Tratto da Gramsci Oggi Rivista on line, numero zero settembre 2009

1949 : Nasce La Repubblica Popolare Cinese.
2009 : La Cina è il Nuovo Centro del Mondo.
di Sergio Ricaldone


Il 1949 è stato un anno cruciale della storia contemporanea.
Il 4 aprile, con la firma a Washington del Trattato Nord Atlantico (Nato), l’Occidente mette a punto
la sua poderosa macchina militare anticomunista. La guerra fredda contro l’URSS supera la soglia
del conflitto ideologico e la Nato mostra al suo mortale nemico i suoi denti al plutonio. Le bellicose
intenzioni di fermare con qualsiasi mezzo, inclusa la bomba atomica, l’espansione delle
idee comuniste e dei movimenti di liberazione antimperialisti erano già state annunciate dai kilotoni
che quattro anni prima avevano incenerito Hiroshima e Nagasaki.
Dopo avere imbottito i propri servizi segreti e quelli dei paesi alleati con migliaia di gaglioffi nazisti
riciclati, l’imperialismo americano sta velocemente scivolando nel maccartismo. I fascisti al potere
in Portogallo e Turchia diventano membri a pieno titolo della Nato. Nella Spagna di Francisco
Franco si tengono manovre militari congiunte con gli Stati Uniti. Col dito sul grilletto il Pentagono
scruta quel che succede a Berlino e lungo la frontiera dell’Elba, oltre la cosiddetta “cortina di ferro”.
Il nemico storico per antonomasia sta a Mosca ed è guidato da Giuseppe Stalin, il più popolare
tra i vincitori della seconda guerra mondiale. E quel che è peggio ecco arrivare il 14 luglio
l’annuncio che l’URSS ha sperimentato con successo il suo primo test atomico. Si dissolve così
il pesante ricatto nucleare antisovietico del dopo-Hiroshima.

La vittoria della rivoluzione cinese.
È probabile che Washington si sia distratta o
abbia sottovalutato quello che stava succedendo
alcuni fusi orari più ad oriente di Mosca (più
tardi Mac Arthur cercherà di rimediare alla distrazione
proponendo il bombardamento atomico della Cina…). È
in quel contesto internazionale che la Lunga Marcia dei
comunisti cinesi guidata da Mao, iniziata quindici anni
prima, si avvia verso il suo trionfale epilogo. Nel gennaio
l’Esercito Rosso libera Pechino e in aprile, in singolare
coincidenza con il Congresso Mondiale dei Partigiani
della Pace, anche Nanchino, capitale del regime nazionalista,
viene liberata dall’Esercito rosso. Infine , con
la caduta del’ultima roccaforte, Chunking, il regime nazionalista
di Ciang collassa e il poco che rimane si rifugia
sull’isola di Formosa scortato dalla IV flotta americana.
Il primo ottobre dello stesso anno, con la proclamazione
della Repubblica Popolare, viene sanzionata la
vittoria della terza grande rivoluzione che ha segnato e
cambiato il corso della storia mondiale moderna dopo
quella francese del 1789 e dopo quella russa del 1917.
Gli anni della Lunga marcia
Dopo 15 anni la Lunga Marcia è conclusa. Il lungo cammino
dei centomila partigiani cinesi guidati da Mao per
sottrarsi alla feroce repressione dei nazionalisti di Ciang
Kai-shek era iniziato il 16 ottobre 1934 da Ruijin. Dopo
undicimila km. percorsi superando montagne e grandi
fiumi e sostenendo durissimi scontri armati, il 19 ottobre
1935 raggiungono Yanan e qui i soppravissuti si fermano.
Sono rimasti solo in ottomila ed è l’inizio di una
lunga epopea. Si preparano politicamente e si formano
militarmente per poter affrontare una “guerra popolare di
lunga durata”. Ma da quel pugno di uomini d’acciaio,
“flessibili come il bambù”, nasce un esercito di operai e
contadini sempre più grande che nello spazio di 15 anni
saprà compiere imprese sbalorditive : prima resistendo
ai ripetuti tentativi militari di annientamento del Kuomintang,
poi nella dura lotta contro l’occupazione giapponese
(magistralmente evocata da Katharine Hepburn nel
vecchio film “La stirpe del drago”), e infine, terminata la
seconda guerra mondiale, travolgendo e sconfiggendo
per l’ultima volta i nazionalisti di Ciang sostenuti dagli
americani.

