L’Italia e la Guerra Afgana
di Alberto L’Abate

La principale giustificazione che si dà della guerra afgana è quella che questa farebbe parte della generale guerra al terrorismo, fenomeno dal quale l’Occidente dovrebbe difendersi, a rischio, altrimenti, di una disfatta sua e del modello di sviluppo che questo ha portato avanti, con i suoi innegabili vantaggi per questi stessi paesi, in particolare per il livello di vita molto elevato di cui godono le sue popolazioni. Una ragione non dichiarata, ma forse pensata, è quella che, secondo alcuni studiosi, in questo stesso paese, in zone recondite protette dai guerriglieri talibani, si troverebbe ancora Bin Laden, considerato l’ispiratore ed il finanziatore dell’attentato alle Torri Gemelle di New York, se, come sembra, egli è sempre vivo ed attivo. Altri studiosi di notevole valore (Chomsky, 2005; Martirani, 2001, 2002; Chossudovsky, 2002) e con elementi non indifferenti a loro sostegno, ritengono invece che le vere ragioni della guerra siano sempre da ricercare, oltre che nella politica di potenza degli USA, anche nel controllo delle fonti energetiche che sono un motore fondamentale dell’attuale modello di sviluppo dei paesi occidentali, imitato e superato (oltre il 10 % di incremento annuo del PIL contro il misero 2/3 % dei paesi occidentali) dai grandi paesi asiatici (Cina, India). L’Afghanistan in realtà non ha petrolio ma è al centro di una zona dove ci sono ancora le principali risorse di petrolio tuttora esistenti,ed ha, nel Nord, importanti giacimenti di gas, ed è uno dei corridoi principali per il trasporto del gas dall’ Asia Centrale verso il Pakistan, l’India, ed i mari del sud (vedi i siti in Mappe).
Ma in questo articolo non voglio sostenere questa seconda tesi, che comunque secondo me ha molti elementi di validità, ma cercare di analizzare a fondo le ragioni ufficiali della guerra date dagli USA e dall’Inghilterra e mostrarne i limiti. Le tesi che cercherò di dimostrare sono tre : 1) che la cosiddetta guerra al terrorismo invece che sconfiggere questo fenomeno lo sta incrementando a dismisura; 2) che la presenza di militari, anche dei nostri, in quella zona rende molto più difficile un reale appoggio ad uno sviluppo armonico e non dipendente di questa zona del mondo; 3) che le ragioni date per la partecipazione del nostro paese in questa guerra considerata come lotta al terrorismo, anche senza tenere conto delle ipotesi prima accennate di guerra per il controllo di risorse energetiche, sono del tutto fasulle.
Ma vediamo, uno per uno, questi problemi:

