L'APOCALISSE
di Benny Morris

[Dal "Corriere della sera" del 27 dicembre 2008 col titolo "L'apocalisse alle porte" e il sommario "Il commento. Iran, Hamas, Hezbollah, bomba demografica araba. Le quattro facce dell'apocalisse che minacciano lo Stato ebraico"]

Molti israeliani oggi si sentono accerchiati dai muri - e dalla storia - nel
loro Stato, nato 60 anni or sono, proprio come lo furono nel 1967, alla
vigilia della "Guerra dei sei giorni" in cui sconfissero gli eserciti di
Egitto, Giordania e Siria nel Sinai, in Cisgiordania e sulle alture di
Golan. Durante le settimane che precedettero il conflitto gli egiziani
avevano scacciato le forze di pace dell'Onu dal confine tra Sinai e Israele,
sbarrato lo Stretto di Tiran alle navi israeliane e al traffico aereo, messo
in campo cinque divisioni corazzate e di fanteria sulla frontiera di Israele
e firmato una serie di patti militari con Siria e Giordania, che
consentivano loro il dispiegamento di truppe in Cisgiordania. Le stazioni
radio e i leader politici dei Paesi arabi strombazzavano di ora in ora
l'annuncio dell'imminente trionfo: gli ebrei sarebbero stati scaraventati in
mare.
Gli israeliani, o piuttosto gli ebrei israeliani, cominciano a provare le
medesime sensazioni avvertite dai loro genitori in quei giorni apocalittici
che precedettero l'attacco dell'esercito israeliano. Oggi Israele e' uno
Stato molto piu' prospero e potente - all'epoca contava poco piu' di due
milioni di abitanti (contro i 5,5 milioni attuali), un bilancio di meno del
20% di quello odierno e nessun deterrente nucleare - eppure la stragrande
maggioranza della popolazione guarda al futuro con profonda apprensione. I
presentimenti piu' cupi scaturiscono da due fonti generali e da quattro
cause specifiche.
I problemi generali sono semplici: innanzitutto, il mondo arabo e in genere
islamico, malgrado le speranze israeliane dal 1948 a oggi, non ha mai
riconosciuto la legittimita' della creazione di Israele e continua a opporsi
alla sua esistenza, nonostante i trattati di pace firmati dai governi di
Egitto e Giordania con lo stato ebraico rispettivamente nel 1979 e nel 1994.
Secondo: mentre l'Olocausto sfuma ormai sempre di piu' in un ricordo
sbiadito e lontano e le pressioni del mondo arabo emergente e desideroso di
affermare la sua potenza si fanno incalzanti, l'opinione pubblica in
Occidente (e in democrazia, i governi non possono far altro che seguirla) si
allontana gradualmente da Israele, mentre guarda con sospetto il trattamento
riservato dallo Stato ebraico ai vicini palestinesi e ai suoi cittadini
arabi. E' indicativa la popolarita' di alcune recenti pubblicazioni assai
critiche verso Israele, come Pace non apartheid in Palestina, di Jimmy
Carter, e La lobby israeliana e la politica estera americana, di John
Mearsheimer e Stephen Walt. Solo un paio di decenni fa, tali libri avrebbero
suscitato scarso interesse.
Per entrare nello specifico, Israele deve affrontare una combinazione di
minacce, tutte ugualmente terrificanti. A est, l'Iran si affretta a
completare il programma nucleare, che secondo gli israeliani e i servizi di
spionaggio internazionali e' destinato alla produzione di armi atomiche. E
questo, abbinato alle ripetute smentite da parte del presidente iraniano
Ahmadinejad dell'esistenza dell'Olocausto (e dell'omosessualita' in Iran),
che basterebbero a provare la sua irrazionalita', e ai pubblici appelli a
distruggere lo Stato ebraico, mette sulle spine i leader politici e militari
di Israele. A nord, il movimento fondamentalista libanese di Hezbollah,
anch'esso votato alla distruzione di Israele, si e' riarmato fino ai denti
dall'estate del 2006, quando la guerra lanciata da Israele per sbarazzarsi
di quell'organizzazione non ha dato i risultati sperati. Oggi, secondo le
stime dei servizi segreti israeliani, Hezbollah dispone di un arsenale
bellico doppio rispetto al 2006, che consiste di 30-40.000 missili di
fabbricazione russa forniti da Siria e Iran, alcuni dei quali possono
raggiungere le citta' di Dimona e Tel Aviv. Se dovesse scoppiare un
conflitto tra Israele e l'Iran, o Israele e la Palestina, certamente
Hezbollah si gettera' nella mischia. A sud, Israele deve vedersela con il
movimento islamista di Hamas, che controlla la Striscia di Gaza e la cui
costituzione o statuto promette di distruggere Israele e di ricondurre ogni
centimetro quadrato della Palestina sotto il governo e la legge dell'Islam.
Oggi Hamas vanta un esercito di migliaia di uomini, uno spiegamento di molte