Americani e giapponesi sostengono il Kuomintang
contro l’Esercito Rosso
Per dissipare ogni dubbio sul sostegno offerto dall’imperialismo
americano al loro alleato Ciang Kai-shek ricordiamo
che fin dal giorno stesso della capitolazione del
Giappone gli Stati Uniti agirono freneticamente per sottrarre
al popolo cinese i frutti della vittoria. Lo racconta
nel suo libro, “Breve storia della Cina moderna” edito da
Feltrinelli nel 1956, il giornalista inglese della Reuter,
Israel Epstein, un testimone oculare che ha trascorso
quasi tutta la sua vita in Cina, sia nelle zone controllate
dal Kuomintang che in quelle liberate: “Il primo passo fu
l’ordine del generale Mac Arthur all’esercito giapponese
in Cina di non arrendersi alle forze popolari, seguito dalle
precise istruzioni di Ciang Kai-shek al generale Okamura,
comandante in capo del nemico, di resistere alle
forze comuniste.”. Significava che gli aggressori giapponesi
avrebbero continuato a conservare le proprie armi e
mantenuto il controllo delle grandi città della Cina settentrionale
e centrale fino all’arrivo delle truppe americane
che, nel frattempo, dai sessantamila soldati impiegati nel
periodo cruciale della guerra contro il Giappone, quelli
sbarcati in Cina a sostegno del Kuomintang furono aumentati
fino a centoquarantatremila. Ma non era più il
1919 o il 1939. I rapporti di forza tra imperialismo e movimenti
rivoluzionari erano cambiati, sopratutto in Cina.
E Mao lo ricorda senza ambiguità: “…Se l’Unione Sovietica
non fosse esistita, se non ci fosse stata la vittoria sul
fascismo nella seconda guerra mondiale, se l’imperialismo
giapponese non fosse stato sconfitto, se non fossero
sorte le democrazie popolari, se le nazioni oppresse
dell’Oriente non fossero insorte, e se non ci fosse stata
la lotta tra le masse di popolo e i dirigenti reazionari degli
Stati Uniti, dell’Inghilterra, della Francia, dell’Italia, del
Giappone e di altri paesi capitalisti, se tutti questi fattori
non si fossero combinati, le forze reazionarie internazionali
che si gettavano su di noi sarebbero state incomparabilmente
più forti di quello che non siano ora. Avremmo
potuto vincere in tali circostanze? Evidentemente
no.” (1).
Una massa sempre più grande di popolo si stava raccogliendo
intorno al partito comunista ormai pienamente
maturo, il cui prestigio cresceva senza interruzione intorno
al vittorioso esercito popolare. Politicamente e militarmente,
come fu tristemente ammesso da una relazione
militare americana riassunta nel “Libro bianco sulla
Cina” del Dipartimento di Stato, le truppe del Kuomintang
finirono per trovarsi “in una posizione non dissimile
da quella dei giapponesi durante la loro guerra contro la
Cina”.