1) Lotta al terrorismo

I fatti dell’11 settembre hanno colpito l’immaginazione delle popolazioni di tutto il mondo, e soprattutto di quelle del mondo occidentale. Il vedere due grandi grattacieli, che erano il simbolo della ricchezza e della prosperità del mondo “ricco”, sfaldarsi in pochissimo tempo come fossero di burro, come quando il burro viene messo a scaldare sul fuoco, ha dato alle popolazioni del mondo “sviluppato” la sensazione che dietro la loro ricchezza si celi in realtà una grande debolezza, che porta, a sua volta, ad una grande insicurezza,. Qualcuno ha scritto che l’11 settembre è stato una svolta nella storia, e che la storia futura non potrà più essere quella del passato. Ma la risposta che Bush, seguito dai suoi vassalli, sta dando, non è affatto nuova, anzi ripercorre esattamente la vecchia storia, quella che vuole dimostrare che per aver ragione bisogna essere i più forti, e che “ragione” e “violenza” vanno di pari passo, sono l’una il riflesso dell’altra. Bush considera perciò la guerra che sta portando avanti come un atto di doverosa “difesa” del proprio mondo e dei propri valori, e ha cercato alleati in altri paesi del mondo ricco,
Ma se volessimo realmente considerare l’11 settembre come una svolta storica dovremmo al contrario non rispondere nel vecchio modo, quel modo che cerca di scacciare la violenza con altra violenza più forte della prima, ma piuttosto in quello, anche questo antico, e forse più antico dell’altro, ma nuovo per la politica mondiale, del detto del profeta Isaia “che non ci sarà pace finché non ci sarà giustizia”. Il fatto che la popolazione del mondo occidentale, che è circa il 20 % della popolazione mondiale, utilizzi circa l’80 % di tutte le risorse del mondo (petrolio, cibo, acqua, aria, ecc.) lasciando agli altri paesi, che noi chiamiamo eufemisticamente “mondo sottosviluppato”, solo le briciole, costringendo perciò, ogni, giorno, milioni di bambini di questo ultimo mondo a morire di denutrizione, e perciò di fame, sembra che non ci interessi, e che non abbia alcun collegamento con i fatti dell’11 settembre. Infatti si dice che bisogna spendere di più di quello che già spendiamo attualmente per avere armi sempre più sofisticate, ed un esercito “professionalmente” ben preparato, che possa rispondere con efficacia alle minacce del terrorismo internazionale, e possa tornare a farci sentire “sicuri” nella nostra roccaforte di “mondo ricco”.
Ma facendo così dimentichiamo due delle grandi lezioni che ci vengono dalla storia di questo secolo. La prima è quella che ci ha insegnato Gandhi che è riuscito, attraverso la lotta nonviolenta, quella che lui chiamava “Satyagraha”, e cioè la lotta con la forza dell’amore e della verità, a far ottenere l’indipendenza all’India, liberando il suo paese dal colonialismo inglese e stimolando anche in Inghilterra un cambiamento politico, e cioè la vittoria dei laburisti, che erano contrari al mantenimento delle colonie, contro i conservatori, che pure, guidati da Churchill, avevano vinto la guerra contro il nazismo ed il fascismo. Uno degli insegnamenti principali di Gandhi è quello che ”la migliore difesa è quella di non avere nemici”. In realtà invece, non tenendo affatto conto di questa divisione tra mondo “ricco”, che vede la morte di alcune migliaia di persone che si trovavano nelle due torri procurata da due aerei dell’ ”esercito” di Al Qaeda come un fatto da vendicare, e mondo “povero” che invece dovrebbe subire senza fiatare questi squilibri e queste ingiustizie che portano ogni giorno a morire migliaia dei propri figli, non fa che incrementare la “guerra”, perché tale è, tra mondo ricco e mondo povero. Perciò la risposta armata ed arrogante del mondo occidentale non serve ad annientare il terrorismo, ma piuttosto lo fomenta e fa nascere ogni giorno dei nuovi Bin Laden, giovani ed adulti che sono disposti a perdere la propria vita pur di non far soccombere i propri popoli di fronte ai soprusi del mondo occidentale.
Per questo se vogliamo realmente che l’11 settembre sia una svolta storica dobbiamo imparare a combattere le ingiustizie ed i soprusi, che sono tanti, in modo nuovo, attraverso le armi della nonviolenza che sono sostanzialmente: la non-collaborazione alle ingiustizie, l’azione diretta nonviolenta, l’obiezione di coscienza e la disobbedienza civile, da una parte, come strumenti per combattere le tante ingiustizie sociali che il nostro mondo perpetua giorno per giorno contro il mondo dei poveri, ed il progetto costruttivo per dare vita ad un mondo, a livello planetario, più giusto ed umano.
Ma un importante contributo a vedere i limiti di questo comportamento dell’Occidente nei confronti del terrorismo ci viene anche da un premio Nobel per l’economia, l’indiano Amartya Sen. (Sen, 2006). Egli, trattando del contributo di Gandhi al mondo attuale, parla del problema del terrorismo e di cosa, sia l’America che la Gran Bretagna, potrebbero imparare da Gandhi. Scrive Sen. “Uno dei grandi insegnamenti di Gandhi è quello che non si può sconfiggere la malvagità, inclusa quella violenta, a meno che non si sia eliminata quella propria. Questo ha una grande rilevanza al mondo d’oggi. Per esempio ogni atrocità commessa per cercare informazioni utili a sconfiggere il terrorismo, o nel centro di detenzione di Guantanamo, o nella prigione di Abu Ghraib in Iraq, aiuta a dare vita ad altro terrorismo. Il problema non è solamente quello che la tortura è sempre sbagliata (come lo è), e non solo che la tortura può difficilmente procurare informazioni affidabili dato che le vittime della tortura dicono qualsiasi cosa che può aiutarli ad uscire dal miserevole stato attuale (il che è anche vero). Ma andando oltre questi ovvii, ma importanti punti, Gandhi ci ha anche detto che la perdita del proprio stato di moralità dà una forza tremenda ai propri oppositori violenti. Lo sconcerto, a livello mondiale, che queste sistematiche trasgressioni hanno provocato per la azioni anglo-americane, ed il modo in cui il cattivo comportamento di coloro che dichiarano di combattere per la “democrazia ed i diritti umani” è stato usato dai terroristi per arruolare altre persone ed anche per avere una certa simpatia da parte del pubblico in generale, può aver sorpreso gli strateghi militari seduti a Washington o a Londra, ma sono completamente in linea con quanto il Mahatma Gandhi ha cercato di insegnare al mondo. Il tempo non ha indebolito la forza delle argomentazioni di Gandhi, né la loro incisiva rilevanza per il mondo. (Sen, 2006, p.6). Come si vede, nell’interpretazione di questo noto studioso, il processo di lotta al terrorismo, portato avanti in questo modo dagli anglo-americani, e dai loro alleati, è bloccato perché tende a riprodurre il fenomeno che vuole combattere, e cioè il terrorismo, dando anzi a questo nuova linfa.

