L'Autorità Palestinese va sciolta
di Omar Barghouti
Omar Barghouti è uno dei membri fondatori del movimento BDS (www.BDSmovement.net)

Testo inglese in http://www.counterpunch.org/barghouti10052009.html - tradotto da Francesco Francisci
http://rete-eco.it
Lunedì 09 Novembre 2009 22:22



La società civile palestinese ha condannato con forza e, pressochè unanimemente, la decisione della AP di ritardare l’adozione, da parte del Consiglio per i diritti umani dell’ONU, del rapporto preparato dalla apposita missione ONU guidata dal magistrato Richard Goldstone sulla recente aggressione militare israeliana “Piombo fuso” nel primo 2009, al popolo palestinese della striscia di Gaza occupata dall’esercito israeliano. Una richiesta comune a tutte le dichiarazioni di fonti palestinesi fatte in proposito, è che l’ONU adotti il rapporto e ne metta in atto le raccomandazioni senza ritardo ingiustificato, così da porre fine alla criminale impunità di Israele, e dunque lo dichiari responsabile a norma del diritto internazionale, tanto dei crimini di guerra che dei crimini contro l’umanità , che ha commesso a Gaza come ovunque nei territori palestinesi che occupa.

Il presidente dalla AP, soccombendo sotto le pressioni degli Stati Uniti e gli sfrenati ricatti israeliani, si è, a quel che si dice, personalmente assunto la responsabilità di decidere di ritardare la discussione del rapporto Goldstone in seno al Consiglio ONU per i diritti umani, e ha dunque cancellato le speranze di tutti i palestinesi, delle organizzazioni internazionali che lavorano sui diritti civili, dei movimenti di solidarietà , di porre fine alla troppo lunga condizione di sovralegalità di Israele, e di rendere finalmente una qualche giustizia alle sue vittime. La decisione della AP di ritardare l’adozione del rapporto Goldstone almeno fino al marzo 2010, offre a Israele un’occasione d’oro per seppellirlo con la complicità statunitense, europea, araba - e ora anche palestinese, mentre è il più sfacciato tradimento dei diritti dei palestinesi da parte della AP, oltre che una resa davanti ai diktat israeliani.
Non è poi la prima volta che la AP ha agito contro gli interessi espressi del popolo palestinese, piegandosi agli ordini di Washington e alle minacce di Tel Aviv. Lo storico e peraltro solo consultivo parere della Corte internazionale di giustizia del luglio 2004, ha definito illegali tanto il muro che le colonie realizzati nei territori palestinesi occupati, e ha offerto una rara occasione diplomatica, politica, giurisdizionale, per isolare Israele così come, con la analoga decisione della Corte del 1971, era stato possibile isolare il Sudafrica dell’apartheid a seguito della sua occupazione della Namibia.
Purtroppo la AP ha sprecato l’occasione, e ha sistematicamente mancato - in effetti in modo sospetto - di appellarsi ai governi perchè questi si attenessero alle obbligazioni specificate dal parere della corte. L’intera clausola su Israele e i diritti dei palestinesi che doveva essere discussa alla recente conferenza a Ginevra della cosiddetta Durban Review dell’ONU, è stata esclusa con il benestare del rappresentante palestinese. E’ stato in gran parte grazie all’ambasciatore palestinese all’ONU, se sono stati vanificati gli sforzi per far avanzare una risoluzione Onu di condanna dei crimini di guerra israeliani a Gaza e per l’insediamento di un tribunale internazionale, sostenuti dagli stati non-allineati e dall’ex presidente dell’Assemblea Generale ONU, Padre Miguel D’Escoto Brockmann, tanto che importanti diplomatici e esperti di diritto internazionale, si sono chiesti quale parte sostenesse effettivamente il rappresentante ufficiale della Palestina.
Lo scorso settembre il Brasile è quasi arrivato a ratificare l’Accordo di libero mercato [FTA -ndt] Mercosur-Israele, dopo l’approvazione del locale ambasciatore palestinese, che si è limitato a richiedere che il Brasile escludesse dall’accordo le merci prodotte nelle colonie israeliane in Palestina. La pronta reazione delle NGO palestinesi e brasiliane, poi seguita dal Comitato esecutivo della Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP), ha impedito questa ratifica e ha consentito che la competente commissione del governo brasiliano facesse una raccomandazione al governo di non approvare fintanto che Israele non si conformi al diritto internazionale.
In tutti questi casi e in molti altri analoghi, le istruzioni ai rappresentanti palestinesi provenivano da Ramallah, luogo dove il governo della AP si è illegalmente impossessato delle funzioni OLP di guida della diplomazia palestinese e di decisore della politica estera, abbandonando i diritti dei palestinesi e agendo contro gli interessi nazionali dei palestinesi, senza curarsi delle responsabilità davanti a qualsiasi rappresentante eletto dal popolo palestinese.
