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Scritto il 25/10/10

Petrini: deprediamo l’Africa come fosse il nostro orto

L’ultimo furto ai danni dell’Africa? La terra. Il continente nero sta diventando l’orto semi-gratuito degli speculatori: Occidente, nazioni emergenti e pirati economici internazionali stanno acquisendo a prezzi stracciati milioni di ettari, con la complicità dei governi locali corrotti. E’ l’allarme lanciato a Torino da “Terra Madre”, vertice mondiale delle “comunità del cibo”. Antonio Onorati, presidente della Ong “Crocevia”, chiede al più presto «una moratoria sugli acquisti di terreno in Africa da parte degli operatori stranieri». Obiettivo peraltro condiviso dalla Fao, che chiama le organizzazioni sociali e contadine ai negoziati coi governi di tutto il mondo per riscrivere le regole a tutela della sovranità alimentare.

Nel solo 2009, sottolinea la Banca Mondiale, in tutto il mondo circa 45 milioni di ettari di terreno coltivabile hanno cambiato di proprietà. Una cifra enorme, ricorda Onorati, pari a una volta e mezzo la superficie dell’Italia. Il fenomeno è conosciuto come “land grabbing”, “presa di possesso della terra”, ma la definizione rischia di cadere nell’eufemismo. In realtà, tuona il presidente di Slow Food Carlo Petrini, si tratta di una corsa senza freni all’accaparramento delle risorse. Una vera e propria “caccia alla terra”, che segue «una logica colonialista, imperialista e criminale: l’Africa non è il nostro orto, è l’orto degli africani», anche se i leader del G20 vedono le cose in modo molto diverso.

Secondo le stime Onu, l’Africa possiederebbe (o forse dovremmo dire “ospiterebbe”) almeno 700 milioni di ettari destinabili all’agricoltura. Di questi, tuttavia, appena il 7% riceve irrigazione e solo 4% è soggetto a una coltura di qualche genere. Il Continente, in altre parole, avrebbe a disposizione un potenziale agricolo spaventoso che, se da un lato stona clamorosamente con il persistente problema della fame, dall’altro alimenta i sogni di ricchezza dei Paesi importatori. Entro il 2050, la crescita demografica dovrebbe portare la popolazione mondiale a sfondare quota 9 miliardi: bel problema, visto che le risorse naturali, a cominciare da quelle alimentari, rischiano seriamente di non tenere il passo con questa espansione.

I cinesi se ne sono già accorti, visto che dal 2008 hanno iniziato ad importare cibo per far fronte a una domanda che il mercato interno, da solo, non è più in grado di soddisfare. L’India e i Paesi del Golfo hanno seguito a ruota investendo massicciamente in Africa, dove la terra costa pochissimo: non più di 500 dollari per ettaro, venti molte meno che in Europa. Solo due anni fa, la multinazionale coreana Daewoo si è portata via 1,3 milioni di ettari del Madagascar. Dietro alla grande corsa, però, non ci sono solo i governi stranieri. Da almeno tre anni infatti quello del “land grabbing” è diventato uno degli affari prediletti della grande finanza: investimenti classici come i fondi pensione che ora si rifugiano nel business della terra, più stabile e sicuro, e autentiche operazioni di pirateria speculativa.

«Dopo aver guadagnato miliardi di dollari con l’impennata dei prezzi dei cereali tra il 2007 e il 2008», scrive “Il Fatto Quotidiano”, ora gli speculatori «contano di replicare ancora la scommessa vincente». Circa un anno e mezzo fa, il finanziere d’assalto Ian Watson aveva espresso il concetto in modo estremamente chiaro. «Quando guadagnano più soldi – aveva affermato – gli abitanti dei Paesi in via di sviluppo non acquistano un televisore con megaschermo; acquistano più cibo». “Agrifirma”, il fondo di Watson, controllava all’epoca già centomila acri di terra in Brasile. All’inizio del 2009, un gruppo di investitori guidato dalla famiglia Rothschild e dal finanziere Jim Slater ha immesso nel fondo oltre 150 milioni di dollari con un solo obiettivo dichiarato: comprare quanta più terra possibile.

Nei Paesi africani, ovviamente, la complicità dei leader politici diventa essenziale. Il governo etiope, ricorda oggi Nyikaw Ochalla, direttore della londinese “Anuak Survival Organization”, difende la sua apertura agli investimenti stranieri dipingendola come una strategia utile per lo sviluppo dell’agricoltura locale e la riduzione della dipendenza dagli aiuti esteri. La realtà però è ben diversa, avverte il “Fatto”: «Il governo “vende la terra per niente, praticamente la regala”, e poco importa che i nuovi padroni scelgano di eliminare le colture alimentari per dedicarsi al business dei fiori e dei biocarburanti. Quanto al cibo prodotto, sottolinea ancora Ochalla, c’è poco da farsi illusioni. E’ tutto destinato all’export». Che ne sarà dei negoziati Fao sui diritti dei contadini poveri, che si concluderanno tra un anno?


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