E' colpa nostra, ammettiamolo!
ECCP, Coordinamento Europeo associazioni per la Palestina
Bruxelles, 30 giugno 2007

(tratto da The Nation)



Riflettendo sul 40esimo anniversario dell’occupazione israeliana, dobbiamo ricordarci del continuo deterioramento delle condizioni economiche, politiche e sociali dei Territori Occupati Palestinesi. La gravissima situazione in particolare nella striscia di Gaza, è in parte spiegata dalle chiusure economiche e territoriali. La tragedia di questi giorni era annunciata da tempo. La situazione umanitaria nella Striscia di Gaza si deteriorerà ancora con la chiusura di tutte le frontiere.
Dalla vittoria elettorale di Hamas, è stato imposto ai Palestinesi un embargo inumano in cui Israele ha privato l’Autorità Palestinese dei proventi delle sue tasse ed ha impedito l’arrivo ai Palestinesi del rifornimento di materiale umanitario come cibo e forniture di materiale medico.
Dalle elezioni e dal boicottaggio dell’Autorità Palestinese, la politica dell’Unione Europea (alleata degli USA e di Israele), ha contribuito a non far funzionare le istituzioni Palestinesi, per minare la fiducia nella democrazia e indebolire il Governo di Unità Nazionale, fino a far collassare Gaza e liquidare la possibile soluzione del conflitto. L’attuale divisione geografica e politica dei Palestinesi porterà a risultati molto pericolosi non solo per gli stessi Palestinesi, ma per tutta la regione.
La sola parte che beneficia della continuazione della crisi corrente è il governo Israeliano e le sue forze di occupazione che continueranno a creare nuovi fatti sul territorio, mediante la costruzione del Muro e di nuovi insediamenti che impediscono qualsiasi possibilità di esistenza di uno stato Palestinese vitale, indipendente e sovrano nei Territori Occupati.
L’Unione Europea è responsabile del deterioramento della situazione nei Territori Occupati palestinesi e della “escalation” della violenza. La EU dovrebbe ora riconoscere il fallimento della sua politica dalle elezioni Palestinesi che ha reso inevitabile il collasso del governo Palestinese. E’ inaccettabile il sostegno dato da Nazioni Unite, Stati Uniti e Unione Europea ad una delle due parti. Questo fatto mina l’unità Palestinese e contribuisce a creare divisione e caos.

Gli obiettivi della politica dell’EU devono essere quelli di imporre a Israele di obbedire alla legge internazionale e di porre fine all’occupazione militare che dura da 40 anni, per poter arrivare alla creazione di uno Stato Palestinese.
In accordo a quanto detto, la ECCP chiede all’Unione Europea di agire urgentemente:
Vis-à-vis all’Autorità Palestinese:
o prendendo misure adeguate per prevenire la crisi che minaccia l’Autorità Palestinese e il popolo Palestinese e facendo pressioni per un dialogo politico fra i movimenti di Fatah e Hamas, e fra le altre fazioni politiche;
o Chiedendo un Governo di Unità Nazionale che questa volta deve essere riconosciuto e supportato finanziariamente;

Vis-a-vis al governo Israeliano:
o facendo pressione sul governo Israeliano con ogni mezzo possibile perché termini la chiusura della Striscia di Gaza, perché permetta agli aiuti di raggiungere Gaza, perché applichi gli accordi sui movimenti e gli accessi ai Palestinesi e perché rilasci tutti i parlamentari Palestinesi detenuti come prigionieri politici;
o sospendendo l’accordo di associazione EU – Israele che stabilisce il rispetto dei diritti umani. Questa sospensione è uno dei mezzi in mano alla EU per obbligare il governo Israeliano a rispettare i suoi obblighi, a smantellare gli insediamenti e il Muro e a negoziare con i Palestinesi una giusta e duratura soluzione del conflitto.
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Da bersagli a cavie
il “laboratorio” dei Territori Occupati
di Naomi Klein