L’ultima, sfacciata collusione della AP con la campagna israeliana per nascondere i crimini e vanificare l’applicazione del diritto internazionale verso questi crimini, ha seguito di pochi giorni il ricatto che il governo israeliano di estrema destra ha apertamente posto alla AP: ritirare l’appoggio all’adozione del rapporto Goldstone in cambio della autorizzazione di un secondo gestore della telefonia mobile dei territori palestinesi occupati.
Si tratta dunque di sabotare i grandi sforzi che le organizzazioni per i diritti umani e molti attivisti stanno portando avanti perchè sia portata giustizia alle vittime dell’ultimo massacro compiuto a Gaza dagli israeliani: oltre 1400 uccisi (per lo più civili); migliaia di feriti; un milione e mezzo di persone ancora sofferenti per la distruzione immotivata di infrastrutture, istituzioni per l’istruzione e la sanità , fabbriche, campi agricoli, centrali elettriche e altre strutture critiche; e per il lungo criminale assedio israeliano contro queste persone.
Non è altro che il tradimento della concretissima campagna per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS), che la società civile palestinese, proprio recentemente sta facendo crescere contro Israele, guadagnando consensi tra le principali organizzazioni occidentali, sindacati inclusi.
Tradisce anche quel movimento globale per la solidarietà che è per lo più nelle stesse prospettive della campagna BDS - ha lavorato instancabilmente e creativamente per porre fine all’impunità di Israele e per affermare universalmente i diritti umani.
E’ cruciale ricordare che la AP non ha alcun mandato legale o democratico per parlare a nome del popolo di Palestina o per rappresentare i palestinesi alle Nazioni Unite o in una qualsiasi delle loro agenzie o istituzioni. L’attuale governo AP non si è mai guadagnata la necessaria approvazione costituzionale del legalmente eletto Consiglio legislativo palestinese. Se possedesse questo mandato, tutt’al più potrebbe rappresentare solo i palestinesi che vivono sotto l’occupazione militare israeliana della West Bank e di Gaza, dunque senza la stragrande maggioranza del popolo palestinese, soprattutto i rifugiati.
Solo l’OLP può teoricamente rivendicare di rappresentare l’intero popolo palestinese, tanto quello della Palestina storica che gli esuli. Ma per ricevere una accettazione generale da parte di tutti i palestinesi ovunque, l’OLP avrebbe bisogno di essere rifondata dal basso verso l’alto, da un processo trasparente, democratico e includente, che coinvolga i palestinesi ovunque e che comprenda tutte le formazioni politiche oggi al di fuori delle strutture OLP. In parallelo a questa riappropriazione democratica, o meglio riconquista popolare dell’OLP fatta dal popolo con i suoi sindacati rappresentativi e le istituzioni, occorre responsabilmente e gradualmente smantellare la AP insieme ai suoi attuali centri di potere, in particolare i seggi di rappresentanza all’ONU e in altre istituzioni internazionali o di rilevanza regionale, che devono essere restituiti al reale rappresentante di tutti i palestinesi: l’OLP rivitalizzata e democratica.
Lo scioglimento della AP deve in ogni caso costantemente evitare di creare un vuoto legale e politico, proprio perchè la storia mostra che i poteri egemonici sono spesso quelli che hanno la maggior probabilità di riempirlo, a detrimento degli oppressi.
Il fatto è che dal suo insediamento 15 anni fa, la AP si è gradualmente e irreversibilmente trasformata da semplice, spesso impotente, ossequioso, costretto subcontraente, del regime di occupazione israeliano (lo solleva di quasi tutte le più scomode funzioni civili quali l’erogazione di servizi, l’esazione delle tasse, ma soprattutto coopera per proteggere l’esercito occupante e i coloni), in un collaboratore determinato, e, di fatto, nell’arma strategica più importante che Israele possiede per contrastare il suo crescente isolamento e la perdita di legittimazione sulla scena mondiale in quanto stato coloniale e di apartheid.
Le centinaia di armi nucleari possedute, e il quarto più grande esercito al mondo, sono stati impotenti o meglio irrilevanti, davanti alla crescita del movimento BDS soprattutto in seguito al genocidio in Gaza. Anche l’aiuto diplomatico, politico, economico e scientifico, che Israele riceve dagli USA e dagli stati europei, anche la sua impunità senza pari, non sono riusciti a evitargli la fine del Sudafrica dell’apartheid.
Già prima della guerra a Gaza, nel mondo, dal Canada al Sudafrica e dal Regno Unito e dalla Norvegia, fino al Brasile, moltissimi sindacati hanno aderito alla campagna BDS. Dopo Gaza e dopo quattro anni di espansione e approfondimento del movimento BDS, dopo l’orrore internazionale per gli effetti dei lanci israeliani di fosforo bianco sui bambini di Gaza rimpiattati nei rifugi ONU, e la sensazione universale del fallimento dell’ordine internazionale a tenere Israele responsabile o a fargli semplicemente cessare il massacro; per tacere dell’incessante pulizia etnica in West Bank e soprattutto in Gerusalemme Est, hanno fatto balzare la campagna BDS in una nuova fase, proiettandola finalmente nel mainstream.
