Le Cause della Crisi del Cibo
di Walden Bello


Dal quotidiano "Il manifesto" del 6 giugno 2008 col titolo "Cosi' si
fabbrica la crisi del cibo".
Walden Bello (Manila, 1045), sociologo ed economista filippino, gia'
oppositore della dittatura di Marcos, docente universitario a Bangkok dove
anima il Focus on the Global South, e' tra le figure piu' note del movimento
internazionale che si oppone alla globalizzazione neoliberista. Tra le opere
di Walden Bello: Il futuro incerto. Globalizzazione e nuova resistenza,
Baldini Castoldi Dalai, 2002; La vittoria della poverta'. La ricchezza degli
Stati Uniti e la poverta' globale,, Baldini Castoldi Dalai, 2004;
Deglobalizzazione. Idee per una nuova economia mondiale, Baldini Castoldi
Dalai, 2004; Domination. La fine di un'era, Nuovi Mondi Media, 2005

Quando lo scorso anno decine di migliaia di persone in Messico manifestarono contro l'aumento del 60% sul prezzo delle tortillas, molti analisti diedero la colpa ai biocarburanti. Per via delle sovvenzioni governative Usa gli agricoltori americani utilizzavano sempre di piu' i campi di grano per la produzione dell'etanolo anziche' per gli alimenti, e questo fece lievitare il prezzo del frumento. Il fatto che il grano venisse trasformato in biocarburante anziche' in tortillas fu senz'altro una delle cause che fecero
schizzare i prezzi alle stelle, sebbene la speculazione sul biocarburante
richiesta dai mediatori internazionali possa avere avuto un ruolo piu'
determinante.
Uno studio realizzato dalla Fao (delle Nazioni Unite) su quattordici paesi
ha rilevato che la quantita' di cibo importato tra il 1995 e il 1998 era
nettamente superiore al periodo 1990-1994. Il fatto non desto' alcuna
sorpresa finche' uno dei piu' importanti obiettivi della Convenzione
sull'agricoltura del Wto (Organizzazione mondiale del commercio) fu quello
di aprire i mercati nei paesi in via di sviluppo cosi' da poter assorbire il
surplus di produzione nei paesi del nord. E quindi, come disse nel 1986 il
ministro dell'agricoltura americano John Block: "L'idea che i paesi in via
di sviluppo si possano sostentare autonomamente e' un concetto
anacronistico. Essi potrebbero assicurarsi una migliore nutrizione facendo
affidamento sui prodotti agricoli americani, che nella maggior parte dei
casi hanno un prezzo piu' basso".
Quello che Block non disse e' che il prezzo contenuto dei prodotti americani
era determinato dalle sovvenzioni che diventavano ogni anno piu' corpose
nonostante il Wto avesse il compito di controllarle. Dai 367 miliardi di
dollari nel 1995, l'ammontare totale delle sovvenzioni all'agricoltura
erogate dai governi dei paesi sviluppati e' cresciuto fino a raggiungere nel
2004 i 388 miliardi di dollari. Sin dalla fine degli anni Novanta le
sovvenzioni hanno inciso sul 40% del valore della produzione agricola
nell'Unione Europea e per il 25% negli Stati Uniti. I fautori del libero
mercato e i difensori delle esportazioni sottocosto possono apparire su
posizioni opposte, ma le politiche che sostengono portano al medesimo
risultato: la globalizzazione capitalistica dell'agricoltura.
*
Tra Monsanto e Carrefour
I paesi in via di sviluppo si stanno via via integrando in un sistema dove
la produzione della carne e del grano diretta all'esportazione e' dominata
da grosse industrie agricole come quelle gestite dalla multinazionale
tailandese Cp e dove la tecnologia e' continuamente aggiornata dai progressi
dell'ingegneria genetica realizzati da ditte come la Monsanto. E
l'eliminazione delle barriere tariffarie ed extratariffarie sta facilitando
la nascita di catene di punti vendita di prodotti agricoli a livello
mondiale dove i consumatori di ceto medio-alto fanno il gioco di colossi
commerciali quali Cargill e Archer Daniels Midland e di ipermercati come
Tesco (Inghilterra) e Carrefour (Francia).
