parte della relazione finale.
In primo luogo il Consiglio europeo incarica la presidenza di approfondire i lavori riguardanti la sicurezza, per perfezionare e coordinare al meglio gli strumenti già esistenti di gestione non militare delle crisi. Si prende atto che l’Unione e gli Stati membri hanno sviluppato notevoli capacità in diversi settori, come ad esempio quelli di polizia civile, assistenza umanitaria, riabilitazione amministrativa e giuridica, nei servizi di ricerca e salvataggio, nell'osservazione elettorale e nel monitoraggio della situazione dei diritti dell'uomo ma, per poter utilizzare al meglio questi strumenti per evitare l’aggravarsi di certe situazioni, occorre sviluppare una “capacità di reazione rapida” .
L’Unione si prefigge di rafforzare il dialogo e la capacità di risposta tra Stati, organizzazioni non governative e associazioni per creare maggiore cooperazione ed “evitare i doppioni”, lasciando a ciascun contribuente la facoltà di decidere riguardo alle forze o alle risorse da spiegare; inoltre si vuole intensificare il ruolo dell’UE presso altre organizzazioni internazionali in caso di crisi che le coinvolga in modo particolare.
Per questo occorre effettuare tre passi importanti che dovrebbero permettere di identificare punti di forza e debolezza e promuovere standard di formazione migliori, attraverso la condivisione delle esperienze e progetti tra gli Stati membri:

1. Creare un inventario, per individuare preliminarmente le risorse, il personale, e i mezzi finanziari, sia collettivi sia nazionali, che possono essere utilizzati per funzioni dell’Unione stessa o dietro richiesta di altre organizzazioni.
2. Creare una base di dati, per poter usufruire di un aggiornamento continuo e reale dei vari mezzi esistenti.
3. Elaborare uno studio che determini obiettivi concreti per la risposta non militare delle crisi, ad esempio “capacità di dispiegare in breve tempo, e mantenere per un certo periodo un determinato contingente di polizia civile quale contributo alle missioni di polizia civile; capacità di dispiegare una forza combinata di ricerca e salvataggio comprendente sino a 200 persone nell'arco delle 24 ore.

Per il coordinamento degli strumenti civili di gestione, sarà istituito il “meccanismo di coordinamento per la gestione civile delle crisi”, che fornirà pareri alle istituzioni competenti che hanno il potere di adottare le disposizioni del caso.
Per quanto riguarda i finanziamenti, il Consiglio sottolinea che “occorrerebbe istituire meccanismi di finanziamento rapido quali, ad esempio, il fondo di reazione rapida della Commissione, che consentano di erogare più celermente finanziamenti a sostegno delle attività dell'UE, contribuire alle operazioni condotte da altre organizzazioni internazionali e finanziare, ove opportuno, le attività delle ONG.”
Spetterà al Consiglio “Affari Generali” porre in essere strutture e decisioni conformi alle disposizioni dei trattati entro marzo 2000.
Il Consiglio, infine, nella relazione generale , invita la futura presidenza e l’Alto Rappresentante a portare avanti i lavori all’interno della Commissione “Affari generali” e pone due tappe fondamentali di verifica: il Consiglio Europeo di Lisbona per controllare lo stato di avanzamento dei lavori, e il Consiglio Europeo di Feira per un controllo globale sulla materia.
Le decisioni adottate ad Helsinki hanno segnato un’inversione di tendenza rispetto all’interesse finora mostrato sul tema della gestione civile delle crisi all’interno della Politica Estera e di Sicurezza poiché, prima d’ora, il problema non era mai stato affrontato in modo così specifico dalle istituzioni più importanti dell’Unione stessa. Da questo momento in poi, in tutti i Consigli europei, nel Parlamento e nella Commissione il tema della risoluzione civile delle crisi non è più stato abbandonato, seppur trattato con maggiore o minore rilevanza.

6 Il Consiglio europeo di Feira

Il 2000 è segnato da importanti passi avanti nel campo della gestione civile delle crisi. Sulla scia delle decisioni prese al Consiglio Europeo di Helsinki l’anno prima, continuano i lavori per la creazione degli inventari, delle raccolte di dati e i lavori sugli studi di obiettivi concreti da affidare a corpi civili.
Se il Consiglio Europeo, svoltosi a Lisbona, il 23-24 marzo, si limita a esprimere il proprio compiacimento per lo stato di avanzamento dei lavori e invita il Consiglio a istituire, entro il successivo Consiglio europeo, il comitato per la gestione civile delle crisi, nelle conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Feira , viene esposto un chiaro quadro su ciò che è già stato fatto e sugli obiettivi futuri.
a) Il comitato
Il 16 giugno tiene la sua prima riunione il Comitato per la gestione degli aspetti civili delle crisi, formato da rappresentanti degli Stati membri, che opera in veste di gruppo di lavoro del Consiglio e riferisce al Comitato dei rappresentanti permanenti. “Esso ricerca informazioni, formula raccomandazioni e fornisce consulenze sugli aspetti civili della gestione delle crisi al comitato politico e di sicurezza ad interim e agli altri organi appropriati del Consiglio secondo le rispettive competenze.” Il Comitato continua ad operare anche oggi, attraverso puntuali relazioni fornite periodicamente al Consiglio.

b) L’inventario e la base di dati
Il meccanismo di coordinamento che è stato istituito presso il Segretariato del Consiglio, ha proceduto all’inventario delle risorse degli Stati membri e dell’Unione per la gestione civile delle crisi e alla creazione di database per la conservazione e condivisione di dati sulle diverse capacità. Sono stati anche intensificati i rapporti sia con i servizi della Commissione sia con la cellula di crisi ad interim istituita dal Segretariato Generale/ Alto rappresentante.

c) Lo studio
Questa è la parte più importante della relazione in quanto pone degli obiettivi concreti relativamente agli aspetti civili della gestione delle crisi.
In primo luogo si intende dotare l’Unione di strumenti adeguati per affrontare anche le più complesse crisi politiche con strumenti non militari che permettano di agire per prevenire lo scoppio o l’aggravamento di conflitti, consolidare la pace e la stabilità interna dell’area in questione in periodi di transizione e garantire la complementarietà degli aspetti militari e di quelli civili, come stabilito dai compiti di Petersberg. Vengono quindi individuati quattro ambiti in cui l’Unione intende concentrare gli sforzi, senza assolutamente escludere altri campi o altri strumenti non considerati.
Il primo riguarda la polizia, a cui viene riconosciuto un ruolo centrale nelle operazioni internazionali, in particolare per quello che riguarda la gestione e la prevenzione delle crisi; proprio per questo è richiesto agli Stati membri un rafforzamento delle proprie capacità in modo da passare, entro il 2003, da uno spiegamento di 3300 agenti a 5000. Occorrerà, però, in un secondo tempo, individuare e formare, a livello comunitario, un ampio numero di agenti, capaci di coprire l’intera gamma di operazioni richieste.
Gli Stati membri si impegnano a individuare “personale di polizia in grado di realizzare operazioni e missioni di consulenza, formazione e osservazione e attività di tipo esecutivo” per prevenire o smorzare crisi e conflitti interni, a intervenire “in situazioni non stabilizzate, quali un immediato dopoguerra, che richiedono forze massicce per il ripristino della legalità” e ad aiutare le polizie locali, per garantire il rispetto dei diritti umani fondamentali e delle leggi
Gli Stati si impegnano, inoltre, a fornire il personale richiesto entro trenta giorni; nel rapporto si sottolinea come, in base all’esperienza maturata, per far fronte alle crisi più complesse occorra dispiegare anche mille uomini nell’arco di un mese.
Ogni missione sarà valutata dagli organi competenti del Consiglio; l’Unione si impegna a fornire soggetti incaricati di valutare i rischi, pianificare e varare missioni di polizia sotto il suo comando o sotto quello di un’altra organizzazione internazionale-guida : “L'UE dovrebbe, al riguardo, essere in grado di contribuire inviando esperti legali allo scopo di predisporre il supporto ai sistemi giudiziari e penitenziari locali nonché esperti tecnici per il supporto di tipo ingegneristico, logistico ed amministrativo.”
Per la realizzazione di questi piani, verrà, di volta in volta, in stretta collaborazione con la polizia locale, studiato un metodo per raggiungere gli obiettivi prefissati e mantenerli e sarà eseguito un esame periodico dei progressi ottenuti.
I database, a livello comunitario e nazionale, saranno aggiornati con le capacità, disponibilità e esperienze acquisite dai corpi di polizia.
Al fine di aumentare i contatti con altre organizzazioni internazionali impegnate nello stesso campo, l’Unione si impegna ad instaurare stretti coordinamenti con l’ONU; l’OSCE e il Consiglio d’Europa ma anche ad effettuare uno studio approfondito sulla pianificazione e conduzione di missioni autonome dell’UE stessa.
In secondo luogo si cercherà di lavorare per rafforzare lo stato di diritto, inteso come assistenza al ripristino di un sistema giudiziario e penitenziario. Potrebbero essere considerate diverse misure: ad esempio, gli Stati membri potrebbero definire le modalità di selezione di operatori del sistema, da utilizzare immediatamente al loro fianco, consentendo loro la possibilità di un’adeguata formazione o, in alternativa, l’Unione, in collaborazione con altre organizzazioni, potrebbe promuovere “orientamenti relativamente alla selezione e alla formazione di giudici ed esperti in materia penitenziaria” o, ancora, l’UE si potrebbe impegnare in prima persona a livello economico per garantire il ripristino delle strutture necessarie, quali tribunali, carceri, centri di formazione per il personale e contributi per la loro successiva assunzione.
Il terzo ambito riguarda il rafforzamento dell’amministrazione civile.
Al fine di ricreare un sistema amministrativo efficiente, occorre migliorare la selezione, la formazione e l’impiego di esperti nel settore, volgendo una particolare attenzione alle amministrazioni locali di società in transizione.
Infine, è stato individuato come settore nevralgico quello della protezione civile. Questo è un ambito da distinguere da operazioni condotte in caso di catastrofi naturali, sebbene alcuni compiti si possano intersecare con quelli della protezione civile in ambito di gestione delle crisi. I lavori di sviluppo di questo quarto settore devono ancora essere ultimati, dopo aver stabilito obiettivi e studiato nuove proposte.
In conclusione della relazione, si invita quindi la successiva Presidenza e l’Alto Rappresentante della PESC a proseguire i lavori già iniziati e ad attuare le decisioni prese a Feira, anche per quello che riguarda lo sviluppo e l’utilizzo concreto delle capacità dell’UE nella gestione civile di crisi, compresa l’ulteriore definizione di obiettivi concreti.
Nel successivo Consiglio Europeo di Nizza, la PESC è stata sottoposta a ulteriori modifiche. Nonostante siano apportate diverse e rilevanti innovazioni in tema di gestione militare delle crisi, l’aspetto civile delle stesse non ha ricevuto altrettanta attenzione per cui viene semplicemente rinnovato l’impegno dell’Unione nel continuare nella direzione intrapresa a Feira.