2) Presenza dei militari e sviluppo auto-centrato dell’Afghanistan

Come accennato prima la mia seconda argomentazione riguarda invece l’inutilità ed anzi la contraddittorietà di una presenza militare in Afghanistan in rapporto ad un possibile sviluppo economico e sociale auto-centrato e non dipendente dall’esterno. Il Governo attuale, di centro-sinistra, ha deciso di mantenere gli attuali contingenti militari in Afghanistan, con funzioni non belligeranti, ma di peace-keeping a Kabul, ma di incrementare invece gli interventi civili che aiutino l’Afghanistan in una ripresa economica e sociale. Il problema di fondo è questo: la presenza dei militari italiani e degli altri paesi impegnati in quell’area può essere un appoggio a questa attività civile di aiuto allo sviluppo, oppure lo rende più difficile ed addirittura impossibile ?. La mia opinione, che cercherò di argomentare anche con l’aiuto di Gino Strada, il fondatore di Emergency, è del secondo tipo.
Una bugia che i militari sostengono normalmente è quella che se ci sono attività realmente umanitarie (non quelle fatte come paravento dai militari stessi che in Iraq, ad esempio, sono risultate essere non più del 5 % della spesa totale dell’intervento militare complessivo) queste sono possibili grazie alla loro presenza armata. E di questa verità, che è una falsità in molte delle situazioni da noi sperimentate direttamente (Iraq, Kossovo) (L’Abate, 1993,1997) si fa convincere anche qualche ministro della difesa, anche se questi è di un governo di centro-sinistra come Parisi. Il testo qui riportato di Gino Strada, fondatore e presidente di Emergency, ne è una chiara dimostrazione. Scrive Strada: “Ho avuto il piacere di conoscere il Ministro Parisi qui a Kabul, e ne ho apprezzato l'interesse per il nostro lavoro. Tornato a casa, leggo sul "Corriere" di oggi una sua dichiarazione che suona cosi': "Se Emergency puoí agire a Kabul, e' grazie alla protezione dei militari" Domanda secca: perche' un Ministro dice bugie? Una bugia sciocca, tra l'altro, banale, facilmente confutabile: Emergency era a Kabul gia' nel 2000, quando non c'erano truppe italiane e perfino la nostra Ambasciata era chiusa da anni. Gia', eravamo a Kabul, nella Kabul talebana. E dal 1999 in Panchir, con un ospedale che curava chi viveva da quella parte del fronte. Banalmente, per non fare torto a nessuno e occuparci il piu' possibile di chi aveva bisogno, senza chiedere appartenenze. A Kabul come in Panchir, abbiamo lavorato per anni senza protezione militare.
Dal 7 ottobre 2001 per oltre un mese Kabul e dintorni sono stati bombardati. Lotta al terrorismo, sicurezza internazionale? La nuova guerra in Afghanistan, signor Ministro, e' iniziata cosi', con i B52 a sganciare bombe anche da sette tonnellate, da quarantamila piedi. Molte migliaia di civili sono morti sotto quelle bombe, signor Ministro. Possiamo fornirle nomi e indirizzi, se le interessa. Piu' morti, molti di piu', che alle Torri Gemelle: hanno fatto "giustizia" quei bombardamenti? O la "guerra al terrorismo" non e' stata invece un altro atto di terrorismo? Moltiplicare le vittime, nella macabra rincorsa ad uccidere di piu', ciascuno per le sue ragioni, non mi sembra una strada ragionevole. La trovo perfino disumana. Ma torniamo a Kabul. Neanche in quella occasione abbiamo avuto bisogno dei militari a proteggerci (anzi i militari di ogni sorta erano in verita' il pericolo). E abbiamo continuato cosi', a Kabul e nel resto dell'Afghanistan. Nei cinque anni di "guerra al terrorismo" abbiamo fatto il nostro lavoro - curare persone ferite o ammalate - senza bisogno dei militari.
E allora, Ministro Parisi, perche' quella bugia? Pero' in qualche modo la capisco: lei "deve" dire bugie sull'Afghanistan. Vi e' obbligato dall'avere scelto di partecipare a una operazione di guerra cammuffandola e spacciandola per operazione di pace. Non si puo' fare senza raccontare bugie. E senza apparire ridicoli. Gli Stati Uniti chiamano Gwat quello che stanno facendo in Afghanistan (con Enduring Freedom prima, con l'Isaf poi, infine con la Nato): guerra globale contro il terrorismo. Il nostro Ministro della Difesa tende invece a far credere che le truppe italiane (che hanno partecipato a tutte le operazioni lanciate in Afghanistan) siano qui a fare la guardia ai medici. Mi spiace contraddirla signor Ministro, ma non siamo qui grazie ai suoi soldati, ne' ad altri militari. Anzi la loro presenza e' per noi motivo di seria preoccupazione, per la sicurezza nostra, del nostro staff e dei nostri pazienti. Provi a trovare altre scuse, per giustificarla. Per quanto mi riguarda, e per quanto riguarda Emergency, puo' riportare a casa le sue truppe domani mattina. Anzi ci spingiamo a pensare che lei dovrebbe farlo. Per molte ragioni, la piu' evidente essendo che lei ha giurato di rispettare la Costituzione Italiana, articolo 11 compreso. (Strada, 2006).