migliaia di missili - i razzi Qassam di fabbricazione locale e i missili
Katyusha e Grad di provenienza russa, finanziati dall'Iran e contrabbandati
attraverso tunnel dal Sinai, mentre l'Egitto chiude un occhio - la cui
gittata raggiunge le citta' di Ashkelon, Ashdod, Kiryat-Gat e i sobborghi di
Beersheba. Le ultime settimane hanno visto un martellamento giornaliero di
Qassam contro gli insediamenti israeliani di confine, provocando
disperazione, panico e fuga. L'opinione pubblica e il governo israeliano ne
hanno avuto abbastanza e l'esercito si prepara a lanciare una pesante
controffensiva nei prossimi giorni. Ma non bastera' a risolvere i problemi
sollevati da una Striscia di Gaza popolata da un milione e mezzo di
palestinesi impoveriti e disperati, governati da un regime di fanatici che
odiano Israele. E una massiccia operazione di terra da parte di Israele,
allo scopo di invadere la Striscia e distruggere le milizie di Hamas, con
ogni probabilita' si ritroverebbe impantanata prima ancora di riuscire nel
suo intento. Senza contare che, se l'offensiva dovesse andare a segno, il
nuovo dominio di Israele su Gaza, senza limiti di tempo, risulterebbe
ugualmente inaccettabile. Ma se Israele non prende una decisione, il futuro
e' carico di presagi altrettanto spaventosi. I Qassam, a differenza dei
Katyusha e dei Grad, sono armi relativamente innocue - solo una dozzina di
israeliani hanno perso la vita in questi attacchi nell'ultimo decennio - ma
si dimostrano molto efficaci nel seminare terrore e sgomento. Se aumenta il
rischio di lanci missilistici, come avverra' inevitabilmente con il
crescente arsenale di Hamas, la vita nel Sud di Israele potrebbe diventare
intollerabile.
La quarta minaccia immediata e' interna allo Stato di Israele e proviene
dalla minoranza araba. Nel corso degli ultimi due decenni, i cittadini arabi
di Israele (che ammontano a 1,3 milioni) si sono sostanzialmente
radicalizzati, rivendicando apertamente la loro identita' palestinese e
abbracciando la causa nazionale della Palestina. La maggior parte di essi
afferma di sostenere il loro popolo, anziche' il loro Stato (Israele). Molti
leader di questa comunita', approfittando delle istituzioni democratiche
israeliane, hanno appoggiato piu' o meno dichiaratamente Hezbollah nel 2006
e invocano all'unisono una qualche forma di "autonomia" e lo scioglimento
dello Stato ebraico. Non sul campo di battaglia, ma in campo demografico gli
arabi si sono gia' assicurati la vittoria: il tasso di natalita' tra gli
arabi israeliani e' tra i piu' elevati al mondo, con 4-5 figli per famiglia
(contro i 2-3 figli per famiglia tra gli ebrei). Gli esperti sono convinti
che a questo ritmo verso il 2040 o il 2050 gli arabi rappresenteranno la
maggioranza della popolazione israeliana. E nel giro di cinque-dieci anni
gli arabi (gli arabi israeliani sommati a quelli che risiedono in
Cisgiordania e nella Striscia di Gaza) formeranno la maggioranza della
popolazione in Palestina (il territorio che si estende tra il fiume Giordano
e il Mediterraneo). Ma le frizioni tra israeliani e minoranza araba
costituiscono gia' un fattore politico assai preoccupante. I leader arabi di
Israele reclamano da tempo l'autonomia e nel 2000, all'inizio della seconda
Intifada, migliaia di giovani arabi israeliani, per solidarieta' con i loro
fratelli nei territori semi-occupati, hanno scatenato disordini lungo le
principali arterie israeliane, bloccando il traffico, e nelle citta' a
popolazione mista. Gli ebrei israeliani temono che alla prossima occasione i
tumulti saranno molto peggiori e considerano la minoranza araba come una
potenziale quinta colonna.
In queste minacce specifiche, che siano a breve, medio e lungo termine, il
denominatore comune e' il fattore della sorpresa. Tra il 1948 e il 1982
Israele e' riuscito a fronteggiare senza troppe difficolta' gli eserciti
convenzionali arabi, sgominandoli in piu' occasioni. Ma la minaccia nucleare
iraniana, geograficamente distante, e il complesso dei gruppi
Hamas-Hezbollah, capaci di operare scavalcando confini internazionali e
insediandosi fin nel cuore di citta' ad alta densita' di popolazione,
sommati al crescente scontento dei cittadini arabi di Israele verso lo Stato
in cui vivono, presentano oggi un pericolo di natura completamente diversa.
Sono queste le sfide che il popolo e i politici israeliani, vincolati da
norme di comportamento liberali e democratiche di stampo occidentale,
trovano difficili da affrontare e risolvere.

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