Dare Corpo e Forza a Questa Utopia Concreta
di Edi Rabini

In Lotta Continua a Bolzano, all'inizio degli anni '70, avevo molto casualmente scelto di occuparmi dei Proletari in divisa. Era successo che nell'invero 1972 una slavina aveva travolto e ucciso sette alpini a Malga Villalta, nell'alta Val Venosta, nel corso di un'imprevidente esercitazione. Era gia' successo un anno prima in Val Pusteria con altri sette morti.
Questa volta pero' i loro compagni del reparto avevano deciso di denunciare cio' che era avvenuto e di mettere in luce le responsabilita' di una catena di comando che considerava senza valore la vita dei soldati. Trovarono noi e ne nacque un libricino, pubblicato e pluridenunciato, pochi mesi dopo, dal titolo "Di naja si muore". Per la prima volta ci fu un processo con la condanna del tenente che guidava il reparto a 10 mesi con la condizionale. Uguale pena - per par condicio - venne decretata ad uno di noi, malcapitato, riconosciuto da un testimone come il correttore di bozze del libro. Ancora oggi, insieme all'instancabile compagno avvocato Sandro Canestrini, i parenti delle vittime s'incontrano ad ogni anniversario.
Personalmente me la cavai con una cinquantina di denunce per attivita' sediziosa, istigazione a disobbedire alle leggi, diffamazione a mezzo stampa, che fortunatamente non ebbero seguito. Ma, quel che piu' conta, questo fu l'inizio di un sensibile miglioramento delle condizioni di vita nelle caserme, di una crescente capacita' di controllo di cio' che avveniva al loro interno, di un abbozzo di rappresentanza democratica che mutuava alla lontana cio' che era venuto nelle fabbriche e nelle scuole, di un impegno dei militari in compiti di protezione civile a partire dal terremoto in Friuli del 1976. Non so se questo tentativo di ridurre la violenza dentro un'istituzione deputata a monopolizzare la violenza, puo' essere definito "azione nonviolenta".
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Il ricordo di questa stagione di mobilitazione riformista (piu' che antimilitarista) era ormai sepolto nel profondo della memoria, quando con la Fondazione ho iniziato nel 2002 a prendere a cuore il destino di quei "corpi civili europei di pace" che Alexander Langer aveva pensato, con altri, dall'interno della guerra di aggressione che insanguinava la Bosnia e le altre regioni dell'ex-Jugoslavia, come lo strumento da costruire per una presenza organizzata del volontariato, o almeno del volontariato che si pone il problema dell'efficacia nel suo agire.
Sarebbe troppo lungo qui raccontare il percorso accidentato con il quale abbiamo tentato, dall'interno di una proficua collaborazione con la Formazione Professionale di Bolzano e con la Facolta' di scienza della Formazione di Bologna, di dare corpo e forza a questa utopia concreta, a partire dall'istituzione di un corso di qualifica professionale, poi Master, per operatori di pace e mediatori di conflitti che ora va concludendo la sesta edizione. Se ne trova traccia nel sito della Fondazione www.alexanderlanger.org
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Mi fermo solo sulla questione dal quale ero partito, cioe' del rapporto con l'istituzione militare, ineludibile se si guarda con umilta' a cio' che e' successo tra il 1992 al 1995 a Sarajevo, Tuzla, Srebrenica. E di nuovo non trattandola come un corpo separato, estraneo, condannato ad una recita passiva, ma come un'istituzione abitata da gente, interessata o meno come noi a riflettere ad alta voce in modo critico e autocritico sui compiti che e' chiamata a svolgere, con la stessa difficolta' degli anni '70 di far emergere la diversita' delle posizioni e delle soluzioni.
Mi sono stati d'aiuto in questa ricerca: il libro di un giovanissimo funzionario dell'Onu rimasto ucciso a Bagdad in un attentato nell'agosto 2003 (Jean-Selim Kanaan, La mia guerra all'indifferenza, Marco Tropea Editore), le riflessioni del professor Roberto Toscano (La violenza, le regole, Einaudi), l'amicizia maturata con un colonnello dell'esercito che ha frequentato la seconda edizione del corso per operatori di pace. L'aver infine cercato di ancorare solidamente idee e azioni ad un rapporto di reciproca cura, con credibili interlocutori di Tuzla e Srebrenica.
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Forse per questa anomalia ho avuto difficolta' a rapportarmi, almeno in Italia, con la rete che ha messo nel suo Dna l'obiettivo dei corpi civili europei di pace. La sordita' di questo governo e di quelli che l'hanno proceduto non ci assolve completamente.