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13 febbraio, 19:18

Cisgiordania: tra foto e gas fiorisce il 'turismo della barriera'
I palestinesi chiedono attenzione, anche vestiti da Avatar
di Alessandro Logroscino e Laura Conti

BILIN (CISGIORDANIA) - Gli ultimi scatti li hanno dedicati ai dimostranti che questa settimana si sono schierati sotto i reticolati della barriera che separa la Cisgiordania palestinese da Israele agghindati, per sberleffo, come i Nàvi, i personaggi blu di Avatar hit cinematografica del momento. Sono i 'turisti dell'occupazione', viaggiatori un po' più avventurosi della media che - fra impulsi di solidarietà politica, curiosità e un tocco di presenzialismo - si vedono sempre più spesso, camere digitali al collo, sullo sfondo delle ormai abituali 'proteste anti-muro' del venerdì.

Arrivano da mezzo mondo, Italia inclusa, per fotografare e fotografarsi. O girare video amatoriali. Ci sono i turisti per caso e quelli che mostrano di volersi documentare sulla storia della controversa genesi d'una cortina che, fra recinzioni e tratti di muro in cemento armato, corre per decine e decine di chilometri lungo questa eterna linea del fronte. Cortina voluta a suo tempo dal governo di Ariel Sharon per fermare le incursioni del terrorismo kamikaze e di cui Israele - dati sul calo degli attentati alla mano - difende la necessità. Ma che la Corte internazionale dell'Onu ha definito illegale e i palestinesi avvertono come una forma d'inaccettabile punizione collettiva, quando non come "un simbolo di apartheid". Per farsene un'idea, si possono scegliere diverse mete.

Quelle più battute dai turisti occidentali sono i villaggi cisgiordani di Nabi Selech, Naalin, al-Maasara e soprattutto Bilin: centro abitato tagliato in due dallo sbarramento nel quale il 19 febbraio sarà 'celebrato' il 5/o anniversario delle proteste. Proteste che sono il frutto della "resistenza pacifica" di migliaia di palestinesi e pacifisti israeliani e internazionali, affermano i promotori dei Comitati popolari locali. La loro linea, giurano, è la non violenza. Anche se proprio a Bilin - dove in questi anni si sono avuti contusi, feriti e qualche morto - sono più frequenti i tafferugli: le sassaiole di alcuni dimostranti, l'uso di proiettili di gomma e lacrimogeni (anche ieri) delle forze di sicurezza israeliane.

I visitatori occasionali, comunque, non paiono darsene per intesi. E d'altronde le regole d'ingaggio dei soldati sembrano più caute quando fra i manifestanti è segnalata una presenza significativa di stranieri. Ideatore "in chiave anticoloniale" della protesta modello Avatar, Mohammad al-Khatib, fermato e rilasciato a più riprese dai militari israeliani, si mostra compiaciuto. Tratteggia le sue iniziative come come uno sforzo "creativo" volto a richiamare un barlume d'attenzione dal mondo. E in questo senso, dice all'ANSA, tutto fa brodo: comprese le 'strategie di marketing' che favoriscono il coinvolgimento nei "venerdì di Bilin" di semplici curiosi e persino pellegrini, accanto ad attivisti, fotoreporter o giornalisti. Secondo Khatib, la partecipazione internazionale è importante per far conoscere all'estero la sorte dei contadini che hanno perso terra e lavoro a causa del grande steccato.

Condizione che potrà cambiare per qualcuno, dopo la recente sentenza dell'Alta Corte israeliana favorevole a un gruppo di palestinesi e l'annuncio delle autorità - formalizzato giusto ieri - dell'avvio di lavori per una deviazione parziale del tracciato che attraversa Bilin. Ma che resta gravosa e senza sbocchi per molti altri. Sia come sia, e malgrado gli incidenti, il numero dei visitatori che inseriscono una tappa da queste parti continua ad aumentare. Sono persone "stanche dei soliti viaggi", spiega all'ANSA Samer Kokali, dell'agenzia turistica non-profit Alternative Tourism Group di Betlemme, che dal 1996 organizza soggiorni in Cisgiordania.

Un tour operator sui generis che, oltre alle visite ai siti religiosi e artistici, propone incontri con esponenti politici palestinesi e israeliani o con i coloni, ma anche lezioni di cucina, lingua e cultura araba. E, con le cautele del caso, assiste chi desidera fare una puntata nelle 'zone calde'. Non ci interessa il business, sostiene Kokali, ma che "la gente venga qui e veda con i suoi occhi la situazione". Al di là della sfida al pericolo o del brivido del fuggi-fuggi d'occasione.

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