Ministro Ferrero dia il via alle politiche sociali per la sicurezza
tratto da LIBERAZIONE, venerdì 21 settembre 2007 – pag.10

L' elaborazione di modelli alternativi alle "forze dell'ordine" riguarda elettivamente le politiche per la pace citate nel programma dell'Unione
di Antonella Sapio*

Le politiche securitarie vengono poste periodicamente, e sempre più frequentemente, all'attenzione pubblica perché sono in grado di indurre significative oscillazioni dell'asse politico, orientandone il consenso, in virtù di sentimenti di minaccia più o meno realistici.
Mentre risulta "ovvio", in tali circostanze, proporre interventi governativi di tipo repressivo - che accentuano una reazione rigida dei comportamenti difensivi - è al contrario molto più complesso guardare a questi problemi attraverso la lente delle politiche sociali e, quindi, della prevenzione della violenza e del lavoro con le comunità territoriali.
Gli interventi per la "sicurezza" non riguardano solamente il lavoro con la criminalità organizzata nei confronti della quale servono misure normative, anche creative, in grado di fronteggiare fenomeni, come per esempio quello mafioso, sempre più internazionalizzati, ma toccano inevitabilmente anche svariate altre problematiche tra cui: delinquenza comune non organizzata, condizioni dissociali e violenza con reati minori, illegalità e degrado, decoro e vivibilità delle città. Relativamente a questi ambiti, i programmi devono essere integrati con programmi riferiti alle "politiche sociali per la sicurezza", di fatto sinora poco o niente rappresentati nel nostro paese.
E' evidente che una seria programmazione governativa su questi temi deve poter essere necessariamente integrata e complessa, andando a prevedere misure di tipo preventivo. Oggi, invece, esiste un apparato complesso che gestisce l'operato delle forze dell'ordine, ma non c'è un solo spazio istituzionale deputato alla elaborazione di "politiche sociali per la sicurezza", di cui viene da più parti riportata l'esigenza.
Che l'approccio ai temi della sicurezza abbia, dunque, caratteristiche repressive e che coinvolga le sole forze dell'ordine è, dunque, inevitabile, visto che non si dispone di programmi alternativi concreti che possano prevedere l'intervento di civili, né esiste una corretta programmazione istituzionale che preveda l'adozione di pratiche territoriali preventive specificamente riferite a queste problematiche.
Del resto per contrastare una deriva conservatrice delle politiche securitarie non sono sufficienti semplici operazioni culturali di demistificazione, ma è necessario proporre misure concrete ed incisive di intervento territoriale che siano validamente recepite dai/dalle cittadini/e nel senso di un aumento della percezione di sicurezza.
Da questo punto di vista, invochiamo vivamente una attivazione da parte del Ministero della Solidarietà sociale in merito alla costituzione di uno spazio istituzionale specificamente riferito alle "politiche sociali per la sicurezza", che oggi ancora non esiste. Un'operazione che si rende necessaria per elaborare le linee di programma e di indirizzo generale per azioni di sistema locale che prevedano interventi di facilitazione allo sviluppo territoriale di comunità.
Ricordiamo, comunque, che la elaborazione di modelli alternativi per la sicurezza e per la difesa riguarda elettivamente le politiche per la pace, citate in modo esplicito nel programma preelettorale dell'Unione. Occuparsi di questi temi comporta non solo (quand'anche ci fosse) un vago impegno culturale ma l'adozione di specifiche linee di programma e la creazione di strutture ed apparati ministeriali ad hoc in grado di formare nuove figure professionali civili che operino sul territorio secondo pratiche e metodologie aggiornate, ad integrazione (e auspicabilmente in sostituzione) delle forze dell'ordine.
Il Ministero della Solidarietà sociale, istituzionalmente deputato ad occuparsi di politiche sociali per la sicurezza non è ancora entrato nel merito di questo progetto. E quel che è peggio è che il programma governativo attuale ha escluso poi queste stesse competenze.
Auspichiamo, dunque, che vi sia non solo una attenzione più completa e complessa a questi temi da parte dell'esecutivo ma soprattutto che lo stesso Ministero della Solidarietà sociale sia concretamente in grado di proporre un programma alternativo, secondo criteri di sicurezza urbana partecipata, e che finalmente si attivi per istituire al proprio interno sezioni tematiche specifiche.
Risulterebbe, infatti, poco credibile l'impegno di questo governo se non fosse dato adeguato spazio al lavoro territoriale, impegnato a confrontarsi quotidianamente con le condizioni di devianza e dissocialità che compongono il ricco serbatoio di cui si nutrono sempre più le organizzazioni criminali.
Se è vero che le politiche securitarie possono demarcare una vera differenza tra aree politiche, è pur vero che ciò debba misurarsi con l'efficacia dei programmi e con la concretezza degli interventi territoriali…e sarebbe un vero peccato contrapporre alla forza delle proposte conservatrici la povertà dell'assenza di veri programmi alternativi.

*dirigente medico dei servizi territoriali

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