Quarta conferenza internazionale di Bil’in sulla resistenza popolare nonviolenta (nel nome di Basem Abu Rahma).
22, 23° 24 aprile 2009 Bil’in, Cisgiordania, Palestina
Resoconto a cura di Pia Mondelli e Carla Biavati


Il programma, intenso, prevede tre giorni di attività. Primo giorno: interventi di esponenti politici e attivisti di base sulla complessità del tema palestinese e le sue possibili soluzioni. Secondo giorno: workshops, escursioni sul campo, che diano una conoscenza pratica e diretta di diversi esempi di resistenza nonviolenta. Terzo giorno:elaborazione della dichiarazione finale, partecipazione alla manifestazione settimanale contro la costruzione del muro.

Il luogo della conferenza è il complesso scolastico del villaggio; il grande cortile è attrezzato con un tendone, un grande palco per gli oratori, sedie, spazi per le telecamere e per le postazioni degli interpreti.

Sullo sfondo alle spalle degli oratori campeggia l’immagine sorridente di Bassem Abu Rahma, il giovane attivista della lotta nonviolenta di Bil’in ucciso venerdì 17 aprile da un proiettile lacrimogeno sparato da pochi metri di distanza.
Durante la manifestazione settimanale Bassem gridava ai soldati non sparare, sembra per permettere il soccorso di una donna ferita.La risposta è stata il lacrimogeno che gli è penetrato nel petto.
Alla sera del primo giorno viene proiettato un documentario sulla vita – e sulla morte – di Bassem. Lo ha girato e montato Shai Carmeli Pollak, un regista israeliano che, dopo aver servito nell’esercito, ha deciso di unirsi alla lotta di Bilin. Il documentario non concede niente alla triste retorica del “martirio”: Bassem appare mentre si rivolge bonariamente ai soldati oltre la rete (“Non sparate! Solo dieci minuti di manifestazione! Poi ce ne andiamo a casa noi e voi!”), sorride, ride, lancia battute di spirito ai soldati, fa volare aquiloni, tiene fermi i ragazzi che vogliono tirare sassi. Sembra essere l’attivista più carismatico e autorevole, un vero leader della nonviolenza. E’ sicuramente il più amato. Luisa Morgantini lo definirà, più tardi, “l’incarnazione dello spirito di questa conferenza”, “la forza delle parole contro la forza della violenza”.

Ma torniamo alI’inizio della conferenza.
I partecipanti sono forse trecento; oltre ai padroni di casa sono numerosi i palestinesi provenienti da altri villaggi in lotta contro il muro e da altre regioni della Cigiordania (Tulkarem, Qalqilia, Hebron, Valle del Giordano, Betlemme).
Fra le delegazioni internazionali spiccano gli israeliani, molti provengono dagli “Anarchici contro il muro”, e da altre associazioni nonviolente (ISM), altri sembrano essere gruppetti di giovanissimi amici, forse non ancora affiliati ad associazioni, ma sicuramente spinti da un appassionato, e sofferto, desiderio di capire.
Impossibile fare un elenco preciso delle associazioni provienienti dall’estero perchè pochissimi fra loro hanno distribuito i propri materiali cartacei sui banchi messi a diposizione per questo scopo.
Americani, svizzeri (Urgence palestine), numerosi i francesi (Solidarité Palestine e Mouvement de la paix) e gli spagnoli, e poi olandesi, britannici, sudafricani, irlandesi, colombiani, danesi. Diversi partecipanti non appartengono ad associazioni e dichiarano di essere venuti qui da soli, “per imparare”.
La delegazione italiana è piccola, tre attivisti del progetto “Interventi civili di pace” (fra i quali la nostra Carla che si presenta come BB-Rete CCP), rappresentano anche le numerose e grandi associazioni italiane presenti in quel progetto. Io, Pia, per i BB.
L’organizzazione si avvale dell’aiuto del Governo Spagnolo, Ministero degli esteri, e dell’Ufficio della Cooperazione Catalana.