7 La legislazione nei primi anni del nuovo millennio

Utilizzando il meccanismo previsto dall’art 308 T.CE. , su proposta della Commissione e sentito il parere del Parlamento, il Consiglio ha adottato nel febbraio del 2001 un regolamento che istituisce il meccanismo di reazione rapida, ritenendolo necessario a raggiungere “uno degli scopi della comunità, senza che il trattato abbia previsto i poteri a tal uopo richiesti.”
Basandosi sulla volontà mostrata ad Helsinki di offrire un maggiore sviluppo alla capacità di gestione non militare delle crisi, il Consiglio ha deciso di creare il meccanismo di reazione rapida, che permette “alla Comunità di rispondere in modo rapido, efficace e flessibile a situazioni di emergenza o di crisi o a minacce di crisi”. Il meccanismo si basa sull’utilizzo di strumenti giuridici già esistenti che possono essere immediatamente attivati nel caso in cui l’iter normale preveda tempi troppo lunghi o nel caso in cui l’azione sia limitata nel tempo.
Si intende per “strumenti giuridici comunitari già esistenti” tutto l’insieme di azioni civili che mirano a preservare o ricostituire le condizioni di stabilità necessarie per poter contribuire all’esecuzione di politiche e di programmi di aiuto, assistenza e cooperazione. Possono essere attuate in casi di reale o potenziale conflitto. Le azioni prese in considerazione non nascono ex novo ma sono esclusivamente contenute nei regolamenti, decisioni, accordi o convenzioni indicati nell’allegato, stipulati dall’Unione con altri paesi con la previsione di aiuti particolari. Occorre sottolineare che, sebbene l’elenco possa sembrare un limite all’azione dell’Unione, in esso sono compresi accordi con tutti i paesi che necessitano di aiuto.
Ex art 4, “le azioni svolte nell'ambito del meccanismo di reazione rapida sono decise dalla Commissione ai sensi delle disposizioni del presente regolamento.” In ogni caso, il Consiglio deve essere informato di ogni decisione. È ancora la Commissione che assicura il coordinamento delle varie azioni e che può decidere eventuali azioni complementari, conformi alle azioni iniziali. Ogni azione non può essere attuata per oltre sei mesi.
La Commissione può avvalersi di “partner”, quali autorità degli Stati membri o dei paesi beneficiari e le loro agenzie, le organizzazioni regionali e internazionali e le loro agenzie, le ONG e gli operatori pubblici e privati che dispongono dell'esperienza e delle competenze necessarie. Con le ONG e gli operatori pubblici e privati selezionati,viene concluso un accordo finanziario, sottoposto al controllo della Commissione e della Corte dei conti.
Il regolamento in quanto tale, è obbligatorio in tutti i suoi elementi e immediatamente applicabile negli Stati membri, che, insieme all’Unione, ora dispongono di uno strumento in più nel campo della gestione civile delle crisi.
Nello stesso anno, l’11 aprile, la Commissione pubblica una comunicazione sulla prevenzione dei conflitti, che verrà spesso ripresa. La comunicazione è molto dettagliata, analizza ogni singolo aspetto che può provocare instabilità o crisi e cerca di individuarne possibili soluzioni senza il ricorso alla forza.
Nel documento si parte dalla considerazione secondo cui l’Unione ha aiutato o sta aiutando alcuni paesi dell’Est europeo nel percorso per diventare democrazie stabili e poter entrare a pieno titolo nell’UE e nella grande area di libero scambio da essa creata. Tutte le azioni intraprese dagli Stati membri e dalle Istituzioni possono essere anche un esempio per tutti quei paesi non europei che stanno uscendo da periodi di crisi politica o economica, che sanno di poter contare sull’aiuto comunitario attraverso particolari progetti e accordi.
La Commissione individua nell’instaurazione di legami commerciali e nelle iniziative macroeconomiche una prima forma di aiuto, poiché “facendosi motore della crescita economica e della riduzione della povertà , la politica commerciale CE contribuisce alla prevenzione dei conflitti” : viene quindi garantito un accesso preferenziale nel mercato europeo dei prodotti dei paesi in via di sviluppo. L’Unione sostiene anche le riforme economiche, soprattutto di paesi fortemente indebitati, attraverso aiuti di bilancio per permettere la crescita dell’economia.
Oltre allo strumento economico, di rilevante importanza, si ritiene che occorra un approccio di lungo periodo per evitare lo scoppio di conflitti. Dal momento che questi quasi sempre nascono per via di “povertà estrema, chiare sperequazioni di ricchezza, penuria di risorse naturali, disoccupazione, basso livello di istruzione, tensioni etniche o religiose, dispute territoriali regionali e alla frontiere, la disintegrazione dello Stato o l'assenza di meccanismi di risoluzione pacifica delle vertenze” , occorre compiere un lungo lavoro partendo dalle radici dei problemi e non soffermandosi solo sugli aspetti più superficiali delle questioni, per quanto anche questi abbiano bisogno di attenzione. Ci si propone, quindi, di lavorare su progetti riguardanti sia il lungo sia il breve periodo.
La Commissione vuole sostenere la democrazia, lo stato di diritto e la società civile attraverso un maggior numero di strumenti. Ha deciso di monitorare le elezioni, per permettere lo sviluppo di un ambiente democratico attento ai bisogni della popolazione, di proporre una riforma del settore della sicurezza con una serie di progetti per tentare di convertire risorse militari ad uso civile, per offrire sostegno al reinserimento dei combattenti nella società contribuendo ad un effettivo disarmo e per evitare ancora l’utilizzo di mine anti-uomo, ha poi stabilito di intraprendere azioni di monitoraggio e di rilevamenti fotografici nel tentativo di intaccare il commercio della droga e dello sviluppo conseguente della criminalità organizzata, di far rispettare gli accordi internazionali stipulati in materie ambientali per diminuire le tensioni riguardanti i problemi legati all’approvvigionamento delle risorse naturali, in particolare delle risorse idriche, di incoraggiare un comportamento responsabile delle multinazionali operanti in questi paesi per evitare ulteriori conflitti e, infine, di proporre programmi di azione per la lotta contro le più pericolose malattie e contro il traffico di esseri umani per evitare l’aggravamento delle condizioni di vita delle popolazioni già colpite da conflitti.
Oltre a questi progetti, l’Unione si sta impegnando nell’ottimizzare tutti gli strumenti a sua disposizione, a garantire una sua pronta reazione anche grazie al meccanismo di reazione rapida appena istituito, ad utilizzare gli strumenti diplomatici conosciuti, ad attuare un dialogo politico ma anche a fare largo uso di sanzioni sia preventive sia successive allo scoppio di un conflitto, cercando di tutelare al massimo i diritti umani.
Mi sembra significativa la frase di chiusura della relazione in cui si afferma che l’efficacia di tutti gli strumenti utilizzati dipende soprattutto dalla volontà degli Stati membri di attuare tutti i progetti individuati: molto spesso, però, i conflitti di interesse ritardano o addirittura non permettono il raggiungimento di una posizione comune che decida l’effettiva azione dell’Unione nella risoluzione della crisi. Fino a che gli Stati membri stessi non fisseranno una scala di valori e priorità volta all’aiuto dei paesi più deboli e non solo ai propri interessi, sarà difficile far effettivamente decollare gli strumenti di gestione civile delle crisi. Questo “costituisce il vero banco di prova della nostra capacità di contribuire alla prevenzione dei conflitti.”

Anche il Consiglio europeo, svoltosi a Goteborg, in giugno, si muove nella stessa direzione della Commissione: viene approvato un programma comunitario sulla prevenzione dei conflitti violenti, teso al miglioramento delle capacità di azione e reazione nelle crisi. Sugli stessi passi si muovono i Ministri al Consiglio europeo di Laeken di fine anno, ponendo, però, maggiore accento sullo sviluppo delle forze militari, lasciando in disparte l’eventuale rafforzamento di quelle civili.
Anche il Parlamento europeo esprime la propria posizione sul tema : pur trovandosi in accordo con Commissione e con quanto deciso dalla Presidenza del Consiglio europeo, fa notare come l’attuale struttura dell’Unione offra poche possibilità di collaborazione tra le ONG. Non è previsto né un coordinamento reale o tra tutti i soggetti operanti a contatto con la società civile o con le istituzioni europee, i cui compiti, spesso sovrapposti, provocano una spesa inutile, né le risorse finanziarie necessarie per la realizzazione dei progetti. Inoltre esprime il suo rammarico per la mancata creazione del corpo civile di pace europeo dopo oltre sei anni dall’approvazione della proposta sulla sua costituzione.
Infine anche il Parlamento sottolinea come sia necessario l’impegno della volontà politica degli Stati per la prevenzione dei conflitti dal momento che i soli strumenti comunitari non possono essere ritenuti sufficienti.

