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Scritto il 29/10/10

Crisi totale: lo spettro della povertà spaventa l’America

La crisi vista finora non è ancora niente: aspettiamoci di tutto nel 2011, quando il capitalismo finanziario Usa rischierà il collasso, precipitando nel panico i cittadini americani, già ora pressati dai debiti e impauriti dallo spettro della povertà. Benvenuti negli United States of Austerity, verso una «gravissima avaria del sistema economico e finanziario mondiale». Firmato: Geap, Global Europe Anticipation Bulletin. Pessime previsioni dal rapporto numero 47 del gruppo di analisti eterodossi che studiano la Grande Crisi in atto. Ripresa apparente, rilancio effimero: esaurite le ricette-tampone dei governi, spaventa il baratro della più grave recessione di tutti i tempi. E senza più nessun tipo di paracadute: perché l’America, senza soldi, potrebbe davvero crollare.

Tradotto in italiano dal blog “Infomazione Scorretta” curato da Felice Capretta, Geab 47 non lascia speranze. La volontà di stabilire date precise, premette “Megachip”, espone gli analisti indipendenti a ovvie smentite – anche se certe scadenze, più che sbagliate, sembrano purtroppo soltanto rinviate. Tuttavia, gli economisti di Geab «spesso colgono in anticipo importanti tendenze». Per cui, «anche non cedendo al fascino divinatorio di un testo che ci dica a che punto saremo fra un mese o fra un anno, sono interessanti i rimandi a dati economici reali e verificabili», a cominciare dall’attualità di oggi: la seconda metà del 2010, anticipava Geab tempo fa, sarà caratterizzata da un improvviso peggioramento della crisi, evidenziato dalla fine dell’illusoria “ripresa” pubblicizzata dai leader occidentali e dalle migliaia di miliardi inghiottiti dalle banche e dai piani di stimolo economico, tutti di breve respiro.

«I mesi a venire riveleranno una semplice, anche se dolorosa, realtà: l’economia occidentale, in particolare quella Usa, non è davvero mai uscita dalla recessione». Mentre si annunciano sconvolgimenti alle elezioni di medio termine a novembre, il mondo rischia di affrontare una «gravissima avaria» del sitema economico e finanziario globalizzato che da oltre 60 anni si fonda sulla assoluta necessità, per l’economia Usa, di non rimanere mai a lungo in recessione. L’inizio del 2011 «imporrà che l’economia statunitense subisca una dose di rigore finanziario senza precedenti, facendo piombare il pianeta in un nuovo caos finanziario, monetario, economico e sociale». Tempeste di varia natura travolgeranno il Pil e le banche centrali, e l’austerità imposta che colpirà gli Usa avrà dirette conseguenze per l’Asia e l’Europa.

Lo ha ammesso il capo della Fed, Ben Bernanke, lanciando un messaggio esplicito. Anche se le politiche per ravvivare l’economia Usa sono fallite, dice Bernanke, le strade sono due: o il resto del mondo continua a finanziare il deficit americano in perdita, sperando che ad un certo punto nel futuro la scommessa paghi e si eviti così il collasso del sistema globale, oppure gli Stati Uniti continueranno a monetizzare il loro debito e convertiranno «in banconote del Monopoli» tutti i dollari e i titoli del Tesoro in mano al resto del mondo. «Come ogni potere messo nell’angolo – si legge nel rapporto Geab analizzato da Capretta – gli Stati Uniti sono ora obbligati a introdurre la minaccia di pressione per ottenere ciò che vogliono».

Meno di un anno fa i leader del resto del mondo si erano offerti volontariamente di «rimettere a galla la nave Usa». Progetto fallito: la Fed e Obama «non hanno capito la natura della crisi e hanno sperato invano di controllarla», mentre la crescita Usa evapora trimestre dopo trimestre e il tasso di disoccupazione non ha smesso di aumentare, il mercato immobiliare resta ai minimi storici e i consumatori diventano insolventi perché uno su cinque è ormai senza lavoro. Quasi 60 milioni di americani, continua il rapporto, dipendono dai “Food stamps”, i sussidi sociali: non hanno più uno stipendio, una casa o del denaro da parte. E ora si stanno chiedendo come faranno a sopravvivere negli anni a venire.

Le fasce più esposte al disastro? Giovani, pensionati, afro-americani, lavoratori, impiegati nei servizi. Quanto durerà la loro pazienza? Quando esploderà la protesta, che potrebbe portare gli Usa in un inedito, «tragico vicolo cieco politico»? Dall’ultra-destra, i sostenitori dei movimenti “Tea Party” vogliono «spezzare la “macchina di Washington”» e per estensione quella di Wall Street, senza però avere proposte alternative credibili. Le elezioni di novembre, col ritorno dei repubblicani e l’ascesa degli estremisti, potrebbero paralizzare ulteriormente il governo Obama. Poi a dicembre la rabbia potrebbe esplodere con l’uscita dell’atteso rapporto della Commisione per il Deficit creata dal presidente.