Il peso geopolitico del gigante Cina
Per le sue dimensioni geopolitiche ( già nel 1949 la Cina
contava con i suoi 600 milioni di abitanti, un quarto della
popolazione del pianeta) e la poderosa spinta antimperialista
proiettata sui popoli del Terzo Mondo la vittoria
della rivoluzione cinese è stato un punto saliente della
storia contemporanea. Qualunque sia il giudizio su Mao
– errori politici inclusi – difficile per chiunque negare l’entità
storica dei suoi risultati : ha sconfitto l’accoppiata
Kuomintang/imperialismo americano, ha inflitto durissime
lezioni all’impero del Sol Levante, ha ricomposto l’unità
della nazione e reso la Cina indipendente e sovrana
realizzando quello che l’imperatore Qin, più volte citato
da Mao, aveva compiuto 22 secoli prima (2).
Il potenziale innovativo dei comunisti cinesi
Un dettaglio che molti trascurano, osservando la Cina di
oggi, è lo stretto, inscindibile rapporto esistente tra la
natura comunista del potere politico e i ritmi sempre più
incalzanti del suo sviluppo economico. Pur segnata –
come ogni sfida rivoluzionaria – da passi avanti e passi
indietro e da una dialettica interna, talvolta molto acuta,
che ha imposto in certe fasi dello sviluppo economico
correzioni di linea e cambiamenti di rotta (talvolta sorprendenti),
le scelte innovative e le riforme compiute dai
comunisti cinesi mostrano una sostanziale continuità con
(Continua da pagina 7) quelle tracciate sessant’anni prima dai padri fondatori
della Repubblica popolare. Già ai tempi di Mao il PIL
cinese presentava un rispettabile livello di crescita medio
del 6,2% (3). Da quando la riforma economica di Deng
ha optato per un riedizione della NEP leninista in salsa
cinese, lo sviluppo ha raggiunto ritmi quantitativi e qualitativi
che nessun altro paese al mondo è in grado di eguagliare.
È così che, dopo 60 anni di leggende anticomuniste,
di previsioni apocalittiche e di tentativi di strangolamento,
Pechino è ora diventata il centro del mondo.
Il turista occidentale rimane sbalordito dalla selva di grattacieli
che stanno connotando l’urbanistica delle grandi
città cinesi. Le autostrade, le ferrovie, gli aeroporti offrono
un’immagine di modernità ed efficienza che è quanto
di meglio si possa vedere oggi. Fino a pochi anni fa il
confronto di città come Pechino e Shangai veniva fatto
con Nuova Delhi e Mumbai, ora viene fatto con New
York e Los Angeles ed è l’America a mostrare i segnali
della propria decadenza (4). Ma questa è solo l’immagine
esotica della Repubblica Popolare.

“Diritti umani” finti o reali?
Il bilancio della Rivoluzione cinese è di ben altro spessore
e non teme confronti proprio a partire dai tanto evocati
“diritti umani”. Il più importante di questi diritti, quello del
cibo, è stato risolto da alcuni decenni in una nazione che
prima della liberazione era devastata da micidiali carestie:
“Le razioni alimentari procapite sono più alte in Cina
che negli Stati Uniti” ricordava già 10 anni fa, il 29-
/12/1999 sulla Stampa di Torino, Neal D. Barnard. Ma
anche gli altri “diritti umani”, istruzione, lavoro, sanità,
casa, sono in espansione assai più rapida di quanto lo
siano in altri Paesi di capitalismo globalizzato. Mentre
nel resto del mondo la distanza tra ricchi e poveri è in
continua, scandalosa crescita, in Cina la tendenza è di
segno contrario: nel rapporto con i più ricchi i poveri diventano
sempre meno poveri. A fare la differenza è
ancora una volta il colore rosso del potere politico. Se è
vero che il comunismo, inteso come “sistema”, non è
ancora nato in nessun paese al mondo, Cina inclusa, il
partito politico al potere a Pechino sta dimostrando di
saper fare egregiamente il suo lavoro in questa fase di
transizione senza perdere di vista il punto d’approdo finale.
Con buona pace di coloro che si autoconsolano
all’idea che il comunismo in tutte le sue versioni sia morto
e seppellito.