La conferenza si apre con l’intervento Iyab Burnat, presidente del comitato popolare di Bil’in.
L’intervento è diponibile nella sua interezza sul sito di Bil’in village. Qui ve ne propongo ampi stralci (in corsivo), utili per inquadrare la situazione palestinese nel momento attuale, la storia del villaggio di Bil’in, e anche le intenzioni generali di questa conferenza.
Dopo i saluti formali, in primo luogo Iyab Burnat ricorda Bassem. E poi continua:“La nostra conferenza si tiene nel mezzo di una escalation delle azioni israeliane contro il nostro popolo e la nostra terra. Il muro razzista dell’apartheid continua a essere costruito, continua la confisca coloniale della terra, migliaia di case continuano a essere costruite negli insediamenti specialmente nella Gerusalemme occupata, allo scopo di darle un carattere israeliano, e viene tagliata fuori dai suoi dintorni palestinesi. Questo viene fatto in contrasto con tutte le leggi e le risoluzioni internazionali, con l’intento di creare situazioni di fatto sul terreno che impediscano ogni possibilità di una futura soluzione giusta e pacifica.
La nostra conferenza si tiene nel momento in cui la politica di cantonizzazione della terra palestinese continua per mezzo dei checkpoint (che ora sono oltre 590) e per mezzo di centinaia di ordini militari di chiusura, confisca, e ordini di demolizione di case. Questo si aggiunge all’assedio brutale imposto alle aree palestinesi, specialmente alla striscia di Gaza. Insieme a queste pratiche inumane ci sono massacri e assassini compiuti senza discriminazione fra bambini, donnm, anziani. Così, proprio recententemente, le autorità di occupazione hanno assassinato il nostro amico e compagno di vita Bassem Aburahma, sulla terra del suo villaggio fermo nella resistenza, nel loro tentativo di spezzara la nostra volontà e la nostra determinazione a continuare la nostra lotta. Aggiungete a queste cose i quotidiani rapimenti/arresti in tutti i distretti.
Di fronte a questa dolorosa realtà il popolo Palestinese non può fare niente di meno che continuare a esprimere il suo rifiuto di tutte queste pratiche dell’occupazione confrontando l’occupazione con il petto indifeso e con la fede nel nostro diritto alla vita e alla libertà come tutti gli atri popoli (…)
Per la Palestina uno dei maggiori pericoli in tutta la sua storia è la costruzione del muro dell’apartheid che è cominciato nel 2002 nel nord della West Bank al tempo in cui le forze di occupazione israeliane circandavano le città palestinesi, vi entravano e producevano disctruzioni in ampia scala. I bulldozer israeliani demolirono oliveti, campi di grano, vigneti e altro. I palestinesi presero coscienza che questi piani israliani miravano a uccidere lo stato palestinese geograficamente e politicamente distruggendo la sua base economica e industriale. Forse più importante fu uccidere le speranze nel cuore del nostro popolo. Ma appena gli israeliani hanno cominciato a costruire il muro, come reazione dagli agricoltori sono nati comitati popolari e si sono sviluppati per diventare un ampio movimento popolare dal Nord a Jenin a Qalqilia a Jayyus, Azzawiya, Salfit, Deir Alghusoon, Azoun Alatma e molti altri villaggi e città investiti dal muro.
Questo movimento si è diffuso, agricoltori, istituzioni pubbliche civili, consigli di villaggi e di città, tutti hanno lavorato per costituire comitati pubblici per resistere al muro in ogni villaggio e città. Il villaggio di Jayyus mostra un esempio coni suoi bambini, donne, anziani. E il villaggio di Budrus prova che la resistenza popolare include tutti i segmenti di società che possono fare qualcosa partendo dal nulla. (…)
Bil’in è emersa con il suo eccellente comitato popolare, molto creativo, che mostrava i migliori esempi di fermezza e di riuscita. Il sangue dei martiri come Bassem Aburahma testimonia di questa insistenza nel rifiuto dei piani israeliani sulla nostra terra. E questo comitato è riuscito a imporre una decisione di cambiare il percorso del muro. Noi siamo diventati un simbolo internazionale di resistenza popolare. Bil’in è diventato partner di altri villaggi palestinesi. Alma’sara h formato il comitato per proteggere il distretto di Betlemme, ed è diventato un esempio per le attività che esprimono il meglio del significato storico e religioso del distretto di Betlemme. Il villaggio è diventato l’occhio del distretto e l’occhio del sud. I comitati popolari di resistenza contro il muro hanno potuto convincere il mondo della giustizia della causa palestinese, e hanno portato qui il sostegno internazionale. Attivisti della solidarietà internazionale sono diventati fedeli messaggeri della causa palestinese e sconosciuti soldati si sono messi al fianco del popolo palestinese. Essi trasmettono le storie della sofferenza palestinese alla gente in tutto il mondo perché facciano pressione sui loro governi per porre fine alla brutale occupazione(…)
Noi vogliamo sottolineare quanto segue:
- A livello palestinese:
- Noi sottolineiamo la necessità della unità dei palestinesi come base per assicurare il successo degli obbiettivi nazionali palestinesi di libertà e indipendenza.
- Noi chiediamo all’Autorità Nazionale Palestinese, al suo presidente, al suo primo ministro di accrescere un serio lavoro per rendere esecutiva la decisione della corte di Giustizia [israeliana] del 9 luglio 2004 [si tratta della sentenza che ha accolto le richieste del villaggio di Bil’in e ha ordinato lo sportamento del tracciato del muro] e della risoluzione dell’Assemblea Generale del’ONU che è seguita.
- Noi lodiamo la posizione di sostegno alla resistenza popolare espressa dall’Autorità Nazionale Palestinese. Ringraziamo il Presidente e il Primo Ministro. Ma speriamo e desideriamo che voi lavoriate con noi in più ampia scala per accrescere il nostro impegno e per sostenere la resistenza dei cittadini attraverso lo sviluppo di progetti nelle aree C [in seguito agli accordi di Oslo, aree palestinesi sotto il controllo israeliano] e concordare di finanziare stipendi mensili per i comitati popolari per assicurare la loro continuità. Noi vi invitiamo anche a prendere una forte posizione sul tema della israelizzazione di Gerusalemme, la continuazione della costruzione degli insediamenti e del muro: una posizione che indurrebbe la comunità internazionale a esercitare pressione su Israele.
- Noi chiediamo ai movimenti nazionali di mettere la resistenza popolare al primo posto dei loro programmi cominciando con il boicottaggio dei prodotti israeliani, fino alla partecipazione a tutti i livelli nelle future azioni popolari.
- Noi sottolineiamo la necessità di continuare la resistenza popolare come uno strumento strategico basato sul successo ottenuto nella resistenza contro il muro. Il patrimonio della lotta popolare palestinese comprende l’esperienza della prima intifada e noi facciamo un appello per unificare tutti gli sforzi, nello scambio di queste espierienze nell’accrescere il livello di collaborazione e cooperazione sia fra i comitati popolari sia fra questi comitati e altri segmenti della società.