Nel biennio 2002-2003 i lavori proseguono nella chiara direzione ormai intrapresa.
Come ricorda “Mr. Pesc”, Javier Solana , nel suo discorso tenuto alla Conferenza a livello ministeriale sulla capacità di gestione civile delle crisi, nel Novembre del 2002, “gli strumenti civili sono importanti tanto quanto quelli militari.” Sempre in questa occasione, è annunciato il lancio della missione EUPM (European Police Mission) in Bosnia ed Erzegovina in cui saranno adottati, accanto alle forze militari e di polizia, una vasta gamma di strumenti civili di risoluzione della crisi: l’obiettivo è di contribuire allo sviluppo e al consolidamento delle autorità locali e regionali nonché all’abbattimento della criminalità organizzata che mina la stabilità del paese.
Nel Consiglio europeo di Bruxelles, di dicembre 2003, è adottato un testo di rilevante importanza riguardo la strategia europea in materia di sicurezza redatto in collaborazione tra le diverse istituzioni per assicurare la continua ricerca e sviluppo delle diverse capacità sia nel settore civile sia nel settore militare nella gestione delle crisi .
Il documento rispecchia la struttura e i contenuti della relazione della Commissione, di due anni prima. Nella prima parte è di nuovo compiuta un’analisi dei problemi che minano la sicurezza globale: si parla, quindi, delle minacce di terrorismo, delle guerre, delle malattie e di tutti quei settori che possono portare all’instabilità di uno stato o di parte di esso.
Nella seconda parte sono proposti diversi obiettivi da raggiungere per evitare o arginare le crisi: il principale riguarda la cooperazione dei vari settori per mantenere uno stato di pace duratura. “La diffusione del buon governo, il sostegno alle riforme politiche e sociali, il contrasto della corruzione e dell'abuso di potere, lo stabilimento dello stato di diritto e il rispetto dei diritti dell'uomo rappresentano i mezzi più efficaci per il rafforzamento dell'ordine internazionale. Le politiche in materia di commercio e sviluppo possono essere strumenti potenti di promozione delle riforme.” Ecco allora emergere la volontà dell’Unione di cercare di cooperare tra i vari settori: per l’iniziale soluzione dei conflitti armati può essere necessario un intervento militare ma questo non sarà sufficiente se non sarà seguito da missioni civili per il ripristino di governi democratici e questi ancora, necessiteranno sia di aiuti a livello economico sia di strumenti per poter ripristinare traffici economici e garantire il sostentamento del paese stesso. Occorre quindi “sviluppare l'intero spettro degli strumenti a nostra disposizione per la gestione delle crisi e la prevenzione dei conflitti, che promuova interventi tempestivi, iniziative politiche, diplomatiche, militari e civili e commerciali. Sono necessarie politiche attive per far fronte a vigorose minacce e a nuove dinamiche.” Questo è possibile anche grazie al bilancio dell’Unione, che stanzia ogni anno 160 milioni di euro per la voce “difesa”, in cui rientrano anche lo studio e lo sviluppo concreto di operazioni civili e militari. In conclusione, L’Unione Europea ha tutte le potenzialità necessarie per offrire il proprio contributo alla risoluzione di questi problemi ma, ancora una volta, incisiva sarà la volontà degli Stati membri.

8 Evoluzione nel 2004

A partire dal 2003, con l’adozione del documento sulla strategia europea in materia di sicurezza, il tema della gestione civile delle crisi inizia ad essere trattato sotto aspetti poco considerati in precedenza: dopo aver lavorato per la creazione delle prime missioni e per il loro funzionamento, si è iniziato a perfezionare anche altri lati delle stesse. In particolare l’attenzione si è incentrata sulla ricerca e sulla collaborazione o cooperazione nell’utilizzo dei vari strumenti per gestire e prevenire le diverse crisi.
È un esempio di questo cambiamento il discorso tenuto dall’allora Presidente della Commissione, Romano Prodi, nel marzo del 2004. Il tema trattato riguarda le relazioni dell’Unione Europea con gli Stati Uniti, a seguito delle diverse guerre intraprese da questi dopo gli attacchi terroristici del 2001. Al di là del contesto specifico, mi sembra piuttosto importante il continuo richiamo alla collaborazione sia con Paesi membri sia con i Paesi terzi in tutti i campi, per poter raggiungere l’obiettivo comune di “costruire una società pacifica e ordinata per i nostri cittadini e porre le basi per la stabilità e lo sviluppo delle altre regioni del pianeta: Ci spingono verso questi obiettivi gli stessi motivi ideali e anche la comune consapevolezza che un mondo più stabile e più equo è una condizione per il benessere e la sicurezza delle nostre stesse società.”

a) La ricerca
I primi passi in materia di ricerca vengono mossi dalla Commissione Europea nel 2004, attraverso una sua comunicazione, nata grazie alla volontà di rendere pubbliche le ricerche che “il gruppo di personalità nel campo della ricerca in materia di sicurezza” ha effettuato durante i suoi lavori dell’ottobre 2003 . La sua missione fondamentale era di proporre principi e priorità per un “programma Europeo di ricerca in materia di sicurezza (PERS ), coerente con gli obiettivi strategici della politica estera, di sicurezza e di difesa dell’Unione Europea e la sua ambizione di costruire un’area di libertà, sicurezza e giustizia.”
La ricerca può essere uno strumento utile per la gestione o prevenzione delle crisi: a livello civile sono molti i prodotti e servizi interoperativi utilizzabili per la protezione dei cittadini, del territorio e delle infrastrutture, nonché per la realizzazione di attività di mantenimento della pace. La sicurezza è inoltre un requisito indispensabile per l’adeguato funzionamento dei servizi europei di base, quali i trasporti e l’approvvigionamento energetico e la ricerca svolge un ruolo fondamentale nel garantire un elevato livello di protezione poiché cerca di ottenere la giusta tutela sia dei cittadini sia dell’economia che ruota intorno ad essi.
Oltre a sottolineare come l’Europa abbia molti punti di forza nel settore industriale e tecnologico non sfruttati a pieno per proporre nuovi e validi strumenti di sicurezza, nella relazione sia parla di tecnologie civili e militari. Fino ad ora, all’interno dell’UE , c’è sempre stata una netta distinzione tra tecnologie militari e tecnologie civili: questa separazione rischia di creare inutili sprechi in quanto, attualmente, molti strumenti sono a duplice uso , adattabili sia su strutture civili, sia su strutture militari. Inoltre, la duplicazione delle ricerche, rallenta inevitabilmente le stesse in quanto passi avanti compiuti su un ramo, non sono portati a conoscenza di coloro che operano nell’altro settore.
Risulta, quindi necessario rafforzare la cooperazione evitando la frammentazione ed eliminando l’attuale dispersione.
La Commissione si propone anche di istituire un “Comitato consultivo per la ricerca in materia di sicurezza (CRRS) “ incaricato di stabilire la linea d’azione della PERS. Il CRRS sarà effettivamente costituito nel 2005 e opererà già nello stesso anno.
Accogliendo favorevolmente il documento della Commissione, nel 2005 il Parlamento Europeo approva una risoluzione sulla ricerca in materia di sicurezza. Risulta essere favorevole al programma europeo sulla sicurezza ma si raccomanda il massimo coordinamento nella stesura e nell’attuazione dei programmi di ricerca, stabilendo in modo chiaro e preciso obiettivi ed eventuali priorità.
Richiede una netta distinzione tra la ricerca militare e quella non militare ma ritiene necessarie ricerche anche nel campo delle tecnologie duali e chiede, in quest’ultimo campo “l’ottimizzazione delle potenziali sinergie tra difesa e ricerca civile, mediante l’integrazione e il trasferimento di tecnologia tra entrambi i settori”. Si raccomanda, inoltre, che l’incremento degli investimenti nelle ricerche nel campo della sicurezza non comporti alcun taglio di spesa ai finanziamenti destinati solamente al settore civile.

b) La cooperazione
È sempre nel 2004 che la Commissione propone al Parlamento europeo un regolamento per istituire uno strumento per la stabilità, che funga da raccordo tra tutte le modalità di gestione delle crisi conosciute e utilizzate dall’Unione per poter contribuire in modo sempre migliore alla risoluzione delle crisi . Il testo finale è stato approvato dal Parlamento nel novembre del 2006 .
Questo regolamento indica come la necessità di avere strumenti coordinati tra loro, senza doppioni, sia diventata fondamentale: esso, infatti, abroga tutta una serie di regolamenti precedenti, molto importanti, che hanno segnato l’evoluzione nel settore della gestione civile delle crisi.
L’assistenza prevista dal regolamento si intende complementare a quella già fornita da altri strumenti dell’Unione, nel caso in cui il loro intervento non sia sufficiente.
La volontà è di avviare attività di cooperazione allo sviluppo, di aiuto finanziario, economico e tecnico con i paesi terzi che o siano in situazioni di crisi o di pre-crisi e che necessitino, quindi, di aiuto per tornare ad una situazione di stabilità scongiurando ogni minaccia alla democrazia all’ordine pubblico, all’ordinamento giuridico e alla tutela dei diritti umani o che, pur in situazioni di generale tranquillità, necessitino di strumenti per far fronte a problemi che potrebbero rilevarsi destabilizzanti per la situazione dell’area stessa.
All’art. 3, sono indicate diverse misure per far fronte ai problemi citati nel primo caso: si parla di sostegno alla creazione e al finanziamento di amministrazioni temporanee in attesa della nascita di istituzioni statali democratiche (apparati giuridici locali e regionali, tribunali nazionali ) sorti proprio grazie alla collaborazione dell’UE.
Sono previste misure per incoraggiare la partecipazione della popolazione all’organizzazione statale e al processo politico, perché solo con una maggiore partecipazione e presa di coscienza dei problemi questi si possono affrontare e risolvere.
Oltre al sostegno alle istituzioni, molto importante è l’aiuto offerto alla società civile, attraverso i finanziamenti per la ricostruzione delle infrastrutture, per la reintegrazione degli ex combattenti e delle vittime dei conflitti armati; sono previste anche particolari misure per assecondare le necessità di donne e bambini nonché per permettere l’equo accesso a tutti alle risorse naturali.
All’art. 4, sono invece indicate le misure da adottare in casi di condizioni stabili per attuare una maggiore cooperazione: si parla di rafforzamento della capacità di far rispettare le leggi, di potenziare la legislazione esistente in materia di antiterrorismo, stupefacenti, commercio estero e calamità improvvise che possono causare minacce all’ordine pubblico, alla sicurezza e all’incolumità dei cittadini; di promozione della ricerca e di pianificazione di misure d’emergenza per attenuare i rischio di eventuale dispersione o cattivo utilizzo di materiali o agenti chimici, biologici, radiologici o nucleari nonché di sviluppo di capacità pre e post crisi.
L’esecuzione di questi punti può avvenire attraverso diversi strumenti:

a. misure di assistenza straordinaria e programmi di intervento transitorio, nei casi citati dall’art. 3, sotto decisione della commissione;
b. documenti di strategia multipaese, documenti di strategia tematici e programmi indicativi pluriennali, utilizzati per situazioni di stabilità di cui all’art. 4;
c. programmi d’azione annuali che precisano gli obiettivi e i settori d’intervento di cui al punto b);
d. misure speciali, da adottare in caso di circostanze impreviste.