3) Falsità delle motivazioni per l’intervento militare in Afghanistan

Ma la bugia del Ministro della Difesa del governo di centro-sinistra Parisi, segnalata da Strada, è la diretta derivazione di molte bugie dette in antecedenza, ma in questo caso non dai militari ma dai politici di vari paesi. Se guardiamo infatti la guerra in Afghanistan, questa è stata giustificata come lotta al terrorismo, ed in particolare per arrestare, “o vivo o morto” Bin Laden, che si era vantato di essere l’ispiratore degli attentati alle torre gemelle di New York, e che, a quei tempi era rifugiato in quel paese. Senza voler assolutamente assolvere i Talebani che sono terribili dittatori, ed hanno fatto azioni criminose orribili (si pensi anche solo alla distruzione dei simboli religiosi più importanti di quella zona), va detto però che, per ben due volte, nei nostri giornali, era apparsa la notizia che il governo talebano era disponibile a consegnare Bin Laden purché questi fosse giudicato da una corte internazionale realmente neutrale. Ma gli USA hanno rifiutato con sdegno queste proposte perchè ritenevano di dover essere loro a giudicare Bin Laden, con il loro tribunale militare, considerandosi perciò sia poliziotti internazionali che giudici. Si può comprendere questa posizione degli USA che hanno sempre rifiutato di aderire a Tribunali Internazionali veramente neutrali perché non accettano che i loro cittadini, anche se commettono crimini (ad esempio uccidendo persone come Calipari, oppure i molti civili morti per l’ errore di un loro aereo militare che ha tranciato i cavi della funivia del Cermis, nel Trentino, il 3 Febbrario 1998), possano essere giudicati da giudici esterni, ma non si capisce come l’Italia, che è stata promotrice del Tribunale Penale Internazionale di Roma (cui hanno aderito oltre 140 paesi con l’eccezione dei paesi più forti e più militarizzati del mondo come gli USA, Israele, India e Cina), abbia voluto e potuto accettare supinamente la posizione degli USA, senza prendere una iniziativa autonoma che andasse verso la messa in atto, in questo caso, di un serio processo ad un personaggio come Bin Laden che l’intervento in Afghanistan non è riuscito né ad arrestare né ad uccidere, e che risulterebbe sempre vivo, intervento inoltre che si è trasformato in una vera e propria guerra che ha ucciso migliaia di cittadini afghani del tutto innocenti. Partecipiamo alla guerra al terrorismo, o siamo solo i vassalli di un governo che pretende di essere contemporaneamente polizia e giudice internazionale, ponendosi al di sopra di tutte le leggi, e che non riconosce alcun tentativo di dar vita ad una reale polizia internazionale delle Nazioni Unite, e ad un Tribunale Penale Internazionale che sia realmente neutrale, e che possa intervenire con autorevolezza nei confronti di chiunque, di qualsiasi paese sia, commetta dei crimini di guerra? E’una domanda da rivolgere non solo al governo italiano di allora, che ha deciso l’intervento in Afghanistan con l’appoggio della stragrande parte dell’allora opposizione di sinistra, ma anche di quello attuale che dovrebbe invece avere il coraggio di prendere posizioni meno servizievoli e subordinate a quelle del padrone USA, o meglio del suo attuale Presidente Bush (per fortuna sempre più in minoranza).