A livello israeliano:
- Rafforzare le relazioni con il movimento israeliano per la pace che sostiene la nostra lotta contro l’occupazione.
- Rifiuto di ogni tipo di normalizzazione con gli occupanti israeliani e le sue istituzioni, ogranizzazioni e rappresentanti.

A livello internazionale:
- Sviluppare le nostre relazioni con gli attivisti internazionali della solidarietà e reclutarne un maggior numero per lavorare per la pace e la libertà.
- Lavorare per mobilitare le comunità Palestinesi e arabe all’astero.
Chiediamo ale organizzazioni sindacali, ai gruppi, a tutti gli attivisti per la pace, alle società civili in tutto il mondo di partecipare alle presentazioni della esperienza palestinese e così contestare la propaganda israeliana.[sottolineatura dell’autore]
- Lavoro sul boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni, compresa la sospensione della partnership fra UE e Israele.
- Esercitare pressioni sulle istituzioni ufficiali internazionali, specialmente la UE, i governi europei e gli USA affinché essi chiedano a Israele di rispettare i suoi obblighi iternazionali includendo la fine dell’occupazione e la fine di tutte le pratiche che violano i diritti umani dei Palestinesi. Noi chiediamo a tutti i paesi occidentali, specialmente agli Stati Uniti, di porre fine al sostegno politico, militare, economico allo stato di Israele. Questo cieco sostegno incoraggia l’occupazione a continuare le violazioni i diritti umani di base(…)
Noi vi promettiamo, promettiamo al nostro popolo, promettiamo ai nostri caduti, compreso il nostro eroico Bassem, che noi continueremo nella nostra resistenza e nel rifiuto dell’occupazione fino alla sua fine. Questo muro cadrà e al suo posto noi costruiremo ponti di amicizia fra i popoli e costruiremo finestre di speranza. Questa è la nostra promessa e con il vostro aiuto noi manterremo la nostra promessa.”

L’autorità Nazionale Palestinese è rappresentata nella conferenza da Salam Fayyad, Primo Ministro. A lui direttamente si rivolgono le domande dell’intervento precedente. Il Primo Ministro dichiara il suo rispetto per la lotta di resistenza non violenta dei comitati popolari contro l’occupazione; sottolinea l’importanza della “soluzione dei due stati” con Gerusalemme capitale dello stato indipendente palestinese.