Il regolamento prosegue indicando tutte le modalità di finanziamento e la descrizione delle gare di appalto per l’aggiudicazione dei contratti di fornitura da utilizzare per raggiungere gli scopi prefissati.
È previsto un meccanismo di valutazione degli operati, gestito per intero dalla Commissione, assistita da un Comitato.
Il regolamento ha una durata limitata: è applicabile dal gennaio 2007, fino al dicembre 2013 ma, entro il 2010 la Commissione dovrà sottoporre al Parlamento europeo e al Consiglio proposte di eventuali modifiche e miglioramenti di questo strumento.

c) “Obiettivo primario 2008”
Nella riunione del Consiglio europeo di dicembre , viene approvato il documento “Obiettivo primario civile 2008” : esso contiene tutti gli obiettivi che l’Unione si pone in ambito della gestione civile delle crisi fino al 2008. Questo documento è nato subito dopo la stesura dell’ “Obiettivo primario 2010”, che riguarda, invece, la gestione militare delle crisi.
Nel documento sono definiti i futuri obiettivi riguardanti il potenziamento sia qualitativo sia quantitativo degli strumenti non militari d’intervento nelle crisi e nei conflitti. Secondo l’obiettivo primario civile 2008 “l’UE deve pertanto essere preparata a condurre varie missioni concomitanti di gestione civile delle crisi in ambito PESD, facendo appello a diverse capacità, fra cui almeno una vasta missione civile sostitutiva, schierabile a breve in un contesto non amichevole”: occorre, quindi, saper e poter utilizzare dei cosiddetti “pacchetti integrati di diverse capacità”, delle squadre composte da esperti nei vari settori dispiegabili entro 30 giorni dalla decisione d’intervenire.
I settori in cui l’Unione dispone di capacità civili sono quattro: l’area della polizia, il settore che si occupa della tutela dello stato di diritto, il settore dell’amministrazione e quello della protezione civile.
A questi, stabiliti nel Consiglio europeo di Feira del 2000, si sono aggiunti altri due tipi di soggetti: soggetti competenti nelle materie di monitoraggio e soggetti esperti specializzati in più aree, come ad esempio diritti umani e affari politici.
Tuttavia già dall’approvazione del documento, alcune categorie sono risultate sprovviste di personale: occorrerà quindi cercare di coprire i settori riguardanti giudici e procuratori, personale penitenziario, funzionari di polizia a livello manageriale e non.
Secondo la pianificazione, l’UE dovrebbe essere in grado di schierare entro il 2005
una quantità consistente di personale nei settori di polizia e di tutela dello stato di diritto.

9 Le ultime tappe

Gli ultimi passi sono stati compiuti nel 2006, attraverso l’azione e del Parlamento europeo e della Commissione.
Il Parlamento europeo, attraverso una sua risoluzione , pone l’accento sull’applicazione della strategia europea di sicurezza, approvata nel 2003, che ritiene contenere “un’eccellente analisi delle minacce cui deve far fronte il mondo moderno” .
Il punto centrale della risoluzione è l’idea secondo cui l’Unione debba attuare i propri compiti in primo luogo attraverso mezzi civili e pacifici mentre “il ricorso a mezzi militari può avvenire solo dopo aver scandagliato tutte le possibilità negoziali”. Il Parlamento sottolinea anche come la lotta al terrorismo non possa essere condotta principalmente attraverso l’utilizzo di strumenti militari ma siano necessarie misure civili, come ad esempio, la creazione di istituzioni democratiche , infrastrutture sociali ed economiche che contribuiscano allo sviluppo del buon governo e di una società civile in grado di opporsi a qualunque forma di razzismo e terrorismo.
È ricordato, però, che attualmente le risorse impiegate in questo campo sono decisamente limitate e si chiede all’Unione Europea e, quindi, ai singoli membri, “di rafforzare la sua credibilità in veste di attore globale”, concentrandosi particolarmente sulle regioni geograficamente vicine.
La risoluzione tocca anche il tema della cooperazione civile e militare integrata, evidenziando come la cooperazione abbia fornito un grande aiuto nella gestione delle crisi attraverso interventi umanitari, ricostruzione e ripristino della pace al termine dei conflitti. Il Parlamento si dice soddisfatto dei punti stabiliti dall’obiettivo primario civile 2008 che inverte la tendenza attribuendo maggior importanza rispetto al passato a questo tema: in particolare segnala positivamente il ruolo che potrà svolgere in futuro la cellula civile-militare e il centro operativo che, auspica, potranno diventare una sorta di quartiere generale per l’espletamento di tutti i tipi di missioni
La Commissione , invece, inizia a trattare il tema della riforma nel settore della sicurezza (SSR) che, negli anni futuri, sarà sicuramente oggetto di grande dibattito. Il processo si occuperà “sia di accrescere la sicurezza dei cittadini sia di rimediare le carenze di governance” poiché l’Unione, attraverso la sua azione esterna, continuerà nella promozione dei diritti umani, delle libertà fondamentali, della pace e della democrazia e di tutti quegli aspetti che, in qualche modo, si legano al vasto settore della sicurezza.
La Commissione, sulla scia del Parlamento, ricorda come l’esercito sia solo una della forze da dispiegare per fornire sicurezza : è necessario contribuire allo sviluppo di corpi di polizia e di soggetti in grado di operare in tribunali e nelle prigioni dal momento che “organi giudiziari che mancano di indipendenza, parlamenti privi di capacità e competenza legale, forze e imprese di vigilanza che operano al di fuori della legge” sono problemi concreti che possono portare a situazioni di instabilità o addirittura di conflitto. Il sistema di riforma si deve, quindi, anche basare sul potenziamento del buon governo, di regole democratiche e dello stato di diritto, senza ricorrere all’uso della forza per ottenere quanto prefissato. Gli strumenti utilizzati dovranno essere basati sul dialogo politico e coordinati tra loro per evitare inutili “doppioni” e trarre maggiore e immediato vantaggio dalle diverse situazioni.

- II -
Analisi delle missioni in Bosnia-Erzegovina

L’Unione ha intrapreso, nel corso degli anni, diverse missioni di gestione civile delle crisi, poste sotto controllo di comitati civili, senza ingerenze militari anche se, in linea con le sue decisioni, spesso missioni civili e militari hanno collaborato tra loro, pur restando entità distinte.
La prima operazione di gestione civile delle crisi dell’Unione Europea è iniziata l’1 gennaio 2003 con la Missione Europea di Polizia (EUPM), in Bosnia e Erzegovina, nell’attuazione dei progetti disposti dalla Politica Europea di Sicurezza e Difesa (ESDP).