Nell'organizzazione di questo mercato globale c'e' poco spazio per le
centinaia di milioni di poveri che vivono nelle citta' o nelle campagne.
Questi sono confinati in gigantesche favelas di periferia dove si trovano a
combattere con costi alimentari spesso molto piu' alti rispetto a quelli dei
supermercati, o vivono in risicate realta' rurali, intrappolati in attivita'
agricole marginali e sempre di piu' vittime della fame. E cosi', all'interno
di una stessa nazione, la carestia dei ceti emarginati coesiste spesso con
la prosperita' di quelli integrati nella globalizzazione.
Questo non e' semplicemente lo sgretolamento dell'autosufficienza e della
sicurezza nel processo dell'alimentazione ma e' cio' che l'africanista
Deborah Bryceson di Oxford chiama "deruralizzazione" - l'eliminazione di una modalita' produttiva che fa della realta' rurale un terreno congeniale
all'accumulazione intensiva di capitali.
Questa trasformazione rappresenta un trauma per centinaia di milioni di
persone, poiche' la produzione agricola non e' un'attivita' meramente
economica, e' uno stile di vita atavico, una cultura spodestata o
emarginata, che in India ha spinto i contadini al suicidio. Nello stato
dell'Andhra Pradesh, i contadini che si sono suicidati sono aumentati da 233
nel 1998 a 2.600 nel 2002; nel Maharashtra, i suicidi si sono triplicati, da
1.083 nel 1995 a 3.926 nel 2005. Possiamo dire che 150.000 contadini indiani
si sono tolti la vita.
Il crollo dei prezzi dovuto al libero mercato e alla perdita del controllo
sul grano a favore delle grosse aziende biotecnologiche e' parte di un
problema complesso. L'attivista della giustizia globale Vandana Shiva dice:
"Nell'epoca della globalizzazione il coltivatore (o coltivatrice) della
terra sta perdendo la sua identita' sociale, culturale ed economica di
persona che produce. Un contadino diventa ora un 'consumatore' del
costosissimo grano e degli ancora piu' costosi prodotti chimici venduti da
forti multinazionali grazie al potere dei proprietari terrieri e dei
finanziatori locali".
La deruralizzazione e' ad uno stato avanzato in America Latina e in Asia. E
se la Banca Mondiale dice il vero, l'Africa sta viaggiando nella stessa
direzione. Come fanno giustamente notare la Bryceson e le sue colleghe in un
recente articolo del 2008, il rapporto sullo sviluppo mondiale che tratta
per esteso l'agricoltura in Africa, nel continente e' in corso un progetto
di trasformazione dell'agricoltura basata sull'attivita' rurale ad
un'industria agricola su vasta scala. Comunque, come in altri paesi oggi, i
banchieri passano da una sfiducia latente a una manifesta opposizione. Al
tempo della colonizzazione, negli anni Sessanta, l'Africa era una rete di
export alimentare. Oggi importa il 25% del suo fabbisogno; quasi ogni paese
rappresenta una rete di importazione alimentare. Fame e carestia sono
diventate un fenomeno ricorrente, che negli ultimi tre anni ha visto
scoppiare l'emergenza cibo nel Corno d'Africa, nel Sahel e nell'Africa
centrale e meridionale.
Ad aggravare l'impatto negativo dell'adeguamento strutturale si aggiungevano
le inique regole economiche dell'Europa e degli Stati Uniti. La
liberalizzazione ha permesso ai paesi europei esportatori di manzo di
mandare in rovina gli allevatori dell'Africa occidentale e meridionale. Con
le loro sovvenzioni legittimate dal Wto i coltivatori americani misero sul
mercato mondiale il cotone a un prezzo che andava dal 20 al 55% del costo di
produzione, generando cosi' il fallimento degli agricoltori dei paesi sopra
menzionati.