Mairead Maguire, premio Nobel per la pace, esprime una profonda empatia con i palestinesi e li incoraggia a “non perdere la speranza e tenere viva la lotta”; sottolinea l’importanza dell’attiva partecipazione delle donne nel movimento di resistenza; chiede scusa per avere negletto la causa palestinese per lungo tempo prima di comprendere ciò che accadeva in Palestina e ha chiesto delle reali sanzioni contro Israele e il rispetto del diritto internazionale da parte di Israele.

Nella sua lettera alla conferenza l’ex presidente Jimmy Carter, incoraggia i palestinesi a usare gli strumenti legali disponibili per fermare le illecite misure del governo israeliano e la sua impunità. Carter esprime apprezzamento dichiarazioni di Obama sui temi del Medio Oriente.

Dell’intervento di Jean Claude Lefort, deputato comunista francese e attivista del comitato France Palestine solidarité, posso proporvi un ampio resoconto, tratto dal sito Bilin Village (Jean Claude Lefort : “Da 60 anni, un Stato si prende gioco del diritto internazionale’’ Fonte PNN, di Younes Salameh, segue in corsivo). Nel corso del suo intervento segnala una piccola ma significativa vittoria del comitato a cui aderisce: Solidarité France Palestine è riuscita, nell’ambito della campagna BDS (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni), a perseguire legalmente, per collaborazione con una potenza occupante, due imprese francesi di costruzioni ferroviarie (una di esse è la famosa Astom) impegnate nella costruzione della metropolitana che attraversa Gerusalemme Est.
“Il deputato ha innanzitutto parlato del suo personale impegno per la liberazione del prigioniero franco-palestinese Salah Hamouri. Jean Claude Lefort ha avuto l’occasione di incontrare Salah più volte nella sua prigione israeliana e ha partecipato attivamente alla creazione del comitato di sostegno che raggruppa “membri di tutte le famiglie politiche francesi, salvo naturalmente l’estrema destra’’. Lefort ha insistito sulla inconsistenza dell’azione della autorità francesi :
“Tutti in Francia conoscono Guilad Shalit. Ma chi conosce Salah Hamouri? Io sono andato a trovarlo due volte in prigione. Bisogna che sappiate che, malgrado le nostre richieste, il Presidente della repubblica francese che ha ricevuto il gruppo delle famiglie di cittadini francesi in difficoltà all’estero, si rifiuta formalmente di ricevere la famiglia di Salah Hamouri. Noi diciamo che non è possibile. I diritti dell’uomo sono universali. E un francese, che sia israeliano o palestinese, è sempre un francese. Non possono esserci due misure e non transigeremo”.
Per il deputato comunista, il contesto attuale porta a intensificare la solidarietà verso i palestinesi. Tra ciò che è successo a Gaza, che ha mobilitato in Francia delle folle considerevoli e l’elezione del governo più a destra della storia di Israele, le ragioni per mobilitarsi non mancano. Per Jean Claude Lefort tutti questi elementi ‘‘ci piazzano di fronte a nuove responsabilità, a noi che siamo solidali con il popolo palestinese’’.
“Cari amici, dopo Gaza, c’è una parola chiave che deve indicare il cammino. La solidarietà naturalmente e una maggiore cooperazione, ma soprattutto bisogna mettere fine all’impunità di cui beneficia Israele. Non è possibile che da oltre 60 anni, uno Stato sbeffeggi costantemente il diritto internazionale al prezzo di morti, di sangue, di distruzione, di colonizzazione e di imprigionamenti’’.
Se Jean Claude Lefort ha ricordato l’importanza della solidarietà internazionale, ha ugualmente richiamato i militanti a intensificare la pressione sulla comunità internazionale rispetto a due questioni.
Innanzitutto, la sospensione dell’accordo di associazione Ue-Israele. Ricordiamo che Israele è il più grande importatore di merci dall’Ue e il suo secondo maggiore esportatore. L’accordo Ue-Israele è la base giuridica della relazione e conferisce a Israele uno status commerciale preferenziale con alcuni paesi dell’Ue. Jean Claude Lefort cita l’articolo 2 dell’accordo che stabilisce che queste relazioni devono essere basate sul rispetto dei diritti umani e dei principi democratici che devono guidare l’azione politica interna e internazionale.
Il deputato ha infine insistito su una petizione lanciata per la creazione di un tribunale che giudichi i crimini commessi a Gaza. Infatti, Israele non fa parte dei paesi che hanno firmato il Trattato di Roma e non può essere giudicato dalla Corte penale Internazionale. Solo l’Assemblea generale delle Nazioni Unite può chiedere la creazione ad hoc di un tribunale che giudichi cosa è accaduto a Gaza. Il deputato ha poi concluso :
“Noi cittadini possiamo non solo dimostrare la nostra solidarietà, ma la nostra azione può essere ancora più efficace affinché i responsabili del genocidio commesso a Gaza non possano più vivere in libertà. Il loro posto è la prigione’’.