1 La situazione in Bosnia – Erzegovina

Lo sviluppo delle capacità di polizia costituisce uno dei punti più importanti del meccanismo della gestione civile delle crisi nell’Unione.
L’esperienza istituzionale dell’Unione in questo campo è iniziata proprio nei Balcani. Nel 1991 fu affidato alla Commissione europea, attraverso l’ EUMN, Missione europea di Monitoraggio, il controllo del ritiro dell’esercito jugoslavo dalla Slovenia in aggiunta al compito di osservazione e sorveglianza dei diritti dell’uomo. Attualmente la missione è ancora in corso in Albania, in collaborazione con l’OSCE. Le due organizzazioni hanno firmato un memorandum di intesa, che definisce le relazioni reciproche e permette lo scambio continuo di informazioni per svolgere al meglio i compiti affidati dalla missione.
Molto importante è stata anche la collaborazione con L’UEO (Unione Europea Occidentale) che controllava la Bosnia e l’Albania. In Albania, nel 1997, L’UEO ha stabilito una forza di polizia e si è impegnata a fornire adeguato addestramento ai corpi di polizia albanesi: nel 2000, il lavoro è passato sotto comando dell’Unione.
Tra il 1994 e il 1996, la città di Mostar è stata affidata alla gestione dell’Unione con il mandato di fornire appoggio alla forza locale di polizia, composta da più etnie, attraverso aiuti nell’addestramento e nella gestione giornaliera dell’ordine pubblico. Nel 1996 questo compito è stato assunto dalla missione ONU, IPTF.
La situazione che l’Unione Europea si trova davanti in ex Jugoslavia nello svolgimento dei diversi compiti, è frutto della pesante eredità che le persistenti e continue guerre hanno portato in queste regioni. La criminalità organizzata, la corruzione di ufficiali pubblici e l’ancora fiorente ideologia legata al partito nazionalista sono gravi problemi che la società civile deve affrontare e risolvere.
È necessario, in primo luogo, formare, dal punto di vista della coerenza, coloro che si occupano di questi aspetti all’interno dello Stato.
La Comunità internazionale ha ignorato per troppo tempo lo sviluppo della dimensione criminale, legata in modo quasi indissolubile all’economia, sollecitata anche dal fatto che una coesistenza pacifica e leale è piuttosto difficile tra i gruppi etnici presenti nell’Europa sud-orientale.
In secondo luogo occorre affrontare il problema del cosiddetto “weak state” o stato debole, che non è in grado di controllare la forza mentre l’accentramento delle capacità coercitive in mano ad un unico soggetto legittimato, oltre ad essere pietra cardine per poter definire uno stato come tale, è assolutamente necessario.
In mancanza di coerenza e con istituzioni deboli, la criminalità organizzata e la corruzione si trovano di fronte a strutture di controllo quasi inesistenti e, con la loro influenza, riescono a distruggerle frequentemente : molti soggetti appartenenti a questi gruppi, spesso ex criminali di guerra, godono di una maggiore popolarità e di un maggior rispetto dovuti alle azioni portate a termine durante i conflitti e sono protetti dalle loro comunità locali, che non si preoccupano di rispettare le leggi poste in essere dallo Stato.
Il sistema legislativo penale è lacunoso e non raggiunge gli standard europei e sia le comunità locali sia la polizia non hanno alcun interesse e alcuna capacità nell’affrontare il problema dal punto di vista politico e, successivamente, legislativo.
A questo si aggiunge anche la grande fragilità del sistema giudiziario a causa della mancanza di cooperazione tra polizia, procuratori e giudici. A queste ultime due categorie, così come ai testimoni, per via dell’insufficiente organizzazione, manca, la maggior parte delle volte, una protezione legale.
Nelle elezioni nel 2002 il partito moderato è stato sconfitto, lasciando spazio al partito nazionalista che, al di là delle previsioni, è riuscito ad effettuare alcune riforme importanti che erano state precedentemente ostacolate dalla parte più conservatrice del partito stesso.
Tutte le riforme sostenute e volute da paesi terzi sono motivo di scetticismo per quello che riguarda la loro durata: sicuramente non verranno applicate o riceveranno parziale attuazione se non saranno ritenute importanti e sostenute dal governo statale.
Diversi sono stati gli sforzi compiuti dalla Bosnia Erzegovina per presentarsi sulla scena mondiale come soggetto democratico rispettoso delle norme principali di diritto internazionale. Con la conclusione degli accordi di pace di Dayton, le parti del conflitto jugoslavo hanno manifestato la volontà di riconoscere la Corte Penale Internazionale e di collaborare con essa. Oltre a sottoporre a giudizio, con l’accusa di crimini contro l’umanità, diversi esponenti politici e militari, la Repubblica di Bosnia Erzegovina ha collaborato con il Tribunale Penale Internazionale ad hoc in casi particolarmente rilevanti (caso Tadic e repressione dei crimini nella valle del fiume Lavsa ). Inoltre, a sottolineare ancora di più la volontà di adesione agli accordi in questione, ha permesso l’instaurazione dell’IFOR, forza multinazionale con compiti di peace-keeping , con il compito di arrestare e tenere in stato di detenzione tutte le persone il cui atto d’accusa fosse stato confermato dal tribunale.
Ha accettato la giurisdizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, aderendo alla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo (CEDU) e impegnandosi a raggiungere i livelli standard di tutela dei diritti, richiesti dell’UE per poter intraprendere i trattati di adesione all’Unione stessa.
In ogni caso nessuna missione civile o militare, da sola, potrà porre i fondamenti per una pace durevole: è solamente la comunità civile che può ristabilire la normalità e garantire la pace.

2 La missione ONU: l’IPTF

Il referendum popolare del 1992 in Jugoslavia, ha deciso l’indipendenza della Bosnia, grazie al voto favorevole dei mussulmani e di una minoranza croata, con volontaria astensione dei serbi. Poco dopo sono iniziati primi scontri tra le varie etnie, sostenute da eserciti locali e di paesi limitrofi.
Nel 1992 è stata inviata la prima missione umanitaria dell’ONU, l’Unprofor, formata da corpi militari, i cui interventi avevano un carattere umanitario, per fornire prima assistenza e aiuti alimentari alle popolazioni.
Nel 1992 si ha il primo tentativo di risoluzione negoziale della crisi con l’approvazione, da parte dell’Unione in collaborazione con le Nazioni Unite, del piano Vance-Owen, che prevede la divisione della Bosnia-Erzegovina in 10 cantoni, di cui tre assegnati ai croati. Il piano ha ricevuto “un incondizionato sostegno” da parte delle due organizzazioni, che hanno insistito per ottenere una rigida applicazione delle norme da parte di tutti i membri coinvolti nel conflitto, per giungere il più velocemente possibile ad una soluzione pacifica.
Nel Consiglio europeo di Copenaghen, del 1993, la Presidenza ha ribadito come la soluzione negoziata debba basarsi sui principi di indipendenza, sovranità e integrità territoriale della Bosnia Erzegovina, protezione dei diritti dell’uomo e delle minoranze, nonché sulla repressione dei crimini di guerra e sul rispetto dei diritti dell’uomo, base, appunto, del piano Vance-Owen. Si sono, infine, esortati gli Stati membri ad inviare alle Nazioni Unite contingenti di uomini da impegnare in missioni sul posto per il conseguimento di questi obiettivi.
Il tentativo di soluzione è fallito, poiché i serbi hanno rifiutato di sottoscrivere il piano.
A partire dal 1995 hanno lavorato in Bosnia, sotto mandato ONU , un gruppo di esperti internazionali il cui compito, lungo gli anni, è stato di addestrare e selezionare personale locale addetto alla creazione e applicazione della legge nonchè al controllo del suo rispetto. La situazione in cui si è trovato ad operare lo staff dell’IPTF era carica di tensione : nel novembre del 1995 nella base Wright-Patterson Air Force di Dayton, furono firmati gli “accordi di Dayton”, o, più precisamente, il General Framework Agreement for Peace (GFAP) , nato sull’idea statunitense di risolvere il conflitto attraverso l’indebolimento della parte serba . Con tale trattato venne messa la parola fine alla guerra civile jugoslava. Questo stabiliva la divisione della Jugoslavia in due parti: la Federazione della Bosnia e della Erzegovina, controllata da bosniaci e croati, e della Repubblica Serba controllata dai serbi. Gli accordi non hanno prodotto il risultato sperato, finalizzato alla ricerca di una situazione pacifica di equilibrio, dal momento che i tre gruppi hanno continuato nella lotta tra loro per ottenere maggiore potere e controllo del territorio, senza cercare un minimo di dialogo con gli altri gruppi etnici.
In questo contesto, inizialmente il mandato dell’IPTF è stato ristretto e debole: i gruppi d'osservatori, rigorosamente di composizione multinazionale e che operano disarmati, dovevano limitarsi a riferire riguardo la situazione locale, senza alcun tipo di potere di intervento in caso di riscontro di violazioni.
Nel 1996 è stato incluso anche un processo di ristrutturazione fino a che, nel 1998, si è iniziato a fornire aiuto concreto alla polizia locale affinché potesse svolgere al meglio il suo ruolo primario di protezione dei cittadini e non solamente dello Stato.
Questo sottolinea come il compito primario della missione sia stato di stabilire una forza di polizia democratica e professionale ma anche multietnica, efficiente, trasparente, imparziale e rappresentativa della comunità per cui lavora.
La missione si è anche occupata del rimpatrio di tutti gli immigrati e dell’espulsione degli individui sospettati di aver commesso efferati crimini di guerra.
Per l’ONU la sfida più grande è stata intraprendere il processo di rafforzamento della polizia locale per presentarla alla società civile come nuova forza al servizio del popolo. Questo si è svolto in due fasi: in primo luogo si è cercato di eliminare le abitudini, spesso al limite della legalità, del personale della polizia, eredità dei precedenti regimi e, in secondo luogo, si è lavorato per cambiare la percezione che di essa aveva la società civile, al fine di rinforzarne la legittimità.
Sono state istituite, sotto controllo dell’ IPTF, due forze di polizia, una nella Federazione, diretta da Ministeri interni in ciascuno dei dieci cantoni, e una nella Repubblica Serba, centralizzata e disposta direttamente sotto il Ministero degli Affari Interni.
Il personale è stato reclutato tra i diversi gruppi etnici. Questa azione ha contribuito alla stabilizzazione della forza multinazionale comune. Alla fine del luglio del 2000 la forza era composta da 200 ufficiali di polizia schierati sia sul confine sia negli aeroporti internazionali per impedire attività criminali