Un sintomo lampante? Gli americani stanno abbandonando il mercato azionario: ogni mese un numero crescente di piccoli investitori lasciano Wall Street, al punto che oggi più del 70% delle transazioni è ormai nelle mani dei massimi operatori, istituzioni e “high frequency trader”. Perdita di fiducia e disaffezione generale: gli stessi sinistri segnali che annunciarono in Urss l’imminente caduta del regime sovietico. Paradossalmente, oggi anche l’economia Usa dipende in gran parte dallo Stato: da fondi del governo o della Federal Reserve. Immobiliare, auto, difesa e alta tecnologia, agricoltura: tutti settori che possono ancora sopravvivere, stentatamente, solo perché supportati dagli aiuti federali. Senza contare che i bilanci di Stati e città hanno bisogno di Washington: se il governo e la Fed non potessero più sostenere la periferia, il sistema Usa crollerebbe come un castello di carte.

Tra i motivi di forte irritazione dei risparmiatori, il trasferimento dei debiti dalle banche private alla Fed. «La mia amministrazione – ha detto Obama ai banchieri – è la sola cosa che si para tra voi e i forconi». Ma la “fuga dal rischio”, che tradizionalmente spinge molti attori globali a preferire i beni del governo Usa, potrebbe invertirsi dall’inizio del 2011. La situazione è tragica, e persino i media cominciano ad ammetterlo. La stessa Fed sa di essere impotente: nonostante gli sforzi straordinari messi in campo dal settembre 2008 (interessi a tasso zero, supporto al mercato dei mutui immobiliari e alle banche) l’economia americana non riparte. «I leader della Fed – scrive Geab – hanno scoperto di essere solo una parte del sistema, in questo caso il sistema finanziario Usa, progettato dal 1945 per essere il cuore solvente del sistema finanziario globale».

Problema: ora è il consumatore americano ad essere insolvente, e questo vanifica gli sforzi della Federal Reserve: «Avvezzi ad essere virtuosi e per questo ad avere la possibilità di manipolare i processi e le dinamiche degli eventi, i banchieri centrali Usa credevano di poter “imbrogliare” le famiglie, dandogli un’altra volta l’illusione di ricchezza e quindi spingendole a ripristinare il consumo e con questo far rivivere la macchina economica e finanziaria dell’intero paese». Errore. «Fino all’estate del 2010 non hanno creduto nella natura sistemica della crisi oppure non hanno capito che quello che stava causando i problemi era fuori portata degli strumenti della banca centrale, per quanto potente. Solo nelle recenti settimane hanno trovato due verità: le loro politiche hanno fallito e ora non hanno più armi né munizioni».

Da qui, aggiunge il rapporto Geab, il tono depresso nelle discussioni delle banche centrali e il disorientamento sul futuro, posto che dinamiche come inflazione o deflazione siano ancora rilevanti. Chi propone di crescere gonfiando ancora il debito e chi predica, al contrario, la riduzione del deficit. E Bernake che minaccia i suoi colleghi delle banche centrali: per evitare il collasso le tenteremo tutte, dice, e voi bancari continuerete a finanziarci, altrimenti faremo esplodere l’inflazione, così crollerà il dollaro e i bond del Tesoro Usa saranno carta straccia. «Quando un banchiere centrale si esprime come un esattore – rileva Capretta – significa che c’è una situazione pericolosa in casa».

La risposta delle banche centrali più grandi del mondo verrà rivelata nei prossimi due quadrimestri. L’aria che tira non è rassicurante: un nuovo aumento del deficit sarebbe interpretato come un suicidio per gli Usa. La Cina ha già iniziato a liberarsi degli asset americani per acquistare quelli giapponesi, meno preoccupanti. A breve, l’America potrebbe scoprire di non essere più considerata affidabile, come distributrice di reddito sicuro, e i partner potrebbero esclissarsi. Risultato: secondo il team Leap/E2020, gli Usa entreranno nel 2011 in un’era di austerità mai vista, da quando il paese è diventato il cuore del sistema globale economico e finanziario.

Un’austerità, aggiunge Geap, che sta già affliggendo almeno il 20% della popolazione. Un americano su due ha paura: teme che domani gli tocchi aggiungersi alla massa crescente dei senza tetto e dei disoccupati. Per decine di milioni di statunitensi, l’austerity si chiama “impoverimento duraturo”. Vie d’uscita? Improbabili: gli Usa «non si possono permettere un nuovo stimolo», perché il governo non ha più soldi per aiuti di Stato. Piuttosto che un collasso multidecennale, conclude il rapporto degli economisti indipendenti, molti “decision makers” saranno tentati dalla terapia shock: la stessa – a base di drastici tagli – che, con il Fondo Mondiale Internazionale, gli Usa raccomandano all’America latina, ai paesi asiatici e all’Europa dell’Est (info: www.megachipdue.info).