Adar Gray, una giovane israeliana degli “Anarchici contro il muro”, ricorda la Nakba palestinese, si dice onorata del privilegio di poter partecipare a questa conferenza. Adar fa appello per un lavoro congiunto di advocacy (pubblico sostegno) che sia condotto da attivisti israeliani e palestinesi che si impegnino nel far crescere una reale consapevolezza delle politiche isrealiane nella West Bank.

Attivisti palestinesi prendono a turno la parola per per illustrare le loro iniziative contro la confisca delle terre, la trasformazione di Gerusalemme in città esclusivamente israeliana e presentano forme alternative di lotta, come le attività artistiche. Fra di loro è Rafiqh al Husseini, segretario del comitato “Gerusalemme capitale della cultura araba 2009”.

Particolarmente interessante fra questi interventi è quello della signora Um Kamel Al Kurd, attivista del comitato popolare di Sheik Jarrah, un importante quartiere residenziale di Gerusalemme est (la Gerusalemme araba) minacciato da esplulsioni e distruzioni di case palestinesi. Um Kamel narra la distruzione della sua casa e le iniziative legali che ha intrapreso per opporsi all’espusione.La comunità di Sheik Jarrah consiste in 28 famiglie e sta affrontando un gran numero di ordini di espulsione che sono parte di un piano per impiantare un nuovo insediamento ebraico nell’area, vicino alla Città Vecchia di Gerusalemme.

Seguono gli interventi delle delegazioni internazionali: francesi, catalani, colombiani, italiani. I temi: apprezzamento della dimensione non violenta della lotta di Bliin e dei comitati che a questa lotta si sono ispirati; impegno nelle campagne di boicottaggio; appello alla costituzione di un Tribunale Russell sulla Palestina, internazionale e analogo a quello che agì durante la guerra del Vietnam; appello alla promozione di legami fra le società civili dei paesi dei delegati e la società palestinese.

Per la delegazione italiana parla Riccardo in rappresentanza della delegazione italiana del “Tavolo per gli Interventi civili di pace”. Riporto qui il suo intervento in una misura molto ampia, non perché sia più importante degli altri, ma perché ci rappresenta e ci riguarda più da vicino.
Riccardo spiega che il “Tavolo” per cui parla raccoglie associazioni italiane dedicate a promuovere la trasformazione nonviolenta dei conflitti e la giustizia sociale.
Dichiara la più profonda solidarietà agli abitanti di Bil’in e a tutti i Palestinesi i quali dimostrano che la resistenza nonviolenta è possible.
La determinazione, la capacità di resistenza quotidiana, e la capacità di continuare le manifestazioni ogni settimana e ormai da lunghi anni rappresenta il punto più alto della pratica nonviolenta.
L’intervento insiste su questo concetto: “Voi state insegnando al mondo la possibilità e l’importanza di rispondere alla violenza brutale con altri mezzi(…). Voi ci insegnatel’importanza di essere una comunità che resiste (….) La vostra resistenza è un esempio di come le azioni nonviolente sono capaci di produrre una nuova cultura di pace, un modello per una nuova società che parte dalla gente comune”.
Riccardo esprime ammirazione per come i palestinesi hanno costruito una rete di collaborazione, amicizia, mutuo rispetto con I gruppi israeliani pacifisti contro l’occupazione, per come riescono a lavorare insieme con loro su specifici obbiettivi e mete chiare, evitando ogni rischio di normalizzazione. Esiste un modo concreto di costruire insieme la pace. L’intervento sottolinea l’importanza del ruolo delle donne in questa lotta all’interno di società che tendono a sottovalutarlo; ricorda l’atroce assedio di Gaza, i prigionieri e i profughi della diaspora palestinese.
L’esperienza di Bil’in risponde a quei politici che considerano tutti i palestinesi come gente che vuole fare la guerra, incapaci di stabilire un dialogo con la società israeliana. E’ nostro compito cambiare la loro visione delle cose e impedire che un’esperienza di tale valore finisca a Bil’in.
Noi abbiamo aspettato troppo a lungo una soluzione politica proveniente dalla comunità internazionale, ora è arrivato il tempo di costruire il nostro mondo di pace lottando pacificamente contro chi vuole vedere oriente e occidente come nemici.
“In Italia, noi abbiamo unito le forze in una rete commune per rafforzare la nostra capacità di promuovere la trasformazione nonviolenta dei conflitti, la costruzione della pace e i diritti umani. Abbiamo cominciato con l’educazione alla pace nelle scuole e l’addestramento dei volontari che possono intervenire in zone di conflitto. Stiamo preparando gruppi di pubblico sostegno (advocacy) così che le nostre istituzioni possano sostenere l’intervento di gruppi della società civile come disarmati Corpi di Pace nelle aree di tensione. Noi speriamo che nel futuro i nostri attivisti si impegneranno per intervenire in Palestina, ma siate sicuri che stanno già lavorando duramente in Italia per fornire alla pubblica opinione una informazione alternativa sul conflitto israelo-palestinese e per la fine dell’occupazione. Molti di noi lavorano con la Coalizione Action for Peace, nel quadro della campagna per boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) (…). E’ molto significativo notare che il sindacato dei lavoratori metlmecccanici FIOM sta protestando contro il commercio di armi fra imprese italiane e israeliane.”