3 La missione europea di Polizia (EUPM)

Il 18 febbraio 2002 il Consiglio ha annunciato la volontà dell’Unione nel proseguire la Missione internazionale di Polizia delle Nazioni Unite a partire dal 1 gennaio 2003 , attraverso una sua missione civile, denominata Missione di Polizia dell’Unione Europea (EUPM).In tale data ne ha acconsentito il finanziamento e ne ha previsto la data di fine, individuata nel 31 dicembre 2005.
In base agli accordi di Dayton, la missione di polizia dovrebbe creare corpi di sorveglianza ben funzionanti, posti sotto il comando locale, e dovrebbe essere in grado di realizzare gli obiettivi prefissati della missione entro pochi anni, contribuendo al mantenimento della pace e al processo di stabilizzazione regionale.
L’Unione si propone, comunque, di proseguire la collaborazione con ONU, NATO, e OSCE.
Il 4 marzo le autorità bosniache hanno formalmente invitato l’U.E. a intraprendere la missione e l’11 marzo il Consiglio degli Affari Generali ha espresso il suo consenso.
A questo è seguita la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ha ceduto il comando della gestione.
Il mandato EUPM è suddiviso in tre parti: la prima fase ha compreso la progettazione della missione ed è iniziata nel 2002 con la firma dell’accordo e si è conclusa il 1 gennaio 2003 con l’invio della prima parte dello staff.
La squadra di progettazione era composta da un Capo della polizia e dal personale necessario, preposto al soddisfacimento dei bisogni della missione. Il segretariato generale del Consiglio ha elaborato il CONOPS, un piano contenente tutte le necessità generali mentre la squadra di progettazione successivamente ha approvato un piano di operazione (OPLAN), entrambi visionati ed accettati dal Consiglio. Al termine di questa operazione è cessato il passaggio di consegne da parte dell’IPTF e il controllo di ogni aspetto è passato in mano al Comandante della Missione.
La seconda fase è stata quella dello sviluppo della missione nonché dell’accertamento dei progetti realizzati e del controllo sulla loro esecuzione mentre la fase finale, di uscita, consisterà nel valutare se la polizia sarà in grado di assumersi le responsabilità che le spettano.
Lo scopo è di creare un corpo di polizia che permetta il mantenimento dell’ordine pubblico e il rispetto delle leggi, affinchè sia possibile un maggiore lavoro politico e giudiziario. Inoltre gli ufficiali devono saper gestire i normali flussi di informazione e promuovere la collaborazione tra i vari cantoni.
In base al documento, la direzione della missione è affidata alla Commissione dell’Unione Europea e al Comitato di sicurezza e di politica che eserciterà, appunto, un controllo politico e dovrà essere informato di tutti gli aspetti della missione. Tutti le decisioni prese dai due organi dovranno essere in accordo con il regolamento, fermo restando l’obbligo di comunicare al Consiglio tutti gli atti adottati.
La missione avrà sede generale a Sarajevo, dove risiederanno il Capo della missione e tutti i rappresentanti delle varie organizzazioni impegnate in loco. Ventiquattro unità di monitoraggio saranno dislocate su tutto il territorio a contatto con tutte le strutture statali.
L’Unione ricorda che sia gli Stati aderenti alla NATO sia gli Sati appartenenti ad altre organizzazioni internazionali sono invitati a contribuire al progetto.
Il costo previsto per far decollare la missione, comprensivo di tutte le spese che sono state necessarie per il reclutamento e il successivo equipaggiamento del team, è stato di 14 milioni di euro e è stato interamente finanziato con fondi non previsti dal bilancio dell’Unione.
I 38 milioni necessari annualmente per il sostegno alla missione dovranno essere finanziati dal bilancio comunitario : nel caso in cui il finanziamento dei costi citati non risultasse sufficiente, il Consiglio deciderà in conformità alle previsioni del T.UE. ma questo dispendio dovrà essere severamente gestito secondo le procedure dell’UE, tenendo sempre presenti i vincoli di tempo e cercando di offrire a terzi la possibilità di contribuire economicamente alla missione. Le disposizioni finanziarie dovranno rispettare tutti i requisiti richiesti dalla missione.
Il finanziamento è stato l’operazione più difficile sin ad ora: si sono valutati realmente necessari 128 milioni di euro e, pur essendo prevista la possibilità di Stati terzi di pagare una tassa di entrata pari a 25 mila euro l’anno per poter essere più influente, nessuno per ora ha versato questa cifra.

4 L’accordo tra Bosnia e Unione Europea

A seguito dell’accordo tra Unione Europea, ex Jugoslavia e ONU sulla missione Europea di Polizia, è stato siglato un accordo tra Unione Europea e Bosnia Erzegovina riguardo alle attività che verranno svolte in questi Stati, la cui validità è estesa fino al termine della missione.
L’EUPM opera in conformità al suo mandato e le è conferita l’autorità necessaria per raggiungere i suoi obiettivi; è totalmente autonoma nell’esecuzione delle sue funzioni e coopera con i paesi terzi e con il paese ospitante.
Come già sottolineato nell’atto istitutivo della missione, oltre al campo base di Sarajevo, sono state create ventiquattro unità di controllo in tutto il paese per monitorare tutti i punti nevralgici, il cui perfetto funzionamento è necessario per il corretto sviluppo dell’istituzione statale
Il “planning team” che opererà sul campo,invece, è composto da un soggetto, a capo della missione, “the Police Head of mission”, assunto sotto contratto, dietro decisione del Consiglio, e da tutto lo staff necessario per lo svolgimento delle mansioni, formato da ufficiali di polizia, soggetti civili internazionali e persone reclutate sul posto.
Al Capo della missione spetta la responsabilità delle attività dell’EUPM.
Il numero dei soggetti dello staff e le loro competenze sono stabiliti in base alle necessità dalle più alte cariche dell’EUPM . Gli ufficiali di polizia, il cui periodo di disponibilità non può essere inferiore ad un anno, sono inviati dagli Stati membri che ne supportano tutte le spese relative, compresi gli stipendi. Sono, inoltre, stati reclutati su base contrattuale soggetti di stati terzi e soggetti appartenenti alle comunità locali.
Parte di questo personale è utilizzato per la collaborazione con altre organizzazioni ed è schierato in caso di necessità.
Il reclutamento è stato effettuato nel 2002: come stabilito da regolamento sono stati assunti sia soggetti dell’Unione, sia di paesi terzi sia soggetti appartenenti alle comunità locali. Ai membri dell’UE sono stati, quindi, offerti 2/3 dei posti necessari mentre i restanti sono stati occupati da soggetti di paesi terzi; inoltre, sono stati assunti circa 300 agenti di polizia locali.
Il meccanismo di assunzione ha comportato una sfida all’interno dell’Unione perché, solitamente, i corpi di polizia sono scelti per missioni internazionali di maggiore portata per cui la gran parte degli ufficiali mandati in missione si sono offerti volontariamente.
La parte più importante dell’accordo riguarda le immunità: lo status dell’EUPM è equivalente a quello di una missione diplomatica Il personale gode dei privilegi e delle immunità equivalenti a quelle degli agenti diplomatici e lo staff tecnico ed amministrativo durante la missione gode dei privilegi e delle immunità stabilite per esso dalla convenzione di Vienna così come il personale locale.
Il paese ospitante deve facilitare l’ingresso e l’uscita di tutti i membri all’interno del territorio della Bosnia e dell’Erzegovina. Chiunque faccia parte della missione gode di agevolazioni fiscali sia per oggetti utilizzati nella missione stessa sia per oggetti ad uso personale.
I membri dell’EUPM non possono possedere armi di alcun tipo; devono indossare l’uniforme prevista o vestiti civili con il distintivo della missione e possono utilizzare il loro passaporto come una carta d’identità.
La Bosnia Erzegovina si impegna a garantire massima protezione e sicurezza a tutto lo staff che però non può compiere alcuna azione incompatibile con la natura dei suoi doveri.
Durante le attività è garantita a tutti i membri libertà di movimento e possibilità di usare mezzi di trasporto locali nonché la possibilità di essere accompagnati da un interprete e, sotto richiesta da una scorta.
Il quartier generale, tutti gli uffici e i mezzi di trasporto sono inviolabili. Sulla sede principale deve sventolare la bandiera dell’Unione Europea e su tutti i mezzi di trasporto deve essere impresso il segno distintivo dell’EUPM.
I veicoli possono utilizzare tutti i servizi predisposti per la società civile.
Ogni componente dello staff ha accesso a basso costo a tutti i servizi di telecomunicazione (compresa una frequenza radio su cui poter operare) del paese ospitante o posti sotto il suo controllo. A tutte le parti partecipanti sono fornite cure mediche urgenti assistenza in caso d’emergenza e di necessità per richieste di documenti.

5 Il prolungamento della missione

Nel novembre del 2005, vista la situazione ancora molto instabile della zona , secondo le previsioni dell’art 14 del Trattato sull’Unione Europea, il Consiglio rinviato la fine della missione al 31 dicembre 2007.
La decisione si propone di continuare ad attuare i precedenti compiti al fine di raggiungere standard europei di sviluppo e di stabilità in accordo alle decisioni prese con gli accordi di Dayton ed in vista dell’adesione all’UE. Il dislocamento delle strutture i poteri e le responsabilità del Capo della missione e dello staff non muteranno così come i privilegi e le immunità. Il controllo politico e la direzione strategica continueranno ad essere seguiti dal Comitato di politica e sicurezza, sotto responsabilità della Commissione che lo autorizzerà nel prendere le decisioni necessarie. Il Comitato dovrà, comunque, relazionare regolarmente al Consiglio stesso.
Per quello che riguarda il finanziamento per l’ulteriore biennio, l’Unione si propone di stanziare 3 milioni di euro per il 2005 e 9 milioni per il 2006 ma il budget finale sarà stabilito su base annuale in accordo alle procedure e alle regole del bilancio dell’Unione Europea.
Attualmente, quindi, la missione è in pieno svolgimento.
6 Il programma europeo di assistenza alla ricostruzione, allo sviluppo e alla stabilizzazione (CARDS)

Un altro tipo di apporto fornito dall’Unione in tema di gestione civile delle crisi, riguarda l’aspetto della ricostruzione delle infrastrutture: come è ricordato più volte in diversi documenti elaborati dalle Istituzioni europee, è necessario offrire buone condizioni di vita alla società civile affinché possa partecipare attivamente agli aspetti politici del paese e formare una mentalità fondata sui valori più importanti che rendono tale una democrazia.
Lo strumento utilizzato dall’Unione per attuare questi punti è il programma di assistenza alla ricostruzione, allo sviluppo e alla stabilizzazione denominato CARDS, gestito dalla Commissione.
Tutte le funzioni che dal 2000 ha assunto il programma CARDS erano inizialmente poste in essere dal programma PHARE istituito nel 1989 , al fine di portare assistenza alle Repubbliche di Polonia e Ungheria.
Nel 1996, in ex Jugoslavia, sul modello di PHARE viene istituito il programma OBNOVA , attraverso cui “la Comunità attua misure d'aiuto, secondo le condizioni specifiche definite dal Consiglio, in particolare progetti, programmi e azioni di cooperazione per la ricostruzione, il ritorno dei profughi e degli sfollati e la cooperazione economica e regionale in Bosnia-Erzegovina, in Croazia, nella Repubblica federale di Iugoslavia e nell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia, secondo i criteri stabiliti dal presente regolamento.”
“Gli interventi da finanziare costituiscono oggetto di una selezione che si basa segnatamente su una valutazione delle richieste dei potenziali beneficiari, in funzione dell'urgenza, della capacità di assorbimento effettivo degli aiuti, dell'impatto sul ritorno dei profughi e degli sfollati e sulla riconciliazione fra le parti mediante la loro partecipazione congiunta a progetti comuni.”
Tutte le proposte sono formulate dalla Commissione e sono sottoposte ad un comitato composto dai rappresentanti degli Stati membri. Il Consiglio potrà prendere, successivamente, le sue decisioni sulla base di questi due atti.
Il 5 dicembre del 2000 vengono adottati due importanti regolamenti per quello che riguarda i rapporti, gli impegni e l’aiuto che l’Unione fornisce ai paesi della ex Jugoslavia quali l’Albania, la Bosnia e Erzegovina, la Repubblica Federale di Jugoslavia e la Repubblica Jugoslava precedentemente di Macedonia. Con questi regolamenti si abroga totalmente il programma precedente, OBNOVA, e si modifica il regolamento istitutivo di PHARE, costruendo, così, un quadro unico sugli aiuti forniti dalla comunità agli stati dei Balcani : CARDS.

