Tratto da La Nonviolenza e' in Cammino
Per Una Trasformazione Nonviolenta del Conflitto Cina-Tibet
di Nanni Salio


Per ipotizzare una possibile trasformazione nonviolenta del conflitto tra
Cina e Tibet, possiamo partire dai "cinque punti" che Galtung ha individuato
come essenziali nell'esperienza delle lotte gandhiane ("Gandhi e la lotta
contro l'imperialismo: cinque punti",
www.cssr-pas.org/notizia.php?id_notizia=883).
*
Punto 1: Non temere mai il dialogo.
E' quanto va dicendo e cercando da tempo il Dalai Lama, con grande pazienza
e tenacia, anche se la controparte sinora si e' negata. La disponibilita' al
dialogo non e' mai qualcosa di semplice e scontato e quando non c'e' va
sostenuta da parti esterne.
La richiesta di dialogo e' sostenuta da tempo dai piu' autorevoli studiosi
(Tashi Rabgey, China and the Dalai Lama must negotiate,
www.taipeitimes.com/News/editorials?pubdate=2000-11-06, Tsering Shakya,
Solving the Tibetan Problem. Before it's too late, China and the Dalai Lama
musr teach a compromise,
www.time.com/time/asia/magazine/2000/0717/tibet.viewpoint.html) e un invito
al dialogo e' rivolto esplicitamente nella "Lettera al governo cinese in 12
punti sulla situazione in Tibet", sottoscritta in questi giorni da diversi
intellettuali cinesi, tra cui il noto dissidente Wang Lixiong
(www.lettera22.it/showart.php?id=8750&rubrica=59).
Questo e' pertanto uno degli obiettivi fondamentali che il movimento
internazionale della pace e tutte le forze politiche e religiose interessate
alla questione, debbono proporsi: continuare a premere sul governo cinese
affinche' accetti di avviare un dialogo con la controparte tibetana.
*
Punto 2: Non temere mai il conflitto: e' un'opportunita' piuttosto che un
pericolo.
Il conflitto in Tibet esiste e non puo' essere nascosto sotto la cenere,
dove anzi rischia di covare sino a nuove esplosioni di violenza. L'analisi
del conflitto e le proposte di soluzione e mediazione sono state oggetto di
riflessione da parte di Transcend e sono state pubblicate su "Azione
nonviolenta", novembre 2004, insieme a un contributo sulla "montagna sacra",
il Kailash, montagna di pace immersa in un oceano di violenze.
*
Punto 3: Impara la storia, o sarai destinato a ripeterla.
Come tutte le vicende storiche, anche quella del Tibet e' controversa e
alcuni punti sono tuttora oscuri. Esistono tuttavia alcuni buoni contributi
scritti da autorevoli studiosi, ai quali si puo' fare riferimento per avere
un quadro sufficientemente preciso della questione. (Si veda ad esempio:
Wang Lixiong, "Reflections on Tibet", New Left Review 14, march-april 2002,
http://newleftreview.org/A2380 e la replica di Tsering Shakya, "Blood in
the snows", New Left Review 15, may-june 2002,
http://newleftreview.org/?view=2388. Di questo stesso autore si veda: Tibet.
Il fuoco sotto la neve, Sperling & Kupfer, Milano 2006, scritto insieme a
Palden Gyatso).
I punti piu' controversi riguardano la natura dello stato teocratico
tibetano, prima dell'invasione cinese, che aveva creato una condizione di
gravissimo sfruttamento della popolazione contadina piu' povera, e il ruolo
che ampi settori della popolazione ebbero durante l'invasione e nel
successivo periodo della rivoluzione culturale, schierandosi a favore dei
cinesi.
*
Punto 4: Immagina il futuro, o non ci arriverai mai.
Nonostante alcuni indubbi miglioramenti nel livello di vita dei tibetani, la
politica cinese non e' riuscita a conquistarne il consenso. A piu' riprese,
ciclicamente, sono esplose forti contestazioni. Il tentativo di sradicare il
sentimento religioso profondamente presente nella popolazione, insieme alla
demonizzazione del Dalai Lama hanno sortito effetti contrari.
A tutt'oggi, la proposta piu' significativa per il futuro delle relazioni
tra Cina e Tibet e' quella, gia' citata, avanzata da Transcend (Johan
Galtung, "Il conflitto tra Cina e Tibet: una prospettiva di soluzione",
"Azione Nonviolenta", novembre 2004) che prevede una federazione che
comprenda anche le altre regioni oggetto di conflitto (Taiwan, Xinjang,
Mongolia interna, Hong Kong), ognuna delle quali godrebbe di una ampia
autonomia. Per facilitare la possibilita' di giungere a questa soluzione, e'
necessario agire con determinazione e cautela, evitando di creare ostilita'
preconcette e arroccamenti da parte cinese.
*
Punto 5: Mentre combatti contro l'occupazione, pulisci anche casa tua!
Cosi' come Gandhi lotto' contro il sistema castale indiano e contro la
discriminazione delle donne, anche i tibetani debbono riconoscere che "il
lamaismo fu brutale e che la Cina ha anche aspetti positivi" (Galtung).
Per quanto riguarda la politica internazionale, non ci si puo' certo
aspettare che siano gli Usa a richiedere il rispetto dei diritti umani e il
dialogo in Cina, visto quanto stanno facendo in varie parti del mondo e
soprattutto in Iraq. E' semplicemente scandaloso che si punti il dito contro
la Cina, quando gli Usa hanno invaso l'Iraq con motivazioni pretestuose e
false e hanno provocato la morte di un milione di iracheni. La "pulizia in
Occidente" e' condizione necessaria per poter esigere che anche la Cina
faccia altrettanto.
La lotta nonviolenta richiede pazienza, determinazione e molta coerenza per
trasformare il conflitto, ovvero trasformare attori, strutture, culture. Non
ci sono facili scorciatoie e cosi' come la lotta in India e' durata oltre
mezzo secolo e in Sudafrica oltre un secolo, non ci si puo' aspettare che
nel caso del Tibet si riesca a proceder molto piu' speditamente. La
trasformazione investe non solo il Tibet, ma un paese di oltre un miliardo
di persone, appena uscito da una storia difficile e complessa. Sta anche a
noi favorire questa transizione esplicitando sempre piu' cosa intendiamo per
cultura della nonviolenza e inventando man mano "strutture internazionali
nonviolente". Un cammino ancora lungo e impervio, ma possibile e
indispensabile.

TOP