Una standing ovation mostra lo speciale apprezzamento del pubblico per l’intervento di Zico Tamela del sindacato sudafricano dei lavoratori dei trasporti (SATAWU). Lavoratori iscritti a questo sindacato, rischiando il licenziamento, hanno rifiutato di scaricare una nave proveniente da Israele nel porto di Durban, come forma di boicottaggio. Tamela sostiene che forti organizzazioni di massa sono necessarie perché la lotta non violenta sia vincente. Insiste sull’importanza della solidarietà internazionale, spiega come la campagna internazionale di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni portò all’isolamento del governo sudafricano dell’apartheid e alla sua effettiva caduta.

Il professore Iman Hamuri, direttore del Centro di cultura popolare e membro del comitato direttivo dellassociazione delle ONG palestinesi (PNGO), ricorda che è necessario opporsi alla “normalizzazione”, vale a dire l’accettazione dell’occupazione in corso, come se fosse la normalità. Rispondendo a una domanda proveniente dal pubblico, che chiede la sua opinione sui “progetti culturali congiunti” fra israeliani e palestinesi, il professore ricorda che qui purtroppo “non siamo in Svizzera” e che i “progetti congiunti” vanno rifiutati se gli artisti israeliani coinvolti non prendono eplicite posizioni contro le politiche del loro governo nei confronti dei palestinesi.

In collegamento video da Gaza, interviene il professore Haidar Eid, dell’università di Al-Aqsa di Gaza. Eid denuncia l’aggressione contro la Striscia di Gaza, e la cospirazione internazionale del silenzio che è sceso sui fatti di Gaza. Sostiene che Israele non avrebbe attaccato Gaza senza una “luce verde” internazionale; ricorda che alcuni esponenti del governo israeliano hanno dichiarato che l’attacco a Gaza era finalizzato a incidere profondamente nella coscienza dei palestinesi che sono un popolo sconfitto. L’attuale assedio di Gaza viene definito “un genocidio al rallentatore”. L’intervento si conclude ricordando ai presenti che la lotta dei palestinesi non è etnica, non nazionale, ma ha un significato universale.

Il presidente del comitato per la valle del Giordano denuncia la sottrazione delle risorse d’acqua; dal villaggio Maasera nel distretto di Betlemme, denunciano la confisca delle terre a favore degli insediamenti e i danni ambientali causati dagli insediamenti; chiedono alle associazioni ambientaliste del mondo di boicottare le associazioni ambientaliste israeliane. Da Naalin, nella regione di Hebron denunciano la demolizione di case e l’inquinamento delle acque.