6.1. L’assistenza ai paesi dell’ex-Jugoslavia

Con il regolamento 2666/2000 l’UE si impegna a fornire assistenza a tutti i paesi sopra citati.
Al fine di permettere un processo di stabilizzazione anche attraverso l’insediamento di corpi civili, la Comunità si impegna a fornire assistenza attraverso:

- un sussidio per il ritorno dei rifugiati e degli immigrati;
- la creazione di una struttura istituzionale e legislativa per sostenere la democrazia;
- uno sviluppo economico sostenibile e riforma dell’economia;
- l’evoluzione sociale con la riduzione della povertà, la ricerca dell’uguaglianza, l’istruzione, la formazione e la tutela ambientale;
- lo sviluppo dei rapporti fra paesi;
- cooperazione regionale ed interregionale

L’Unione si fornirà, per il periodo 2000-2006, di una struttura strategica che permetta di definire gli obiettivi di lunga durata in tema di assistenza; in base a questi saranno stilati programmi triennali, aggiornati ogni anno secondo i bisogni, di ogni paese. I programmi di azione annuali basati sulle indicazioni della struttura strategica conterranno una lista dettagliata dei progetti da finanziare e dei relativi importi.
L’assistenza sarà fornita attraverso un ammontare finanziario di 4650 milioni per i primi 6 anni; questo potrà essere usato per le spese di preparazione, per i programmi di controllo e per la valutazione dei progetti nonché per la richiesta di co-finanziamento ma la cifra stanziata non potrà essere utilizzata per il pagamento di tasse o per accedere a beni immobili di proprietà statale o privata, necessari allo svolgimento delle mansioni.
Le decisioni non coperte dai programmi pluriennali saranno adottate dalla Commissione previa valutazione del Comitato di gestione, creato sulle basi del regolamento 468/1999 , che permette alla Commissione di essere supportata da un comitato nei suoi lavori .
Il programma di assistenza sarà fondato sul rispetto dei principi della democrazia e sul rispetto della legge, dei diritti umani e delle minoranze : questi sono elementi essenziali per l'applicazione delle disposizioni e presupposto per continuare a ricever aiuto dall’Unione. Se questi principi non saranno rispettati, il Consiglio, su proposta della Commissione, potrà prendere le decisioni del caso.
Nell’interesse di tutti gli Stati gli scambi di informazioni, specialmente quelli riguardanti i documenti strategici, dovranno essere regolari; il Consiglio raccomanda, inoltre, la cooperazione con Stati terzi, con le Nazioni Unite, con istituzioni finanziarie internazionali e altri donatori.
Ogni anno la Commissione presenterà al Parlamento Europeo e al Consiglio una relazione sullo stato di avanzamento dei lavori, sui finanziamenti e sui risultati dei vari controlli.
In linea con il generale indirizzo comunitario sulla gestione civile delle crisi nell’Unione, anche questo regolamento è frutto della ricerca di maggiore coordinamento tra le istituzioni e tutta la legislazione dell’Unione: con esso sono abrogati e sostituiti più regolamenti o più parti di essi al fine di rendere omogenea e più chiara la gestione di così importanti temi.

6.2. L’agenzia europea per la ricostruzione (EAR)
Con il regolamento n. 2667/2000 il Consiglio ha istituito l’Agenzia Europea per la Ricostruzione (EAR) a cui la Commissione può delegare il potere di attuare i compiti previsti nel regolamento n. 2666/2000.
Per la realizzazione degli obiettivi l’Agenzia si propone di riunire e analizzare le informazioni della Commissione riguardo i danni, le necessità di ricostruzione, le esigenze della popolazione e dei governi per preparare progetti di programmi per la ricostruzione della Repubblica federale di Jugoslavia. La Commissione può, di conseguenza, rendere l'agenzia responsabile di tutti i programmi di preparazione di gare di appalto, di contratti e di ulteriori accordi di finanziamento.
La sua sede centrale è in Grecia, a Salonicco ma dispone di centri operativi in tutta la zona. È un agenzia indipendente, responsabile, di fronte al Consiglio europeo e al Parlamento europeo, ed è diretta da un Consiglio direttivo composto dalla Commissione Europea e dai rappresentanti degli stati membri. Ha personalità giuridica e può accedere alle proprietà mobili ed immobili nonché a tutte le azioni giudiziarie ed è rappresentata legalmente dal Direttore. L’agenzia non ha scopo lucrativo.
Ogni anno il Direttore deve stabilire un progetto di bilancio riguardante le spese d’amministrazione e il dispendio operativo per l’anno seguente: questo progetto sarà valutato prima dal Consiglio direttivo e dalla Commissione, per essere poi adottato dal Consiglio direttivo stesso.
Attualmente l’Agenzia gestisce un portafoglio complessivo di 2,3 miliardi di euro ripartiti in tre centri operativi:

- Sostegno al governo centrale/locale attraverso aiuti al settore dell’amministrazione pubblica/locale (271 milioni di euro) ; della giustizia e affari interni (136 milioni di euro) e della sanità (105 milioni di euro)
- Sostegno all'economia in particolare nei settori dell’energia (780 milioni di euro) , delle infrastrutture e trasporti (220 milioni di euro), di aiuto alle imprese (164 milioni di euro) e all’economia (156 milioni di euro) uniti a consistenti investimenti sul tema della tutela dell’acqua e dell’ambiente. (105 milioni di euro)
- Sostegno sociale diviso in sostegno alla società civile e media (58 milioni di euro) e all’istruzione (56 milioni di euro)

L’Agenzia opera nel contesto dell’impegno strategico dell’UE di condividere il proprio futuro politico ed economico con i paesi dell’Europa sud orientale creando le condizioni necessarie per accordi di stabilizzazione e associazione stipulati in vista dell’adesione.
Oltre al compito originario di ricostruire le infrastrutture fisiche, l’Agenzia si
propone di ricucire il tessuto sociale e avviare un processo economico: è quindi necessario lavorare all’interno delle comunità stesse per creare un adeguato contesto per l’imprenditoria, con una stampa libera e con amministrazioni e istituzioni pubbliche funzionanti.
Sono attualmente impiegati in essa circa 260 agenti con diverse mansioni : agenti provvisori, funzionari della Commissione europea, reclutati nel mercato libero e agenti impiegati dall’agenzia, ai quali sono affidati i compiti di agente amministrativo, assistente amministrativo, assistente esecutivo o coordinatore di aiuto e agenti locali.
Il lavoro dell’EAR prosegue instancabilmente, attraverso diversi progetti, possibili grazie al contributo degli Stati membri: gli ultimi due progetti sono iniziati nel mese di maggio del 2007, volti a finanziare un programma di investimento del Ministero dell’Economia in Kosovo e un programma di studio e supporto alle infrastrutture pubbliche che si occupano dell’erogazione dell’acqua in Serbia.

- III -
I rapporti tra U.E. e O.N.U.
in materia di gestione civile delle crisi

1 Introduzione

Se i rapporti tra Nato e U.E. riguardano solamente la gestione e la risoluzione militare delle crisi, la cooperazione tra l’Unione e l’ONU si estende anche agli aspetti civili della gestione delle stesse.
Le operazioni di mantenimento della pace trovano un primo accenno nella Lega delle Nazioni quando, al termine della prima Guerra Mondiale, gli Stati sono stati mossi dal desiderio di prevenire un’altra guerra di tali dimensioni, ricercando collaborazione reciproca. Nonostante il fallimento dell’organizzazione, non è calata la volontà della Comunità internazionale di salvaguardare la pace e le sicurezza mondiale. Per raggiungere questo scopo, L’ONU utilizza una vasta gamma di strumenti di diritto consuetudinario e pattizio, alcuni dei quali non comportano il ricorso all’utilizzo della forza.
Non verrà trattato in questa sede l’utilizzo di strumenti militari mentre mi pare necessario un brevissimo accenno al più vasto tema della gestione civile delle crisi all’interno delle Nazioni Unite, per poter meglio comprendere i rapporti tra ONU e U.E.
All’interno della Carta N.U. è stabilito che gli Stati si devono impegnare a “risolvere le controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionali e la giustizia non siano messi in pericolo” .
In base a quanto stabilito, pur essendo possibile il ricorso all’utilizzo delle armi in base al capitolo settimo della Carta stessa, inizialmente si deve perseguire la risoluzione delle controversie attraverso “negoziati, inchieste, mediazione, conciliazione, arbitrato, regolamento giudiziale, ricorso ad organizzazioni o ad accordi regionali, o ad altri mezzi pacifici di loro scelta.”
Dando applicazione a questa disposizione, le Nazioni Unite, con la collaborazione di tutte le agenzia e delle organizzazioni che creano il sistema delle N.U. , partecipano ad una serie di missioni sia civili sia militari per il mantenimento della pace.
A livello civile, le prime missioni create, sono state missioni di osservatori , dispiegate sotto il controllo della Lega della Nazioni,con il compito di offrire linee guida per la soluzione pacifica del conflitto. I loro compiti si sono poi estesi, sotto comando ONU, a funzioni di inchiesta in luoghi politicamente instabili e, attualmente, le missioni di osservazione vengono utilizzate dal sistema delle Nazioni Unite a fianco di operazioni di peace-keeping, pur differenziandosi da queste dal momento che gli osservatori sono collocati in zone neutrali su richiesta delle parti e non dispiegati come forza di interposizione.
Il concetto di peace-keeping comprende una vasta gamma di fenomeni ma è caratterizzato da precisi parametri che distinguono queste operazioni da altri tipi. Il primo e più importante, è il non utilizzo della forza coercitiva per cui, a differenza delle truppe militari il cui compito è di riportare l’ordine e difendere il territorio, le truppe si occupano di ricercare accordi tra le parti coinvolte nei conflitti; la loro presenza nell’area del conflitto, è atto di semplice interposizione neutrale tra le due parti e non di presa di posizione a favore di una parte o dell’altra. Le truppe sono, quindi neutrali e il loro dispiegamento avviene solo con il consenso del Paese che le ospita poiché queste operazioni riconoscono la sovranità degli Stati e il loro ruolo fondamentale per la risoluzione della controversia.
L’ultima caratteristica riguarda il fatto che le forze di peace-keeping sono dotate di pochissime armi per cui ogni soldato dispone di un fucile e si muove con mezzi messi a disposizione dal paese ospitante.
I loro compiti spaziano dal controllo del rispetto degli accordi raggiungi tra le parti in conflitto, come ad esempio un accordo di cassazione del fuoco, alla necessità di comportarsi come truppe di interposizione per prevenire incidenti tra le parti e per fungere anche da barriera “morale”, per scoraggiare eventuali azioni terroristiche. Inoltre si occupano di mantenere la pace e l’ordine nei territori interessati dal conflitto nonché di inviare aiuti umanitari alle popolazioni bisognose, come ad esempio cure mediche, assistenza elettrica, collegamento a fognature e acquedotti e funzionamento dei trasporti locali.
È proprio negli ultimi anni che l’ONU ha sviluppato tali corpi di civili. Generalmente le missioni sono svolte in collaborazione con altre organizzazioni internazionali, basti pensare alla missione EUMP, nata come missione delle Nazioni Unite, passata sotto il controllo dell’Unione Europea,con la quale l’ONU collabora efficacemente.