A febbraio, a poche settimane dalla fine del bagno di sangue israeliano a Gaza, il sindacato sudafricano dei lavoratori dei trasporti e affini (SATAWU), è diventato famoso ovunque per aver rifiutato lo scarico di una nave israeliana nel porto di Durban.
In aprile, il congresso dei sindacati scozzesi ha tenuto conto delle Federazioni dei sindacati sudafricani (COSATU) e irlandesi, e come questi si e unito alla campagna BDS per costringere Israele a riconoscere il diritto internazionale.
In maggio, il sindacato degli accademici inglesi UCU, con 120000 iscritti, ha rinnovato il suo impegno nel boicottaggio contro Israele e ha proposto una conferenza intersindacati e BDS, da tenersi più avanti quest’anno per discutere le strategie adatte a portare avanti il boicottaggio.
Più recentemente in settembre, il fondo pensioni del governo norvegese, il terzo più grande al mondo, ha disinvestito da un appaltatore militare israeliano che fornisce attrezzature al muro, illegale secondo la Corte internazionale di giustizia.
Poco dopo, un ministro spagnolo ha escluso da una competizione la delegazione di una accademia israeliana perchè illegalmente insediata nei territori occupati. Ancora in settembre la Federazione dei sindacati britannici (BTUC) in rappresentanza di oltre 6,5 milioni di lavoratori, ha aderito al boicottaggio, un fatto che - come molti hanno notato - aveva a suo tempo segnato l’inizio della fine dell’apartheid in Sudafrica. Indizi concreti, persistenti e in aumento, suggeriscono che i palestinesi sono vicini a un loro “momento Sudafrica”.
In mezzo a tutto questo sopravviene il rapporto Goldstone, che alquanto sorprendentemente - considerati gli stretti legami del giudice con Israele e il sionismo - offre la pagliuzza che potrebbe facilmente rompere la schiena del cammello: l”evidenza irrefutabile, meticolosamente investigata e documentata, della deliberata realizzazione di crimini di guerra e contro l”umanità , da parte di Israele.
Nonostante le sue chiare lacune, questo rapporto ha posto Israele nella umiliante e niente affatto improbabile prospettiva di doversi difendere davanti a un tribunale internazionale, evento che porrebbe effettivamente fine all”impunità di Israele e che aprirebbe la possibilità di applicare finalmente la giustizia ai crimini commessi e alle persistenti violazioni del diritto internazionale.
In tale triste quadro Israele, per vanificare la disfatta giuridica e politica, ha una sola arma strategica: la AP. E in effetti l”ha gia usata in modo fatale al momento giusto, quasi uccidendo il rapporto Goldstone.
In ultima analisi, la fallita adozione del rapporto Goldstone da parte del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite, è un’altra prova, se ce ne fosse bisogno, che nel momento storico attuale i palestinesi non possono sperare di ottenere giustizia da una cosiddetta “comunità internazionale” controllata dagli USA.
Solo le campagne di boicottaggio e disinvestimento della società civile, se intensificate, sostenibili e adattate ai contesti, possono far sperare che un giorno Israele sia costretto a terminare il suo comportamento fuorilegge nonchè il suo disprezzo criminale per i diritti umani, e riconosca l’inalienabile diritto palestinese all’autodeterminazione.
Questo diritto, per come è stato espresso dalla grande maggioranza del popolo palestinese, include la fine dell’occupazione, la fine del sistema della discriminazione razziale legalizzata ed istituzionalizzata, ovvero dell’apartheid, e comprende il riconoscimento sanzionato dall’ONU, del diritto fondamentale dei profughi dalla Palestina, di tornare alle loro originarie abitazioni, obiettivo peraltro da mantenersi con tutti i rifugiati del mondo, inclusi quelli ebrei della Seconda guerra mondiale. Semplicemente noi non possiamo permetterci di cedere in sede ONU.
Le organizzazioni per i diritti umani e la società civile devono continuare a sostenere la lotta palestinese per portare l’ONU e come minimo la sua Assemblea Generale, ad adottare e applicare a tutti i livelli le raccomandazioni del rapporto Goldstone. Se l’ONU non procederà così, manderà a Israele un inequivocabile conferma dell’inscalfibilità della sua impunità e dell’apaticità della comunità internazionale quando accadranno crimini ancora più estremi contro chi è nato palestinese.
Ciò indebolirà grandemente il ruolo del diritto che verrà sostituito dalla legge della giungla, che non ripara alcuno dal caos e dal massacro sfrenato.


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