L’ultimo dibattito vede uomini politici rappresentanti dei partiti palestinesi: Fatah, FPLP, Fda, FDLP, Partito popolare, Mubadara (Iniziativa Nazionale Palestinese), Fronte di liberazione palestinese rispondere alle domande del pubblico relative al loro ruolo nella lotta contro l’occupazione e la loro effettiva capacità di creare una strategia condivisa per l’obiettivo comune. Mustafa Barghouti (Mubadara) mette in evidenza come gli accordi di Oslo hanno diviso le fazioni palestinesi e fa appello a una strategia politica unificata. Il movimento di Bil’in è preso a esempio di una efficace resistenza popolare grazie alla sua unità, persistenza e capacità di coinvolgere internazionali e israeliani nelle sue iniziative.
Il punto più interessante di questo dibattito fra pubblico e rappresentanti politici è la questione su quanto l’ANP sia disposta a impegnarsi per sostenere la lotta nonviolenta dei comitati popolari nati sul modello di Bil’in. Mustafa Barghouti dà voce alla critica di fondo espressa dai comitati popolari nei confronti dell’ANP: l’ANP non sostiene efficacemente, né a livello politico, né economico, la resistenza nonviolenta di base dei comitati popolari. Per chiarire, vi propongo un report tratto dal sito di Bil’in che è più preciso dei miei appunti:
Durante il dibattito tra i rappresentanti dei differenti partiti politici palestinesi, nella giornata di mercoledì, Mustapha Barghouti si è dimostrato particolarmente critico verso l’Autorità palestinese. Secondo Barghouti, gli Accordi di Oslo hanno nutrito l’illusione che potessero mettere fine alla resistenza. In realtà –nota Mustapha Barghouti - gli Accordi hanno diviso i palestinesi. Per Barghouti, che conosce bene gli abitanti di Bil’in, l’Autorità deve fermare la via dei negoziati con Israele.
“Bisogna stoppare i negoziati che non servono più a niente. L’hanno capito tutti. Il solo percorso possibile è la resistenza popolare, l’unione e, per questo, bisogna sostenere la persone che resistono. Ora, il 35% del budget dell’Autorità è destinato alla sicurezza e, in questo modo, non è destinato alla resistenza’’.(tratto dal sito di Bil’in Village, fonte: PNN Younes Salameh)

Dopo il dibattito, Mustafa Barghouti, membro del consiglio Legislativo Palestinese e segratario generale dell’Iniziativa Nazionale Palestinese (Mubadara) offre - in inglese, e aiutandosi con immagini proiettate - una dettagliata descrizione di quello che definisce “un regime di apartheid”, che è un sistema di insediamenti, checkpoint, il muro, strade ad esclusivo uso dei coloni, leggi e ordini militari. L’obbiettivo di questo sistema, che è stato iniziato da Israele dal 1967, è trasformare i territori palestinesi in territori israeliani e impedire la costituzione di uno stato palestinese.
L’intervento di Barghouti continua con le terribili immagini provenienti da Gaza : attacchi contro i civili, eccessivo uso della forza, diniego di passaggio al personale medico e ai cittadini feriti, attacchi contro team, centri e istituzioni mediche, distruzione delle infrastrutture ambientali. Ciascuna di queste violazioni del diritto costituisce un crimine di guerra, punibile dalla legge internazionale.
E’ necessario portare l’attenzione internazionale su Gaza. Che oggi è completamente dimenticata nel suo assedio. Israele ha finora impedito l’ingresso a Gaza di cose indispensabili per la ricostruzione: semi, cemento, vetro. Per non esporsi all’accusa di impedire gli aiuti umanitari, Israele consente il passaggio di cibi (non tutti) e di farmaci, ma non di pezzi di ricambio per le apparecchiature mediche, cosicché accade, per esempio, che a Gaza non possono funzionare gli apparecchi per la dialisi, non tutti, almeno.

