Nonviolenza. Femminile Plurale Numero 281 dell'8 ottobre 2009
Cina, la Cultura e la Politica
di Edoarda Masi

[Dal quotidiano "Il manifesto" del primo ottobre 2009 col titolo "Cina,
sessanta e non solo. La lunga marcia della cultura" e il sommario "1949,
anno fatidico, raccontato da due film. L'epopea patriottica e multistar
'Fondazione di una Repubblica', che riempie le sale cinesi mettendo in scena la nazione. 'This life of mine', girato 60 anni fa, grande parabola senza
happy end"]


L'attenzione alla Cina e' tradizionalmente rivolta ai fatti economici. In
Cina insistono a non trascurare il fatto culturale. Mi e' arrivato un libro
d'una giovane scrittrice cinese su Confucio, un best seller di dieci milioni
di copie in tutto il mondo. Riecco Confucio e il confucianesimo che
rischiano d'apparire in una forma pseudomoderna. Indipendentemente
dall'importanza di Confucio, nella Cina moderna, dal XX secolo in poi, ogni
volta che l'orientamento politico gira a destra si tira fuori Confucio come
simbolo del conservatorismo.
Ho riletto un saggio di Lu Xun, "Lo studio dei classici del XIV anno", sul
periodo del dominio dei Koumintang negli anni Venti quando venne riproposto
lo studio del confucianesimo, un po' ai margini dalla rivoluzione culturale
promossa nel 1919 dal Movimento del 4 maggio. Fuori dall'uso distorto di
Confucio, tutto questo vuol dire che i cinesi si confermano tra i pochi
sensibili alla cultura e che ancora pensano alle centralita' della cultura e
e della cultura politica.
La Cina esprime questa ferita non sanata. Quella del peso della cultura che,
giustamente nell'epoca moderna, da Marx, ha visto sempre "primeggiare"
l'economia. Essa e' essenziale, ma affrontare la base economica dei problemi
della societa' non e' sufficiente a cancellare il peso del potere culturale.
Era molto chiaro a Mao Tze Tung e a una parte dei cinesi, quelli che hanno
promosso la Rivoluzione culturale anche grazie a una forma specifica che il
potere ha preso nella storia della Cina, che e' stato sempre - anche nella
Repubblica popolare socialista - un potere culturale. Il vero potere
centrale era un potere culturale, determinato fin dall'eta' dell'epoca Han
da alleanze fra l'imperatore e la classe colta.
Diversamente dall'Europa, dove il potere della chiesa cattolica e' in parte
diventato erede dell'impero romano e quindi ha unito l'eredita' del
cristianesimo, l'eredita' religiosa con l'eredita' politica. Fino alla fine
del Medioevo il potere culturale si mascherava in modo equivoco da potere
religioso. I "chierici" erano i religiosi ma erano anche i colti. Una
sovrapposizione evidente nel Medioevo. Sovrapposizione che in Cina non
c'era, la classe colta era laica, era quella al potere.
Nel Manifesto del partito comunista leggiamo una specie di inno al capitale
perche' ha mostrato la realta' che veniva nascosta dietro i "variopinti
legami" che invece si intrecciavano prima nel mondo pre-capitalista. Ma quei
variopinti legami non sono una falsita', non sono semplicemente ideologia
rispetto al potere economico. Che resta centrale, ma i rapporti di
produzione mostrano la divisione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale,
tra chi esegue e chi pensa, tra chi guida l'agire degli altri e il tempo di
lavoro dei nuovi schiavi, gli immigrati. C'e' ormai una specie di
schizofrenia nella societa' che utilizza ancora oggi una parte della
popolazione che pensa e una parte della popolazione che esegue. E' vero che
apparentemente questo e' negato, le democrazie danno l'illusione che tutti
siano uguali. Ma quando nell'esperienza diretta "fai l'inchiesta", quella
che Mao Tze Tung diceva obbligatoria se si vuole avere il diritto di parola,
l'inchiesta anche sulla tua stessa vita, scopri che questa uguaglianza e'
fittizia, che trova la sua vera negazione non solo e non tanto sulla
differenza economica, ma su una differenza piu' profonda. Tra chi e' capace
di pensare razionalmente, di giudicare con un potere culturale che puo'
leggere in tante lingue, e chi semplicemente cerca di eseguire. Riecco
Confucio che funziona bene - da buon conservatore ma rivoluzionario: "Il
popolo va dove il vento lo piega".
Nella Cina attuale il conflitto tra economia e cultura resta aperto. Non
funziona e non basta piu', se mai e' bastata, la parola d'ordine denghista
"Arricchirsi e' glorioso" - il nuovo romanzo di Yu Hua Xiong Ti (Fratelli),
racconta proprio di questo. Rappresenta l'epopea del venditore di stracci
che diventa stramiliardario, "venditore di stracci" senza conoscenza e
cultura. In Cina e' stata proprio l'epoca paradossale dell'arricchirsi puro,
fuori e contro gli altri. Mentre da noi, in un primo periodo, i grandi
borghesi erano anche persone colte. Non piu' oggi, come dimostra Berlusconi.
Invece adesso in Cina e' cosi', c'e' l'arricchimento puro senza pensiero.
Che resta solo ai burocrati.
Quel che appare evidente in Cina e' una diffusa alienazione da
diseguaglianza. La diseguaglianza e' totale. Ma resta wen, la cultura, che
e' cultura politica. Oggettivamente gli unici grandi politici nel mondo sono
i cinesi. Fanno la politica. C'e' anche Obama che tenta di farla, ma e'
troppo condizionato da quello che c'e' a casa sua. Mentre in Cina si fa la
grande politica, proprio quello che distingue, ritornando ancora a Confucio,
perche' "funziona bene". Cosi' dopo 60 anni e' ancora centrale la battaglia
sulla cultura. Con le sue domande inevase. Quale modello produttivo e di
societa', ora che si apre una crisi del sistema occidentale, insieme alle
vistose diseguaglianze interne? Perche' non ha funzionato in Cina la
rivoluzione culturale - che non era miserabilismo? Perche' l'idea
assolutamente anarchica di Mao Tze Tung di dare al popolo la scelta dei
contenuti della liberta', non ha visto il popolo capace d'assumere il
proprio destino? Perche' qui da noi c'e' la pseudodemocrazia, a partire
dagli Stati Uniti dove tutti sembrano uguali e non sono uguali per niente?
E' un messaggio che viene da lontano. Mao sapeva che la grande vittoria
della rivoluzione contadina, che doveva essere la liberazione dei contadini,
aveva portato la Cina alle soglie del capitalismo, alle soglie di un grande
sviluppo economico che pero' non dava per niente a questo popolo che aveva
fatto la rivoluzione la possibilita' di autogovernarsi. E quindi non era
sufficiente dire: i produttori gestiscano il capitale. Non e' vero, non
possono gestirlo, non hanno la cultura. Non basta fare la rivoluzione
economica. Questo valeva in questi lunghi sessanta anni per la Cina e vale
soprattutto per noi.