2 I rapporti tra U.E. e O.N.U.

Nel ripercorrere le tappe legislative in tema di gestione civile all’interno dell’Unione si nota come, nei passaggi più importanti, è ripresa più volte la necessità di collaborazione tra le due organizzazioni per rendere più efficaci gli strumenti utilizzati.
Già dal consiglio Europeo di Helsinki , l’Unione riconosce la validità dei principi della Carta delle Nazioni Unite e ritiene il Consiglio di Sicurezza responsabile primo del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale: attenendosi ai principi da essa dettati, si impegna a cooperare con l’ONU e le organizzazioni ad esso legate per prevenire i conflitti e gestire le crisi sia dal punto di vista civile sia dal punto di vista militare. Inoltre, le quattro aree individuate di intervento al Consiglio Europeo potranno essere utilizzate in missioni comuni.
Il tema è ripreso nel Consiglio Europeo di Feira in cui, nel corso dei lavori di rafforzamento del sistema di gestione militare e non delle crisi, è sottolineata la necessità di cooperazione con le altre organizzazioni, tra cui l’ONU, nonché un collegamento maggiore tra il settore civile e quello militare. Inoltre ci si propone di aumentare il contributo finanziario alle organizzazioni internazionali per la realizzazione di obiettivi specifici di gestione civile. L’UE si impegna anche ad instaurare uno stretto coordinamento con il dipartimento dell’ONU per le operazioni di mantenimento della pace al fine di garantire un rafforzamento degli sforzi, evitare duplicazioni e agevolare scambi d’informazioni necessario per la buona riuscita delle operazioni.
Anche l’istituzione del meccanismo di reazione rapida , creato per rispondere in modo veloce flessibile ed efficace a situazioni di emergenza con strumenti civili, è stato istituito al fine di creare meccanismi di finanziamento che consentano di erogare più velocemente fondi ad operazioni condotte anche da altre organizzazioni, in particolare delle Nazioni Unite.
Nell’importantissima comunicazione della Commissione riguardo la prevenzione dei conflitti del 2001 , viene ricordato come le Nazioni Unite siano un partner chiave in questo ambito e come le due organizzazioni collaborino spesso nella prevenzione volta a evitare riaccendersi di conflitti nell’ambito delle missioni di pace: nelle missioni in Kosovo e a Timor Est entrambe le organizzazioni hanno svolto determinati compiti, in base alla propria sfera di competenza precedentemente stabilita. L’Unione, inoltre, ha intenzione di contribuire in modo maggiore sia attraverso un ulteriore finanziamento a programmi delle Nazioni unite sia attraverso uno scambio di informazioni sul tema.
Anche il Parlamento Europeo nella sua proposta di risoluzione conseguente la comunicazione della Commissione , sottolinea come sia necessario rafforzare i rapporti e il coordinamento istituzionale con il sistema delle Nazioni Unite.
Nel 2003, all’interno della Strategia europea in materia di sicurezza , si parla di “multilateralismo efficace” volto a creare un buon funzionamento delle istituzioni internazionali nel rispetto della carta delle Nazioni Unite. L’Unione, nel riconoscersi parte dell’ONU sottolinea come sia necessario dotare l’organizzazione di mezzi necessari affinché possa far fronte alle minacce che incombono sulla pace e sulla sicurezza internazionale.
Sempre nel 2003, viene firmata una dichiarazione per rafforzare la cooperazione tra Unione e ONU nella gestione delle crisi: questa si concentra soprattutto sugli aspetti militari, proponendosi solamente di stabilire procedure e corsi per la formazione di personale destinato ad azioni civili e di aumentare le comunicazioni tra le due sfere.
Nello stesso anno la Commissione, attraverso una sua comunicazione sulla scelta del multilateralismo tra unione Europea e ONU, si occupa anche di gestione civile delle crisi. Ritiene necessaria una complementarietà degli scopi e delle operazioni attraverso il dialogo e lo scambio regolare di politiche, di programmazione e valutazione di progetti. Devono essere sfruttati i vantaggi derivanti dall’esperienza sul campo di ciascuna organizzazione: basti pensare ai corsi del progetto pilota della Commissione in cui la formazione sugli aspetti civili della gestione delle crisi utilizza standard e materiali forniti dall’ONU e al fatto che il personale delle missioni sarà formato sul campo delle Nazioni Unite nonché al sostegno che l’Unione ha fornito alle operazioni ONU attraverso il meccanismo di reazione rapida. In conclusione si sottolinea come la Presidenza dell’UE, la Commissione e il Segretariato Generale del Consiglio debbano approfondire il dialogo con il Segretariato ONU sul loro ruolo nell’ambito delle operazioni sia civili sia militari di mantenimento della pace.
Nel settembre del 2004 l’Alto Rappresentante della PESC è intervenuto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e ha ricordato come siano necessari strumenti alternativi all’utilizzo della forza per ristabilire un governo legittimo e il ruolo della legge. Pur sottolineando come l’assunzione e la ricerca di personale civile da dispiegare durante una crisi sia piuttosto difficile, ricorda come sia necessario e come sia possibile in ogni caso, utilizzare una forza civile: ne è un esempio proprio la missione EUPM, prima missione di gestione civile delle crisi intrapresa dall’Unione.

3 Conclusioni

Con i primi documenti legislativi del 1998, l’Unione ha compiuto progressi nel campo della gestione civile delle crisi, anche se, l’evoluzione di questo ambito così importante, è stata presa in considerazione con un’incredibile lentezza, soprattutto se si pensa che i primi documenti si sono registrati solamente dopo il fallimento del tentativo di risoluzione pacifica del conflitto in Bosnia-Erzegovina, nei primi anni novanta.
Alcune proposte, però, non sono state attuate, come ad esempio l’introduzione di un Corpo Civile Europeo di pace, ritenuto ormai fondamentale sia dalla Commissione sia dal Parlamento Europeo.
Le Istituzioni comunitarie hanno più volte sottolineato la necessità di un maggiore impegno da parte degli Stati membri: dietro ad ognuno di essi si contrappongono diversi interessi, sia nazionali sia di singoli soggetti che esercitano le proprie attività all’interno dello Stato, come ad esempio società produttrici di armamenti, che pretendono, quindi, tutela. Spetta ai singoli Stati effettuare un giusto bilanciamento degli interessi, alcuni dei quali sono inevitabilmente più forti di altri, senza, però, dimenticare che ad ogni Nazione spetta il compito di tradurre in leggi i principi democratici: occorrerebbe, forse, dare maggiore spazio alla tutela della società civile, senza ledere le prerogative dei soggetti privati.
Un altro aspetto problematico è la mancanza di una chiara divisione di competenze in materia tra l’Unione e gli Stati membri: questo comporta scarsa legislazione interna statale dotata di efficacia vincolante e poca attenzione verso quegli atti comunitari non dotati di efficacia diretta.
Sarebbe tempo, per i Membri, di attuare in modo più incisivo tutto ciò che durante gli anni hanno stabilito le Istituzioni dell’Unione nonché di offrire maggiore disponibilità nella ricerca e nella formazione di soggetti da inviare in missioni civili di gestione delle crisi. In questo ambito l’art 11 del Trattato sull’Unione Europea, al punto 2, dove si afferma che “gli Stati membri sostengono attivamente e senza riserve la politica estera e di sicurezza dell’Unione in uno spirito di lealtà e di solidarietà reciproca” riceve oggi scarsa attuazione.
Inoltre, ci si domanda se, dal momento che le varie missioni hanno concretamente portato risultati sperati, non sia più utile concentrare le proprie attenzioni su di esse e, magari, aumentare il numero delle stesse. Il rafforzamento del ruolo della polizia internazionale può essere uno strumento per migliorare questo tipo di azioni.
Per quello che concerne il rapporto con l’ONU, il problema risulta essere più complesso: fino a che non ci sarà una riforma all’interno dell’ONU in cui gli Stati permetteranno all’organizzazione di assumere maggiori poteri, le operazioni effettuate saranno obbligatoriamente limitate ad una grandissima selezione dovuta al bilanciamento di interessi e alla successiva prevaricazione di interessi economici più forti, a scapito degli altri, nonostante tutti i principi stabiliti. Questo condizionerà inevitabilmente i rapporti con le altre organizzazioni, e, quindi, con l’Unione Europea.

Bibliografia

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