Gaza nelle mani di Hamas, con militanti mascherati seduti sulla poltrona del presidente; la West Bank sull'orlo del collasso; accampamenti dell'esercito israeliano allestiti frettolosamente sulle alture del Golan; un satellite spia sopra Iran e Siria; la guerra con Hezbollah a un tiro di schioppo; una classe politica rovinata dagli scandali che fronteggia la totale perdita di fiducia da parte dell'opinione pubblica. A prima vista, sembra che le cose non vadano bene per Israele. Ma ecco l'enigma: come mai, in mezzo al caos e alla carneficina, l'economia israeliana cresce come se fosse il 1999, con un mercato azionario ruggente e tassi di crescita vicini a quelli della Cina? Ecco invece un'altra teoria: l'economia israeliana non sta crescendo a dispetto del caos che riempie i titoli dei giornali, ma proprio grazie ad esso! Nell'arco di tre anni, gran parte dell'economia tecnologica israeliana era stata radicalmente riconvertita. (...) Israele era passato dalla produzione di strumenti di connessione per il "flat world" alla vendita di reticolati per un pianeta ridotto all'apartheid. Molti degli imprenditori di successo israeliani utilizzano la condizione del proprio paese di stato-fortezza, circondato da furiosi nemici, come una sorta di esposizione permanente, un esempio vivente di come si possa godere di relativa sicurezza anche nel mezzo di una guerra costante. Il motivo della supercrescita di Israele è che le sue compagnie stanno ora laboriosamente esportando questo modello nel resto del mondo.(...) Ciò fa di Israele il quarto maggior esportatore di armi del mondo. Gran parte della sua crescita è dovuta al cosiddetto settore della "sicurezza interna". I prodotti e servizi più importanti sono le barriere ad alta tecnologia, i droni teleguidati, i sistemi d'identificazione biometrica, gli strumenti di sorveglianza audio e video, i sistemi di schedatura dei passeggeri dei voli aerei e d'interrogazione dei prigionieri. Precisamente gli strumenti e le tecnologie che Israele ha utilizzato per isolare i territori occupati.(...) Trenta nuove compagnie che producono articoli per la sicurezza interna sono state aperte in Israele solo negli ultimi sei mesi, grazie in buona parte a generosi sussidi governativi. All'Esposizione Aeronautica di Parigi verrà presentato Cogito1002, una specie di chiosco bianco, dall'aspetto fantascientifico, che chiede ai passeggeri dei voli aerei di rispondere a una serie di domande per smascherare passeggeri sospetti. (...) Tutti prodotti testati sul campo, ai check point della West-Bank...Da quando Israele ha iniziato a segregare i territori occupati con muri e posti di blocco, gli attivisti per i diritti umani hanno spesso paragonato Gaza e la West Bank a delle prigioni a cielo aperto. Ma nel corso della mia ricerca sull'esplosione dell'industria per la sicurezza interna in Israele (argomento che affronterò in maggior dettaglio nel mio prossimo libro The Shock Doctrine: The Rise of Disaster Capitalism [La Dottrina dello Shock: l'Ascesa del Capitalismo del Disastro, NdT]), mi ha colpito il fatto che essi siano anche qualcos'altro: laboratori nei quali i terrificanti strumenti dei nostri stati di polizia vengono testati sul campo. I palestinesi, che vivano nella West Bank o in ciò che i politici israeliani chiamano già "Hamasistan", non sono più semplici bersagli. Sono cavie.
Perciò, in un certo senso, è vero che Israele ha trovato il petrolio. Ma il petrolio non è l'immaginazione dei suoi imprenditori tecnologici. Il petrolio è la guerra al terrorismo, la condizione di paura costante che crea una domanda senza fine di apparecchi per sorvegliare, spiare, contenere e identificare i "sospetti". La paura, a quanto sembra, è l'ultima arrivata fra le risorse rinnovabili.

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