In Israele Cresce l'Opposizione alla Guerra
di Michel Warschawski


[Dal quotidiano "Il manifesto" del 2 gennaio 2009 col titolo "Lo spettro di
un fiasco", il sommario "Barak sogna il blitzkrieg ma l'aria sta gia'
cambiando" e la nota redazionale "Michel Warschawski e' il portavoce del
Centro d'informazione alternativa a Gerusalemme, autore di
Israele-Palestina, la sfida binazionale (Edizioni Sapere 2000)"]

Bisogna dirlo e ripeterlo: quella che si svolge nella Striscia di Gaza non
e' una guerra, ma una carneficina compiuta dalla terza forza aerea al mondo
contro una popolazione indifesa.
Bisogna dirlo e ripeterlo: la carneficina di Gaza non e' una reazione
"sproporzionata" ai razzi lanciati dai militanti della Jihad Islamica e
altri gruppuscoli palestinesi sulle localita' israeliane vicine alla
Striscia di Gaza, ma un'azione premeditata e preparata da molto tempo, come
d'altronde riconosce la maggior parte dei commentatori israeliani.
Bisogna dirlo e ripeterlo: quei razzi non sono, come vogliono far credere
certi diplomatici europei, "provocazioni ingiustificabili", ma risposte,
peraltro abbastanza insignificanti, a un embargo selvaggio imposto da
Israele, da un anno e mezzo, a un milione e mezzo di residenti della
Striscia di Gaza, donne, bambini, e vecchi compresi, con la complicita'
criminale degli Stati Uniti ma anche dell'Europa.
Bisogna dirlo e ripeterlo: non assistiamo, come si cerca di spiegare a tutti
quelli che hanno la memoria corta o selettiva, a un atto di autodifesa a
lungo procrastinato di fronte a un'aggressione palestinese assolutamente
ingiustificabile. Ehud Barak lo confessa tranquillamente, sono mesi che
l'esercito israeliano si prepara a colpire "l'entita' terrorista" denominata
Gaza. Come spiegava opportunamente Richard Falk, relatore speciale dell'Onu
per i diritti umani nei territori occupati, quando si definisce "entita'
terrorista" una zona popolata da un milione e mezzo di esseri umani si entra
in una logica genocida.
L'aggressione israeliana a Gaza, come l'attacco al Libano nel 2006,
s'inscrive nella guerra globale permanente e preventiva degli strateghi
neoconservatori in forza a Tel Aviv e, per qualche mese ancora, alla Casa
Bianca. Come l'espressione indica, questa strategia e' preventiva, non ha
bisogno di pretesti immediati e tangibili: l'occidente democratico sarebbe
minacciato da un nemico globale, che prima e' stato definito "terrorismo
internazionale", poi "terrorismo islamico" per diventare infine
semplicemente l'Islam. Lo "scontro di civilta'" di Huntington non e' una
descrizione della realta' politica internazionale, ma il quadro ideologico
della strategia offensiva dei neoconservatori americani e israeliani, per
com'e' stata elaborata di comune accordo dalla seconda meta' degli anni '80.
In questa strategia di guerra, la minaccia islamica ha sostituito quello che
e' stato il pericolo comunista durante la guerra fredda: un nemico globale
che giustifica una guerra globale.
Se il bombardamento criminale di Gaza gode in Israele di un sostegno
consensuale, se la sinistra istituzionale, e in particolare il partito
Meretz, si e' unita al coro di guerra diretto da Ehud Barak, e' appunto
perche' condivide questa visione del mondo che fa dell'Islam una minaccia
esistenziale che bisogna imperativamente neutralizzare prima che sia troppo
tardi.
All'orrore per questo crimine bisogna aggiungere quello per l'abiezione
delle sue motivazioni contingenti: tra meno di due mesi si svolgeranno in
Israele le elezioni, e le vittime palestinesi sono anche argomenti
elettorali. I martiri dell'attacco israeliano su Gaza sono oggetto di una
gara mediatica tra Ehud Barak, Tzipi Livni et Ehud Olmert, fra chi sara' il
piu' determinato nella brutalita'. Il criminale di guerra che dirige il
Partito laburista, o piuttosto quel che ne resta, si vantava ieri mattina di
aver guadagnato quattro punti nei sondaggi.
Oltre al cinismo senza limiti di barattare 350 vittime palestinesi innocenti
contro qualche decina di migliaia di voti, Barak mostra, una volta di piu',
la sua miopia politica: nel crescendo di bestialita', e malgrado tutti gli
sforzi, non riuscira' mai a superare Benjamin Netanyahu, gli elettori
preferiscono sempre l'originale alla copia. Tantopiu' che il guerrafondaio
si trova oggi di fronte allo stesso problema di colui che ha trasformato la
guerra del Libano nel fiasco israeliano, un problema ben noto a tutti quelli
che hanno iniziato le guerre coloniali: come porvi termine?
"Ci fermeremo solo dopo aver finito il lavoro", egli dichiara con
l'arroganza dei capetti. Ma quando sara' finito "il lavoro"? Quando la
popolazione di Gaza e di Cisgiordania accettera' di capitolare di fronte ai
sogni coloniali dei dirigenti israeliani e limitare le sue aspirazioni
nazionali a uno "Stato palestinese" ridotto a una decina di riserve isolate
le une dalle altre e circondate da un muro?
Se tale e' il "lavoro" che Barak spera di poter realizzare, il popolo
israeliano deve allora essere pronto a una guerra che non solo sara'
estremamente lunga ma anche interminabile. E se lo Stato ebraico e' ben
attrezzato per le guerre-lampo (blitzkrieg, in tedesco), soprattutto quando
queste sono condotte dall'aviazione, entra rapidamente in crisi quando si
tratta di una prova di resistenza in cui i palestinesi, come tutti gli altri
popoli vittime dell'oppressione coloniale, sono maestri.
Questo spiega perche' meno di una settimana dopo il suo inizio, e malgrado
le dichiarazioni trionfalistiche dei politici e dei militari, l'aria in
Israele sta gia' cominciando a cambiare. Sabato scorso, qualche ora dopo il
bombardamento di Gaza, eravamo poco piu' di mille persone a manifestare,
spontaneamente, la nostra rabbia e la nostra vergogna. Ma saremo molti di
piu' il prossimo sabato sera a esigere sanzioni internazionali contro
Israele, a esigere che Ehud Barak e soci siano tradotti davanti a una corte
di giustizia internazionale. Ne sono convinto.

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