Come evolve la competizione Cina – USA.
Senza tediare chi legge con cifre e statistiche rintracciabili
ovunque (persino nei santuari del capitalismo globale,
BM e FMI) ci limitiamo a ricordare ciò che scrivono
oggi certi sostenitori della bizzarra tesi che il comunismo
sia defunto, ora che la Cina, col mondo in piena crisi
recessiva, è più che mai la locomotiva trainante dell’economia
mondiale: “Obama studia il modello cinese (…)
La Cina è l’unica grande economia mondiale che può
vantarsi di avere evitato il contagio della recessione (…)
A fine anno il suo PIL aumenterà del 7,9%. Un exploit
che sembrava impossibile. (…) Questa divaricazione
(con l’Occidente) si spiega con la diversa natura del si-
stema cinese. Economia mista con tanto mercato e tanto
Stato. (…) Nella gara sulla modernità delle infrastrutture,
è l’America che arranca con anni di ritardo dietro la Cina”
(5). Da un quadro del genere risulta chiaro su quale
terreno Cina e Stati Uniti si affrontino nella sempre più
serrata competizione economica-finanziaria, politica e
militare. Per gli Stati Uniti d’America la coppia capitale
finanziario-cannoniere rimane l’inseparabile opzione di
sempre e poggia su un bilancio militare di oltre 600 miliardi
di dollari, su centinaia di basi militari sparse su
gran parte del pianeta e sui B52 sempre pronti al decollo
per esportare ovunque la “democrazia” modello Bagdad
e Kabul. Si chiamava e si chiama imperialismo. La Cina,
viceversa, pur non rinunciando con mezzi adeguati alla
sua difesa, si afferma invece, sui mercati e in politica
estera, utilizzando un ben altro “arsenale”, quello finanziario
e industriale. Nessun soldato cinese ha mai
varcato le frontiere del paese. Le sue armi offensive sono:
i prezzi competitivi e gli standard tecnologici dei suoi
prodotti con cui “bombarda” e conquista i ricchi mercati
del Nord ; il libretto degli assegni con cui la Bank of China
elargisce prestiti ai paesi in via di sviluppo, con tassi
di interesse vicini allo zero ; l’esercito di tecnici e operai
che edificano modernissime infrastrutture in Africa, Asia
e America latina. A giudicare dai risultati devono essere
proprio queste le armi che fanno più paura all’imperialismo.

Note:
(1) “Storia della Cina contemporanea” a cura del collettivo dell’-
Accademia politico-militare di Tung-Pei. Editori Riuniti, 1955.
(2) “Anche i critici più severi devono riconoscere che la Lunga
Marcia diede un contributo essenziale contro l’invasione imperialista,
contro i residui feudali, per la costruzione di uno Stato
moderno nella più grande nazione del pianeta. Ebbe una grande
influenza su tutti i popoli del Terzo mondo nella decolonizzazione
del pianeta. F.Rampini, La Repuubblica, 16 ottobre 2004.
(3) Samir Amin : Il socialismo di mercato in Cina. La rivista del
manifesto, gennaio 2001.
(4) “Oggi lasciare Pechino e arrivare a New York è un po’ come
fare un salto nel passato. Parti da un aeroporto che forse è
il più bello e moderno del mondo (…) una vetrina luccicante di
modernità, pulizia, efficienza e cortesia. (…) Già a bordo del
volo Continental CO88 Pechino- New York sei subito confrontato
con i segnali fisici della decadenza americana : gli aerei sempre
più vecchi e sporchi, il servizio penoso, un’aria di trasandatezza
che contrasta con l’attenzione al consumatorepasseggero
delle compagnie asiatiche. L’arrivo avviene allo
scalo di Newark, che è pur sempre meglio del caotico JFK, eppure
anche lì il primo contatto è con il “vecchiume” dell’America
: tutto é antiquato, talvolta lercio, talaltra cade a pezzi. Se
prendi il taxi per andare in città, è il decadimento della rete stradale-
autostradale che ti colpisce rispetto alla Cina. In fatto di
infrastrutture la Cina non sta solo vincendo la gara con l’India :
per ora ha stravinto anche la sfida con l’America” F.Rampini,
La Repubblica delle donne, - Pensieri in trasloco - 29 agosto
2009.
(5) La Repubblica, F.Rampini – Obama studia il modello cinese
– 27 luglio 2009



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