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I Valori della Costituzione
di Giuseppe Dossetti


Preambolo dell’incontro di Napoli

20 maggio 1995


Nei primissimi anni Trenta, quando, iniziando l’università,

cominciavo anche a cercare di farmi un mio pensiero, pur muo-

vendo sin da allora da diversa posizione (di ispirazione cattolica),

consideravo però come un punto di riferimento e di confronto

obbligato Benedetto Croce, del quale avevo incominciato a legge-

re alcune opere (ad es. la Storia dell’età barocca) sin dalla seconda

liceale.

Ebbi cosí modo, molto presto, di educarmi attraverso la fre-

quentazione degli scritti di Croce ad una certa criticità storica e ad

un’ispirazione antifascista.

Perciò, all’inizio di questo mio discorso, credo di dover espri-

mere la mia riconoscenza al grande maestro, e inchinarmi alla sua

memoria.

Fui molto felice quando, piú tardi, quasi venticinque anni dopo,

lo conobbi personalmente a Montecitorio, e debbo confessare che

mi sentii molto lusingato (è un episodio che rievoco oggi per la

prima volta) quando, alla fine del mio discorso conclusivo della

discussione su Stato e Chiesa, egli si spostò dal suo scanno e risalí

l’emiciclo per stringermi la mano: lo presi come un segno che la

mia impostazione cattolica e difensiva di quei Patti Lateranensi,

che egli aveva a suo tempo avversato, non gli era poi parsa tanto

illiberale.

Qualche anno dopo Croce, scrivendo, volle vedere nella

Costituzione della Repubblica una mancanza di coerenza e di

armonia, e «un reciproco concedere per ottenere»2. Ma credo che

questo giudizio provenisse in lui non da una considerazione obiet-

tiva delle singole disposizioni e dell’impianto complessivo, ma da

una certa mancata contestualizzazione storica del nostro Patto.

Egli risentiva ancora della sua visione politica prefascista, liberal-

moderata, che male si poteva adattare con la realtà maturata in

Italia durante e dopo la guerra, cioè la realtà dei grandi movimen-

ti di massa, a loro volta inevitabile conseguenza, fra l’altro, del

conflitto mondiale appena terminato.

1. In precedenti discorsi sulla nostra Costituzione del ’48, ho

cercato di dimostrare ampiamente come dall’evento guerra, vera-

mente il piú immane della storia dell’umanità – per numero di vit-

time (oltre 55 milioni, di fronte ai 9 milioni e mezzo della Prima

Guerra Mondiale), per estensione geografica, per globalità ideolo-

gica, per vastità di distruzioni, e per conseguenze in ogni ordine

della vita economica, sociale, e persino religiosa – dall’evento guer-

ra, dico, fosse venuta una disposizione di animo alla fine piú pro-

fonda ed equa, che, al di là delle frange estremistiche e delle sin-

gole divergenti od opposte ideologie, predisponeva gli animi di

tutti all’accordo su un testo che raccogliesse il piú vasto consenso

possibile (di fatto approvato con una maggioranza del 90% dei

membri dell’Assemblea costituente).

Cioè, questo Patto non è stato un qualunque compromesso o

un semplice effimero espediente, ma il risultato di una sinergia

costruttiva (al di là dei contrasti politici, anche molto aspri e

talvolta persino cruenti) che l’ottica mondiale della necessaria

ricostruzione imponeva, malgrado tutto, ai Costituenti. Questi

potevano essere, sí, suscettibili a tutte le tentazioni banalmente

compromissorie, ma erano anche piú profondamente e intima-

mente necessitati, tanto dalla lezione del recente tragico passa-

to, quanto dall’urgenza e dall’imponenza dei compiti dell’im-

mediato futuro, a cercare un accordo piú stabile, al di là delle

loro immediate preferenze: accordo di validità universale, oltre

il nostro ambito nazionale, e quindi ancorato a princípi genera-

li di umanità e di civiltà piú vastamente ammessi, capaci in

qualche modo di interpretare il comune sentire umano dopo la

grande catastrofe della guerra (tant’è vero che la prima parte

della nostra Costituzione enuncia princípi e garanzie sui diritti

e le libertà fondamentali della persona umana, che possono

stare alla pari dei piú maturi enunciati al riguardo elaborati

nelle sedi internazionali, con le successive dichiarazioni sui

diritti umani).

Per queste ragioni la nostra Costituzione, malgrado tutte le sue

imperfezioni, poté elevarsi alla dignità di un vero Patto nazionale,

in cui sono confluite le tre grandi tradizioni politiche del nostro

Paese: quella liberale, quella cattolica e quella social-comunista.

2. Come ho già fatto in precedenti discorsi, cosí voglio ripetere

ora, qui, parlando a un convegno meridionale, quello che ho già

detto due settimane fa, in una lezione accademica all’Università di

Parma: cioè voglio avanzare qualche riserva su una connessione

troppo stretta, o comunque parziale, che si suole stabilire – spe-

cialmente da varie parti politiche, e talvolta in sensi opposti – tra

Costituzione e Resistenza armata del Nord.

Una certa connessione reale è evidente: sia per il personale poli-

tico che compose l’Assemblea costituente, spesso proveniente

appunto dai movimenti resistenziali, sia sotto l’aspetto delle ideo-

logie perseguite dalle varie parti, sia infine sotto l’aspetto delle

esperienze vissute dai singoli.

Ma si dimentica troppo spesso che, quando l’Assemblea costi-

tuente si riuní, la Resistenza armata era già totalmente conclusa,

senza lasciare (a differenza della Prima Guerra Mondiale) residui

vistosi e ingombranti di reducismo; ed era sorpassata di fatto dalla

piú vasta consapevolezza dei problemi immediati della ricostru-

zione oggettiva del nostro Paese, in senso economico, sociale, giu-

ridico e politico, e sentiti nel quadro generale posto dalla proble-

matica della ricostruzione postbellica occidentale.