Le domande dal pubblico insistono sul che cosa fare. Il dottor Barghouti, rispondendo e incoraggiando, cita Ghandi: “prima ti ignorano, poi ti mettono in ridicolo, poi ti reprimono. E poi vinci”. Bisogna fare tre cose: boicottaggio, resistenza popolare, sotegno alla vita dei palestinesi. E’ necessaria l’unione delle diverse fazioni palestinesi, che sono in lotta fra di loro per le posizioni interne mentre continua l’occupazione di Cisgiordania e Gaza. Il dottor Barghouti è molto critico nei confronti dei risultati degli accordi di Oslo – definiti una trappola in cui i palestinesi sono caduti.
Liquida rapidamente la domanda se è ancora attuale la prospettiva di soluzione “due stati per due popoli”: “due stati o uno, non importa – dice Barghouti - noi non vogliamo essere schiavi.”
Invita gli attivisti internazionali a intensificare i loro sforzi: la lotta non si gioca tanto sul terreno, quanto nella narrazione. E’ necessario contrastare la propaganda israeliana. Per esempio: chi ha rotto la tregua a Gaza? Hamas era pronto a continuare la tregua. Ora un esempio di distorsione dell’informazione: una scuola di Gaza è stata distrutta perché, secondo gli israeliani, vi si nascondevano dei combattenti. Il direttore della scuola bombardata racconta a Barghouti l’antefatto. Il guardiano della scuola chiede al direttore se può portare la sua famiglia nella scuola, per dormire al riparo dai bombardamenti che colpiscono le case. Il direttore rifiuta. Durante la notte la scuola viene distrutta dalle bombe. Il guardiano avrebbe mai messo in pericolo la sua famiglia, sapendo che lì si nascondevano dei combattenti? E comunque, insiste Barghouti, in base a nessuna legge internazionale si può distruggere una scuola perché lì si nascondono dei soldati.
E’ in atto la deumanizzazione del nemico: infatti nell’attacco contro Gaza sono stati uccisi pochi combattenti e molti civili.
Trovo interessantissima la domanda di un ragazzo israeliano che chiede come contrastare questa tendenza a negare l’umanità del nemico. Barghouti risponde che una delle peggiori conseguenze degli accordi di Oslo è stata la completa separazione delle due società, palestinese e isrealiana. Palestinesi e israeliani non si incontrano, letteralmente non vedono la vita e la sofferenza dell’altro.
Che cosa leggere? Tre ebrei e un palestinese: Ilan Pappe, La pulizia etnica della Palestina, Avi Shlaim, Il muro di ferro, Naomi Klein, The Shock Doctrine, Raja Shehadeh, Palestinian Walks.

Siamo alla fine del primo giorno di lavoro. Viene proietatto un documentario su Bassem Abu Rahma. I giovani in platea erano i suoi amici. La commozione è profonda. E’ un documentario importante perché mostra il comportamento nonviolento del giovane leader; Luisa Morgantini ricordava infatti Bassem come una figura emblematica adatta a incarnare lo spirito di questa conferenza: la forza delle parole contro la forza della violenza.


Il secondo giorno partecipiamo al workshop “Costruire un network internazionale in solidarietà con la Palestina”.
Partecipa al workshop Luisa Morgantini. Luisa insiste sulla necessità di costruire reti, network. Noi attivisti internazionali non ci colleghiamo abbastanza, anzi ci disperdiamo in molte differenti iniziative, incapaci di superare le nostre differenze per lavorare con i palestinesi. Per esempio continuiamo a discutere le grandi questioni: il sionismo, due stati eccetera. Bisogna smetterla, non perché non siano cose importanti, ma perché questa condotta non è efficace. E’ necessario invece concentrarsi su fatti concreti, precisi: violazione dei diritti umani, guerra, assedio di Gaza. Fatti concreti che vanno indicati con esattezza e portati di fronte alle corti legali internazionali, peché esiste una responsabilità legale per ogni violazione e Israele deve essere messo di fronte alle sue responsabilità.
Nel parlamento europeo è in corso una battaglia sul rafforzamento degli accordi con Israele: si deve esigere che Israele che rispetti i termini dell’accordo; il rafforzamento dell’accordo infatti è sottoposto al rispetto dei diritti umani da parte dei contraenti; Israele deve essere chiamata a rispondere su questo.
La Morgantini ricorda agli attivisti europeri che è necessario fare lobby con i parlamentari europei.

Il workshop indica un elenco di attività e campagne per il network internazionale in solidarietà con la Palestina che mi sembrano tutti suggerimenti per le attività delle singole associazioni, anche piccole come la nostra: fermare l’accordo Ue-Israele; fermare l’assedio di Gaza; iniziativa internazionale per proteggere i prigionieri; estendere il movimento del boicottaggio (BDS); servizio civile di pace (visite sul campo, protezione dei civili); comunicazione, advocacy e lobby; ricerca; iniziativa legale e Tribunale Russell; campagna contro il commercio delle armi; promozione di gemellaggi fra città e villaggi, università, campi profughi; training alla nonviolenza; ricerca di fondi per lo sviluppo.
La limitatezza del tempo a disposizione non permette l’approfondimento di ciascuna tematica; comunque il documento finale della conferenza raccoglie fedelmente i risultati di questo lavoro.

Dopo i worshop gli attivisti partono per le diverse escursioni sul campo in diverse regioni della Cisgiordania.
Carla fornisce un report sulla regione di Qalquilia e Tulkarem.

Il terzo giorno vede la conclusione della conferenza con la dichiarazione finale e la manifestazione. Il testo della dichiarazione finale e un report sulla manifestazione sono stati messi a disposizione dei Berretti Bianchi nei giorni scorsi, dunque non li ripeto.

Pia

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