Concludendo vorrei sostenere che invece di aumentare le spese militari considerate come motore dello sviluppo, come sta facendo l’attuale governo di centro-sinistra, ed accettare l’imposizione degli USA ad un raddoppio della base di Vicenza, il governo Prodi dovrebbe seriamente pensare ai limiti dell’attuale modello di sviluppo e darsi seriamente da fare per dare vita ad un modello alternativo che è del tutto possibile, purché lo si voglia (Pianta, 2001; Friedmann, 2004; Petrella, 2007). Infatti di fronte alla globalizzazione in atto che è all’interno di un modello di sviluppo che pone al suo centro il capitale che trasforma tutto in merce e mette in primo piano nei processi che guidano quella che Padre Balducci ha definito “la strategia dell’impero” (Allegretti, Dinucci, Gallo, 1999), il potere del mercato, è in via di organizzazione un movimento alternativo, definito come “globalizzazione dei diritti” oppure di “globalizzazione della pace”. Un grosso insegnamento, per il cambiamento dell’attuale modello di sviluppo ci viene da Aldo Capitini (1969,1973), e da Danilo Dolci (1964,1968), che hanno ambedue sottolineato l’importanza del lavoro dal basso, con la gente, del potere di tutti e del controllo dal basso verso coloro che governano sia a livello locale che nazionale e dell’importanza di una rivoluzione dal basso, nonviolenta, per la trasformazione della nostra società, in una società più giusta, più umana. Per questo se il governo attuale non vuole essere succube dello strapotere del governo USA, e dare realmente un segno di volere indirizzarsi verso un modello di sviluppo alternativo, più congruente con i bisogni della gente comune, e della nostra Costituzione, dovrebbe ascoltare la richiesta della popolazione di Vicenza di non raddoppiare quella base, e dovrebbe anche operare per eliminare dal nostro paese tutte le testate nucleari presenti (circa 90) che sono del tutto in contrasto, essendo armi di attacco e non di difesa, con l’art.11 della nostra Costituzione. E’ certo che se il mondo vuole avere un futuro migliore, più giusto, più umano, gli insegnamenti di Capitini, Dolci, e padre Balducci, vanno tenuti presenti.

Firenze, 9 Febbraio 2007

Bibliografia citata

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Balducci E., L’uomo planetario, Ed. Cultura della Pace, Firenze, 1992.
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Capitini A., “Per una corrente rivoluzionaria nonviolenta”, in, Azione Nonviolenta, 1973.
Chomsky N., Egemonia o sopravvivenza, Tropea Edit., Milano, 2005.
Chossudovsky M., Guerra e globalizzazione, EGA, Torino, 2002.
Dolci D.,, Verso un mondo nuovo, Einaudi,Torino, 1964.
Dolci D., Inventare il futuro, Laterza, Bari, 1968.
Friedmann J., Empowerment: the politics of alternative development, Blackwell, Cambridge ,USA, Oxford, U.K, ultima ristampa 1996 (traduzione italiana, a cura di A. L’Abate, Empowerment verso il potere di tutti. Una politica per lo sviluppo alternativo, Ediz. Quale Vita, Torre dei Nolfi, (Aq.), 2004.
L’Abate A, Tartarini S., a cura di, Volontari di pace in Medio Oriente: storia e riflessioni su una iniziativa di pace, Ediz. La Meridiana, Molfetta (Ba), 1993.
L’Abate A., Kossovo. Una guerra annunciata. Attività e proposte della diplomazia non ufficiale per prevenire la destabilizzazione dei Balcani, Ediz. La Meridiana, Molfetta, (Ba), 1997, 2a ediz., 1999.
Mappe dell’Afghanistan (in vari siti informatici si possono trovare le carte geografiche dell’Afghanistan con al nord i giacimenti di gas e le linee dei gasdotti che trasportano i gas dell’Asia Centrale, tra questi: www.blueprint-magazine.de/oil/oil2.htm; <perry-castaneda.library.map.collection- Afghanistan>
Martirani G., Il drago e l’agnello, Ediz. Paoline, Milano, 2001.
Martirani G. Fire Countries/ Il paese dei fuochi, Usmi, Roma, 2002.
Petrella R., Una nuova narrazione del mondo, EMI, Bologna, 2007.
Pianta M., Globalizzazione dal basso: Economia mondiale e movimenti sociali, ManifestoLibri, Roma, 2001
Sen A., “Gandhi and the world”, in , Sarvodaya, vol. 4, n.4, July-August 2006.
Strada G., Perchè un ministro dice bugie?, 1 luglio 2006 - dal sito www.peacereporter.net


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