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06/12/2010

Acqua alla gola
di Monica Di Sisto

Cancun - Un mucchietto di fogli. Come sempre un mucchietto di fogli. Solo carte, ma che contengono la sostanza politica e finanziaria, legale e vincolante, che i nostri Stati concretamente metteranno in campo nei prossimi anni per affrontare l’emergenza dei cambiamenti climatici. Carte che arriveranno sul tavolo dei ministri e dei leaders dei Paesi membri della Convenzione delle Nazioni Unite sul clima (UNFCCC) che la prossima settimana si incontreranno qui a Cancun per capire se si riusciranno in questa COP 16 a superare la vergogna di Copenhagen. Una vergogna fatta di tavoli separati e di negoziati tra pochi intimi sul futuro di tutti, che il Messico, Paese che ospita il Vertice e presidente di turno, nega recisamente vadano avanti business as usual come nella capitale danese. Eppure nella notte intensa di emendamenti, veto incrociati e tiramolla che, probabilmente, quando voi leggerete il giornale in Italia qui per noi non sarà ancora finita, i tavoli paralleli stanno andando avanti e come. 
Il Governo messicano lavora, infatti, ad una bozza di dichiarazione finale che possa dare nuova linfa all’Accordo di Copenhagen, ripresentandolo in salsa mariachi come Accordo di Cancun. Un passaggio molto rischioso per il percorso multilaterale della Conferenza, con una nuova forzatura da parte di quei pochi Paesi che rifiutano un accordo realmente vincolante, preferendo uno schema volontario e difficilmente verificabile da parte degli altri Governi, figuriamoci da tutti noi. Un documento che serve a indebolire il rinnovo del Protocollo di Kyoto, quello che obbliga fino al 2012 i Paesi industrializzati a tagliare le proprie emissioni di una percentuale prestabilita, e che secondo il presidente boliviano Evo Morales, in arrivo a Cancun la prossima settimana, “alcuni Paesi vorrebbero volentieri buttare nel secchio della spazzatura”. Nominiamoli, questi convitati di pietra: innanzitutto Giappone, che lo ha dichiarato pubblicamente scatenando la protesta dei Paesi dell’alternativa bolivariana, Bolivia in testa. Poi la Russia, non soddisfatta della rovinosa siccità estiva, e poi il Canada, non pago dei forti impatti che sta subendo nella disponibilità d’acqua potabile. In realtà siamo tutti a rischio, addirittura di vita. L’ultimo studio presentato a Cancun dall’istituto di ricerca spagnolo DARA BioSciences annuncia che circa 5 milioni di persone, la maggior parte bambini, possono perdere la vita entro il 2020 se non si assumeranno misure urgenti per arrestare i cambiamenti climatici. Il “Monitor de la vulnerabilidad climatica 2010” ricorda che già oggi sono 350mila le persone che muoiono per problemi connessi in 184 Paesi che mostrano una vulnerabilità “moderata”, “alta”, “severa” o “acuta” rispetto all’impatto del climate change.
Sono 54 i Paesi che presentano una vulnerabilità ’’acuta’’ tra cui Paesi tristemente noti per altre emergenze: Afganistan, innanzitutto, poi Angola, Etiopia, Honduras, Kenia, l’astro nascente India, Marocco, Nicaragua, Somalia, Pakistan, Corea del Nord, Nigeria e Vietnam, e isole come Maldive, Micronesia, Papua Nuova Guinea e Isole Salomon. . L’Italia è tra i 19 Paesi con livelli bassi di vulnerabilità insieme a Belgio, Danimarca, Austria, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Olanda, Portogallo e Regno Unito, ma il paradosso è davvero evidente se pensiamo che tra i 50 Stati con vulnerabilità “alta” troviamo l’altro astro dell’economia globalizzata, cioè la Cina, insieme a Cuba, ma anche ad alcuni Paesi come Usa e Russia che sono proprio i più fieri oppositori ad un trattato vincolante sulle emissioni. 
Una cosa è certa: l’Accordo di Cochabamba, nato dalla conferenza dei popoli che insieme hanno indicato le misure più efficaci per contrastare il disastro cui stiamo andando incontro – dall’agricoltura contadina al rispetto dei popoli nativi, dalla valorizzazione dei loro saperi nella gestione delle risorse naturali alla coesistenza con le foreste e la conservazione della biodiversità, oltre a nuova linfa più ambiziosa nelle vene del Protocollo di Kyoto -, è definitivamente sparito dal piatto forte del negoziato di Cancun. Travolto da una foresta di parentesi, perifrasi e tecnicismi amici delle multinazionali, non delle persone. Presidiare i negoziati, anche questa notte, è il tentativo estremo dei movimenti di farlo vivere ancora. E di continuare a pensare alle Nazioni Unite come a casa nostra. Occupata da altri, ma non per questo da dare per persa, senza lottare fino all’ultimo emendamento.

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