8 febbraio 2007
Battista
di Pierluigi Sullo (da www.carta.org)

Paolo Mieli, attuale direttore del Corriere della Sera, è un
provocatore, in ogni senso di questa parola. Lo è per vocazione e per via di una affilata intelligenza: chi lo ha conosciuto ricorda un sarcasmo impalpabile e una inclinazione al pettegolezzo. Attitudine che, con il tempo e gli incarichi importanti, si è trasferita sugli affari pubblici, velandosi del tono autorevole che i poteri indossano per tradizione [e per dolo]. Ma Paolo Mieli ha un tallone d'Achille, ossia la sua ombra, o protesi, l'uomo che si presta a fare da esecutore materiale di quel che Mieli insinua: Pierluigi Battista, il suo vice al Corriere dopo esserlo stato alla Stampa, il cui cognome si è prestato a battute poco eleganti, negli anni, proprio a proposito di questa sua dipendenza. Battista non ha però lo stile del suo capo. Si prenda il suo editoriale sulla prima pagina del Corriere di giovedì, intitolato - con un gioco di parole banale, una allitterazione troppo facile - "Vicenza e violenza". La tesi [l'articolo è leggibile per intero in questo sito] è che "spira una brutta aria, attorno alla manifestazione del 17 febbraio a Vicenza. Si temono infiltrazioni tra i dimostranti… Si prefigurano scenari di nuove violenze, l'irruzione delle frange che puntano alla metamorfosi della protesta in chiave guerrigliera…". Segue un paragone sbilenco con il '77, la cacciata di Lama dall'università, ecc.
Si va a cercare inutilmente, nelle successive pagine del giornale, un "servizio" da o su Vicenza che sostenga questa tesi. Nemmeno una Marisa Fumagalli che citi qualche misterioso rapporto dei servizi segreti, del tipo di quelli che annunciavano, alla vigilia di Genova 2001, il lancio di "sacche di sangue infetto" sulla polizia, o di quelli che, alla vigilia del Forum europeo di Firenze nel 2002, prevedevano danneggiamenti irrimediabili ai monumenti fiorentini ad opera delle orde "no global" [direttore era allora Ferruccio De Bortoli, persona molto elegante che non provava turbamento nel pubblicare, in quei giorni, i deliri anti-arabi di Oriana Fallaci]. Anzi, quella stessa Fumagalli ha pubblicato articoli da Vicenza, nelle scorse settimane, alquanto moderati, e sulla prima del Corriere, dopo la manifestazione del 2 dicembre [anche quella volta si prevedevano massacri, e tutti marciarono seguendo famiglie e bambini con palloncini] comparve un resoconto di Gianantonio Stella [anch'esso leggibile qui] che diceva l'esatto opposto: ma quale antiamericanismo, ma quale estremismo, qui è la gente perbene che si è arrabbiata…
Ma anche questo fa parte dello stile Mieli. Stare qui e stare là, ma stare. Solo che il nodo di Vicenza si sta stringendo. I partiti del centrosinistra cercano di minimizzare, si riuniscono sulla politica estera ed evitano la questione più complicata, la nuova base Usa appunto. Fingono di non vedere che attorno a Vicenza si va coagulando quel che abbiamo chiamato l'"attore invisibile", la società civile in movimento, proprio quello che spunta - ricoperto di disprezzo - nell'editoriale di Battista: "L'ideologia e la fraseologia dei 'movimenti'". La cui scoperta serve solo, in quel contesto, ad ammonire la "sinistra radicale": che del centrosinistra è la sola parte che, in un modo o nell'altro, sa dell'esistenza dell'"attore invisibile", percepisce quanto l'ideologia e la fraseologia [liberiste] del governo urtino porzioni crescenti di elettorato, o più precisamente di settori
sociali, di comunità, di cittadinanza. Perché, lo ripetiamo, Vicenza riassume in sé i tre pilastri attorno ai quali coloro che andarono a votare alle primarie su Prodi chiedono un cambio di rotta: l'uso del territorio, la pace, la democrazia.
Anche Paolo Mieli sa tutto questo, e molto bene. In Val di Susa i grandi affari vanno male, e la vicenda della Tav è diventata un simbolo per tutti coloro che ostacolano altri grandi affari in giro per il paese. A Vicenza l'aggravante è che la ribellione cittadina mette in causa un altro tabù, dopo quello dello "sviluppo", dell'ideologia e della fraseologia liberiste: l'obbedienza agli Stati uniti, Inoltre, la manifestazione del 17 novembre rischia di sbilanciare del tutto lo scenario immaginario che il Corriere della Sera - la più autorevole voce dei poteri dell'economa - mette in scena per ricattare la parte non "riformista" del governo, ovvero quello che racconta un paese in cui la sola opposizione è quella delle "corporazioni" e della destra politica, insomma del berlusconismo. E invece, a sorpresa [per loro], appare un'ondata crescente di movimenti della società che pretendono dal governo quel cambio di rotta. Perciò corre ai ripari, Mieli, ed ordina a Battista di scrivere quel che ha scritto.
Se fossimo un paese serio, vi sarebbe una qualche sanzione - culturale, non disciplinare - nei confronti di un giornalista che scrive un articolo così immotivato, inventato, basato sul nulla. E provocatorio, che non analizza ma auspica, non dissuade ma incita. Invece accadrà che molti politici di ogni colore ne prenderanno spunto per "dichiarazioni" deliranti, il Tg1 [diretto da un altro socio di Paolo Mieli, Gianni Riotta] troverà un modo molto american style per confermare a posteriori le fantasie di Battista [magari intervistando qualche tipo con il passamontagna], e la polizia di Gianni De Gennaro, l'eroe di Genova, annuncerà misure di prevenzione e battaglioni di poliziotti a tutela della basilica palladiana di Vicenza contro gli ultrà della curva antiamericana. La solita sceneggiata intimidatoria può cominciare: è questo il solo messaggio dell'editoriale di Pierluigi Battista.

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