Secondo le stime dell'Oxfam, il numero di africani del sub-Sahara che
vivevano con meno di un dollaro al giorno era quasi raddoppiato fino a
raggiungere i 313 milioni tra il 1981 e il 2001 (il 46% dell'intero
continente). Il ruolo che ebbe l'adeguamento strutturale nella creazione
della poverta' era duro da negare. Come ammise il responsabile dell'economia
africana per la Banca Mondiale: "Non pensavamo che i costi umani di questi
programmi sarebbero stati cosi' elevati, e che il ritorno economico avrebbe
avuto un processo cosi' lento".
*
Una strategia alternativa
Le organizzazioni contadine del mondo sono diventate piu' combattive nella
loro resistenza alla globalizzazione dell'industria agricola. E' per la
pressione dei coltivatori che i governi del sud del mondo hanno rifiutato un
piu' libero accesso ai loro mercati agricoli ed hanno richiesto un taglio
netto alle sovvenzioni all'agricoltura da parte di Stati Uniti ed Europa,
facendo si' che il Doha Round del Wto mettesse fine alle negoziazioni.
Gli agricoltori hanno creato una rete internazionale; una delle piu' attive
e' quella chiamata Via Campesina (strada di campagna). Questa, non solo
cerca di far fuori il Wto dal settore agricolo e si oppone ad un modello di
agricoltura industriale capitalistica globalizzata; propone anche una nuova
strategia di alimentazione alternativa. Che vuol dire innanzitutto il
diritto di un paese a stabilire i termini della propria produzione e consumo
di prodotti alimentari, ma soprattutto a mantenere le distanze dalle regole
del commercio globale stabilite da istituzioni come il Wto.
Questo significa anche consolidare la forza dei piccoli proprietari terrieri
proteggendoli dai danni di un sistema di importazione a basso costo;
significa prezzi piu' convenienti per agricoltori e pescatori; significa
l'abolizione di tutte le sovvenzioni dirette e indirette all'esportazione.
Significa inoltre l'eliminazione delle sovvenzioni interne che hanno
provocato l'insostenibilita' del settore agricolo.
La realta' di Via Campesina e' anche chiamata a mettere la parola fine al
regime dei Trip, che permette alle multinazionali di brevettare le semenze.
Via Campesina si oppone all'agrotecnologia basata sull'ingegneria genetica e
pretende una riforma agraria. In contrasto ad una monocultura globale
integrata, Via Campesina offre la visione di un'economia agricola
internazionale composta da varie nazioni che commerciano tra di loro dando
priorita' al fabbisogno interno del paese.
Considerato una volta la reliquia dell'era preindustriale, ora il mondo
contadino rappresentano l'opposizione ad un'agricoltura industriale
capitalistica, fatto che lo potrebbe consacrare alla storia. Questo mondo e'
diventato cio' che Karl Marx descriveva come "una classe che rappresenta la
coscienza politica di un popolo", anche andando contro le sue teorizzazioni
che ne pronosticavano la fine. Nella crisi alimentare i contadini sono in
prima linea ed hanno alleati e sostenitori. Loro non entrano di nascosto e
in punta di piedi nella lotta contro la deruralizzazione, i cui sviluppi nel
XXI secolo stanno dimostrando che la panacea del capitalismo industriale
agricolo e' un incubo.
Nella crescente crisi ambientale dove le disfunzioni sociali della vita
urbana industrializzata si vanno accumulando e l'industrializzazione
dell'agricoltura crea una maggiore precarieta' alimentare, le organizzazioni
del movimento agricolo hanno una sempre maggiore rilevanza non solo per gli agricoltori ma per tutti coloro che sono minacciati dalle catastrofiche
conseguenze che una visione capitalistico-globalizzata potrebbe avere sul
settore produttivo, sulla comunita' e sulla vita stessa.

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