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03 agosto 2010

Souvenir, convegni e fan club
In Cina torna il mito di Mao
di Giampaolo Visetti

PECHINO - La Cina ha nostalgia di Mao. Metà dei cinesi lo dicono, gli altri lo pensano. Pochi ringraziano il giorno in cui il fondatore della Repubblica è morto. Sono trascorsi trentaquattro anni e il mito del Grande Timoniere, invece di tramontare come la stella di ogni dittatore, brilla sempre di più.
Nel mondo socialista è normale che gli esclusi rimpiangano certezze e gioventù. La crescente mitologia di Mao Zedong è però un'eccezione: non si nutre di anziani e di passato, ma di ragazzi e di presente. È l'attrazione irresistibile di un Paese che oggi è l'opposto di quello creato dal leader comunista. Mentre la Cina sfreccia verso le Borse e il capitalismo, i cinesi scoprono di sognare in realtà l'economia pianificata. Gli effetti di questo irrazionale struggimento, che arriva a organizzare corsi universitari di management maoista, seguono le regole del business, ma non solo. 

Mao Yinyu, 40 anni, unico nipote vivente del condottiero della Lunga Marcia, è diventato ieri il più giovane generale di divisione dell'Esercito popolare di liberazione. La propaganda del governo ha spiegato che l'eccentrico Mao Junior "ha ottenuto numerosi risultati", tali da rendere la promozione "un diritto". Il curriculum ricorda che è membro dell'Accademia delle scienze, delegato alla Conferenza consultiva del popolo cinese e autore del libro Mio nonno Mao Zedong. Rare, ma memorabili, le dichiarazioni ufficiali: ha proposto il maoismo per "combattere la guerra dell'informazione contro gli Usa", ha eletto Napoleone "generale più grande della storia" e definito suo nonno "un dio".

La promozione di un Mao tra i vertici delle forze armate cinesi, priva di senso militare, contrastata e più volte preannunciata, è un atto politico interno di sostanziale importanza e un segnale forte all'estero. Conferma che la Cina hi-tech dell'Expo di Shanghai non può ancora staccarsi dal cordone ombelicale che segretamente la nutre, dentro la Città Proibita e sulle bancarelle. Botteghe di souvenir e centri commerciali sono infatti invasi da t-shirt con il volto di Mao e spille con la stella rossa. Negozi alla moda e gallerie d'arte espongono abiti e quadri con gli slogan della rivoluzione: "Solo il pensiero di Mao può salvare la Cina e il mondo". I ristoranti offrono menù con i suoi piatti preferiti e le librerie allestiscono sezioni dedicate al Libretto Rosso. Nelle Università si aprono circoli maoisti, milioni di fan esaltano Mao nei forum online, ritratti e statue riappaiono ovunque. A Pechino le repliche di Sogno rosso sono esaurite per due anni e gli spettatori rincasano commossi "dalla solidarietà semplice della nostra epoca d'oro". Per passare davanti alla mummia di Mao, su piazza Tienanmen, si cuoce o si gela per ore e nessuno s'è mai sognato di spostarla dal cuore del Paese. In Cina, ufficialmente, il comunismo non è crollato e la Guerra Fredda si è risolta nella repressione di Tienanmen. Il restyling dall'alto di Mao, simile a un Che Guevara dell'Asia, svela però il sisma di una nazione che si sveglia insoddisfatta.

L'allarme è leggibile anche sui giornali controllati dallo Stato. I richiami a non "cadere nell'errore di un'altra rivoluzione a sinistra, equivocando lo spirito di Mao", si moltiplicano. L'ala conservatrice del partito teme che la "moda di Mao", da "snobismo per capitalisti vintage", diventi il treno di un reale "neocomunismo rivoluzionario cinese". Troppi, dai neolaureati agli anziani senza pensione, dai migranti di ritorno agli ex contadini, sentono che, pur sotto i riflettori, la pancia resta vuota. È tra queste masse di figli unici che monta la nostalgia del Capo, fondendo gavette retrò, scioperi delocalizzati ed eco-scontri. Nessun cinese rimpiange la Grande Depressione o l'incubo della Rivoluzione Culturale. I leader più sensibili sentono però che la bandiera di Mao sventola contro di loro e che la "nuova nostalgia", che pure blandiscono, contiene più rivoluzione che rimpianto.

Denuncia corruzione e privilegi del potere, contrapponendo "dignità e diritti di ieri" a "umiliazione e ingiustizia di oggi". La libreria universitaria "Terra dell'Utopia", che coltiva il culto del "padre di tutti i cinesi", è passata da 3 mila a 4 milioni di iscritti. I miliardari teenager, che di notte ballano al Lane Club, follia kitsch di Philippe Starck, si divertono a indossare la divisa verde del Grande Timoniere, confondendo volgarità e finezza con eccessi e privazioni. Ma se la Cina ha nostalgia di Mao e si inchina a suo nipote, chi la comanda inizia davvero ad avere paura che ritorni uno Zedong.