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20/10/2009
La parola ad Ankara
di Antonio Marafioti


Dopo lo storico passaggio della frontiera di Habur da parte degli otto militanti del Partito dei lavoratori del Kurdistan, tocca al governo Erdogan dare risposte sul processo di pace

Nelle richieste portate sottobraccio dai trenta militanti del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) durante il loro storico passaggio della frontiera di Habur non c’è nulla che vada oltre, in forma e contenuto, a ciò che il governo di Ankara dovrebbe riconoscere come diritti inalienabili dell’uomo in quanto nazione predisposta ad una politica filoccidentale. Con la lettera consegnata al giudice, all’avvocato e ai cinque pubblici ministeri che li attendevano al di la delle montagne dell’Iraq, il “gruppo di pace” ideato da Abdullah “Apo” Ocalan, leader supremo del Pkk, ha chiesto solo il rispetto della proprie tradizioni, della propria lingua, dell’uguaglianza fra turchi e curdi e dell’identità di popolo nei futuri processi di pace e democratizzazione nella regione. Un passo dovuto per Ankara sia in vista di una pace promessa, e attesa oltre vent’anni, sia in vista del desiderio, mai celato, di entrare a far parte dell’Europa.

Un gesto importate. Dall’altra parte della cortina il primo gesto simbolico è stato compiuto: i ribelli del Pkk hanno consegnato le armi e si sono detti pronti alla collaborazione con le istituzioni turche. Gli otto combattenti, quattro donne e quatto uomini, si sono uniti ai 24 profughi provenienti dal campo profughi di Makhmur. Tra questi, immediatamente rilasciati dalle autorità di polizia turche dopo il riconoscimento, vi erano anche quattro bambini e nove donne. Gli otto ex miliziani invece sono stati interrogati dagli inquirenti dopo una visita medica che ne ha accertato le condizioni di salute. Anch’essi sono stati successivamente liberati seppure dovranno affrontare un processo per appartenenza a un’organizzazione fuorilegge. Sembrerebbe tuttavia che, in accordo allo spirito di dialogo fra le parti, gli otto potrebbero scontare pene lievi se non addirittura ricevere una sorte di amnistia da parte dei magistrati. Mehmet Emin Aktar, capo della Diyarbak&Mac245;r Bar Association, ha sostenuto che sarà necessario dichiarare di essersi presentati in giudizio “di propria spontanea volontà” per non far scattare l’applicazione dell’articolo 221 del codice penale turco nota come “legge del pentimento attivo” e che prevede punizioni lievi per i membri del Pkk che si arrendono e forniscono informazioni utili sull’organizzazione alla quale appartengono”.
Il trattamento di questi ex-militanti da parte della Turchia costituirà il primo banco di prova per le future adesioni al processo di pace degli altri guerriglieri rimasti nascosti nell’Iraq del Nord.

Ancora qualche ostacolo da superare. Una questione sostanziale e una formale sembrano ancora frenare gli accordi di pace. La prima è l’accettazione da parte del governo guidato da Recep Tayyip Erdogan di una trattativa sulla road map di Apo Ocalan, condannato all’ergastolo e detenuto dal 1999 nel carcere isolano di Imrali. Il Pkk ha sempre lamentato il fatto che il programma del proprio leader non fosse mai stato preso in considerazione o pubblicato affinché l’opinione pubblica si facesse un’idea di ciò che il Partito chiede ad Ankara. La seconda questione è la ferma condanna dell’opposizione nazionalista (Partito del Movimento Nazionalista - MHP) e di sinistra (Partito Repubblicano del Popolo - CHP) ad un processo di distensione che prescinda dalla completa sconfitta del terrorismo, prima, e dalla totale resa del Pkk alle autorità turche, poi. Male si coniuga tale presa di posizione con le richieste dei parlamentari curdi riuniti nel Partito per la società democratica (DTP). Secondo Ahmet Turl, loro segretario nazionale, il governo dovrebbe trattare la controparte come attore fondamentale nel processo di democraticizzazione del paese e non nei termini di un avversario che “si arrende” o di un nemico che “è stato liquidato”.

Questione di bilanciamento. Questione di misure e lungimiranza politica. Se Erdogan e i suoi dimostreranno di poter varcare anche loro il confine tra i monti dell’odio e la terra del dialogo probabilmente la Turchia otterrà la pace desiderata e l’ingresso a Bruxelles. In caso contrario sarà difficile convincere per i decenni futuri un solo guerrigliero delle altre migliaia rimaste nel nord Iraq a tendere per primo la mano all’eterno rivale.

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