Alle Ong della Piattaforma Medio Oriente dell’Associazione Ong Italiane
Alle organizzazioni del coordinamento “Interventi Civili di Pace”
Alle associazioni e soggetti che si riconoscono nel movimento per la pace
Il Comitato Nazionale di Un ponte per…


Roma 20 novembre 2008
Cari amici, care amiche,
seguiamo con attenzione il processo avviato dalla piattaforma medio oriente dell’AOI con la Ambasciata italiana a Beirut e il Cimic delle forze italiane in Unifil a proposito di possibili collaborazioni civile-militare .
E lo seguiamo con una punta di preoccupazione.
Restiamo del parere che non sia auspicabile lo sviluppo di una collaborazione sia strategica che operativa tra Ong e contingenti militari, e che le funzioni debbano restare nettamente distinte e manteniamo una contrarietà a che contingenti armati, qualunque sia la loro missione ed il giudizio che se ne da, operino nel campo umanitario e della cooperazione che dovrebbe essere riservato unicamente alle componenti civili dello Stato e alle forme organizzate della società civile.
Per la portata generale del processo libanese non riteniamo che sia sufficiente per la nostra organizzazione limitarsi a non partecipare al processo. Per questo vi invitiamo ad un dibattito franco, aperto ed allargato.
Vi sottoponiamo a tal proposito alcuni spunti di discussione, confidando nella volontà di tutti i soggetti a non procedere in maniera sbrigativa su un tema delicato che riteniamo investa il futuro della cooperazione, e nella speranza che si trovino forme e momenti per estendere ed approfondire tale dibattito che continuiamo a ritenere un momento di crescita e di confronto all’interno del movimento associativo italiano ed internazionale.
1. Ambito del dibattito
Questo processo, almeno nelle intenzioni della parte militare, intende verificare un modello riproponibile in altri contesti in una sorta di sperimentazione. Le conclusioni del processo libanese avranno quindi conseguenze generali e di lungo periodo. Ci sembra che, per questo, il dibattito non debba essere limitato alle organizzazioni operanti in Libano, ma debba necessariamente allargarsi a tutte le Ong, alle altre associazioni della società civile che operano in contesti esteri e più in generale al movimento per la pace italiano.
2. La questione generale della neutralità e della sicurezza degli operatori
La confusione tra intervento militare ed intervento umanitario avviata con la guerra alla Yugoslavia e proseguita, tra l’altro, con i PRT in Iraq e in Afganistan ha già provocato una “erosione della separazione tra lo spazio umanitario e lo spazio militare” determinando la compromissione del rapporto fiduciario con le popolazioni locali e la conseguente generale riduzione della sicurezza degli operatori umanitari in tutti i contesti nel mondo. L’avvio di interventi congiunti civile-militare in Libano potrebbe contribuire a questo processo negativo.
3. Incompatibilità di fondo
Permane a nostro avviso una incompatibilità di fondo tra l’azione umanitaria e di cooperazione allo sviluppo agita dalla società civile e gli interventi denominati Cimic. E’ la incompatibilità tra il principio “L’imperativo umanitario ha priorità assoluta” e i principi strategici del Cimic sintetizzati nella “Mission primacy” . Qualsiasi intervento congiunto, anche per evidenti disparità di peso, rischia di essere subordinato alle priorità della missione militare.
5. Il mandato di Unifil
Unifil non ha nel suo mandato né l’assistenza alla popolazione, né la ricostruzione del paese. Le operazioni in questi campi messe in atto da Unifil sono quindi strettamente finalizzate alla realizzazione degli obiettivi militari coerentemente con quanto previsto dalla dottrina e dal quadro di riferimento operativo e strategico del Cimic.
4. La specificità libanese
Il fatto che si dia un giudizio positivo sull’operato di Unifil sino ad oggi non modifica queste riflessioni. Il Libano è in una situazione di estrema instabilità e sono in corso pressioni per la modifica, in senso non neutrale, del mandato di Unifil. Un cambiamento di contenuto e un possibile futuro diverso ruolo, o percezione del ruolo da parte della popolazione, del contingente potrebbe causare difficoltà non unicamente alle organizzazioni che hanno collaborato con Unifil.
5. La specificità libanese 2
Inoltre, la stessa specificità libanese ci impone assoluta cautela rispetto a pratiche in grado di rafforzare la percezione della popolazione locale che vede gli aiuti ed i programmi di cooperazione fortemente subordinati alle agende politiche dei governi coinvolti. Occorre rafforzare tutte quelle misure che vanno invece nella direzione di riaffermare l’indipendenza delle organizzazioni non governative impegnate nel difficile lavoro nel paese
6. Momento politico 1
Assistiamo ad un processo innescato dall’attuale Governo di rivalutazione dello strumento militare e di tendenziale espansione degli ambiti di suo utilizzo. Pensiamo ad esempio al dispiegamento dell’esercito in funzioni di ordine pubblico in alcune zone del paese o all’enfasi con cui si è celebrato il IV novembre. Espansione che già si è avviata negli anni precedenti passando dalla costituzionale difesa della patria alla partecipazione ad imprese belliche, persino non autorizzate dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Non ci sembra questo il momento più propizio per avviare una collaborazione.
7. Momento politico 2
Siamo di fronte ad un processo di forte riduzione dell’impegno italiano negli aiuti allo sviluppo con il taglio già operato dei fondi per la cooperazione allo sviluppo annunciato almeno pari al 23% . Temiamo che si vada nella direzione di tendenziale sostituzione dei fondi della DGCS con altri fondi, nella direzione dello svuotamento della stessa. Va in questa direzione la messa a disposizione delle Ong presenti in Libano di fondi direttamente gestiti dal contingente militare. Si dovrebbe rivendicare che tali fondi siano invece stornati alla DGCS.
8. Contraddizione con le istanze del movimento
Il movimento per la pace in occasione dell’invio del contingente italiano in Libano, che peraltro in molti hanno approvato e noi fra questi, ha però avviato nel contempo una riflessione sostenendo la necessità della formazione di corpi civili di pace da impiegarsi in missioni internazionali di peace keeping al posto dei contingenti armati e chiedendo che almeno in via transitoria le mansioni che non necessitino della eventualità dell’uso della forza siano svolte da una componente civile della missione e non dai militari. Tale processo si era concretizzato nella passata legislatura nella istituzione di un tavolo di consultazione sui corpi civili di pace presso il Ministero degli Affari Esteri e nella stesura di una “riflessione preliminare” .

Ribadiamo che questi elementi di riflessione non hanno nulla a che vedere con una ostilità ad Unifil, il cui operato, sino ad ora, non pone motivo di contestazione e la cui presenza riteniamo, salvo che non si modifichi il mandato o la sua interpretazione, tuttora utile al fine di salvaguardare l’incolumità delle martoriate popolazioni civili viventi nella zone interessate dai conflitti. Riteniamo solo che Unifil debba attenersi al suo mandato lasciando ai civili interventi che non gli competono.
Tutto ciò non nega infine la possibilità né di contatti e di confronto con il contingente, né di scambio di informazioni reciproche quando queste non abbiano valore strategico, né di coltivare buone relazioni e stima reciproca, quando sia il caso.

Con stima

Il Comitato Nazionale di Un ponte per…

Roma 20 novembre 2008

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