Tutto questo fece, di fatto, emergere molto di piú, nella coscien-

za comune, la resistenza passiva di quella grande parte del popolo

italiano che, pur non avendo partecipato ai movimenti resistenzia-

li e non essendosi schierato militarmente o politicamente, tuttavia

aveva in concreto resistito passivamente per anni nelle dure prove

di una guerra sbagliata, che tutti coinvolgeva e tutti, ora, elevava a

sentimenti e a pensieri di scala piú vasta, non solo localistica e non

solo regionale.

E fu cosí che anche uomini del Sud, che non avevano vissuto

personalmente né la Resistenza né la lotta partigiana, poterono

dare un segnalatissimo contributo di unità e di creatività pacifi-

ca nella stesura della Costituzione, in piena sintonia di senti-

menti e di concetti con uomini del Nord. Ricorderò almeno tre

nomi fra i non pochi, tre nomi il cui intervento è rimasto, nella

Costituzione, storicamente decisivo, sia dal punto di vista tecni-

co-giuridico che da quello politico: cioè Aldo Moro, pugliese,

Costantino Mortati, calabrese, e Giorgio La Pira, siculo-fioren-

tino.

Concludendo: se è giusto – come io ritengo – insistere forte-

mente sull’evento guerra come matrice originante della nostra

Costituzione, può essere meno valido affermare, con troppa enfa-

si e tantomeno in modo unilaterale, il nesso Resistenza-

Costituzione, specialmente se si intende ‘Resistenza’ come mito

politico di una sola parte (quella comunista), secondo una certa

storiografia degli anni Cinquanta, che è stata ormai, da piú punti

di vista, storicamente e con validi argomenti contestata3.

3. Queste premesse mi consentono di affrontare un altro tema,

cioè quello del contributo che la Costituzione del ‘48 ha dato, e

potrebbe ancora dare, alla nostra unità nazionale.

Come è arcinoto, si discute oggi, da piú parti, il processo for-

mativo della nostra unità nazionale, se ne rivisitano le varie fasi, e

se ne evidenziano vari elementi di fragilità e di debolezza: come il

perdurare pluridecennale della cosiddetta questione romana; e la

divisione e contrapposizione tra mondo cattolico e mondo laico, o,

forse meglio, tra integrismo cattolico e anticlericalismo; e ancora il

separatismo e l’opposizione di classe indotte dal socialismo prima

e poi dal comunismo; la disgiunzione tra sentimento nazionale e

libertà, indotta dal fascismo; e infine la diversa occupazione stra-

niera del Nord Italia e del Sud, che ha aggravato le preesistenti dif-

ferenze culturali, sociali, ecc.

Orbene, la Costituzione del ’48 – la prima non elargita, ma vera-

mente datasi da una grande parte del popolo italiano, e la prima

coniugante le garanzie di eguaglianza per tutti e le strutture basali

di una corrispondente forma di Stato e di Governo – può concor-

rere a sanare ferite vecchie e nuove del nostro processo unitario, e

a fondare quello che, già vissuto in America, è stato ampiamente

teorizzato da giuristi e da sociologi nella Germania di Bonn, e

chiamato: «Patriottismo della Costituzione».

Patriottismo che da un lato legittima la ripresa di un concetto e

di un senso della Patria, rimasto presso di noi per decenni allo stato

latente o inibito per reazione alle passate enfasi nazionalistiche, che

hanno portato a tante deviazioni e disastri; e che dall’altro, cosí

come può risultare dai supremi princípi costituzionali sui diritti e

sulle libertà della persona e dal pluralismo istituzionale, non esclu-

de nessuno, e anzi potrebbe risultare di ottima garanzia e fruizione

anche per le forze eredi di quelle che a suo tempo rimasero estranee

ed ostili al processo costituente. Forze che non si possono consi-

derare come una parte soccombente, a cui la Costituzione sia stata

imposta da una presunta parte vincente; e che perciò dovrebbero e

potrebbero cessare di denigrarla e invece potrebbero accettarne,

con vantaggio anche loro, i risultati e le garanzie.

Credo fermamente che in questo momento tutte le parti (esclu-

sa solo la Lega Nord, ostinata a battere una sua propria strada)

possano assumere la Costituzione del ’48 come un presidio di dife-

sa e di legalità comune a tutti, presidio non chiuso in se stesso, ma

evolvibile in modo omogeneo e con le procedure da essa stabilite,

sí da potersi adeguare sempre di piú alle necessità e agli sviluppi

di tutta la società italiana.

Tutte le attuali parti politiche dovrebbero considerare la fun-

zione che la nostra Legge fondamentale ha esercitato negli anni

difficili della prima costruzione della nostra vita democratica: anni

di divisioni profonde, ricollegantisi ad una radicale spaccatura del

mondo, tra Ovest ed Est; anni di contrapposizioni durissime tra i

partiti che, pur lottando con indicibile asprezza, tuttavia mai pen-

sarono di denunciare il Patto, e anzi proprio in virtú di esso riusci-

rono a mantenere le ragioni di una reciproca coesistenza.

Questo «Patriottismo della Costituzione» può concorrere, per

oggi e per domani, a un rinsaldamento della nostra unità. Certo,

posso convenire con Norberto Bobbio che questo patriottismo si

pone su un altro piano da quello del patriottismo nazionale: ma lo

stesso Bobbio ammette per lo meno che l’uno e l’altro patriottismo

si possono completare e rafforzare a vicenda. E che anche il

«Patriottismo della Costituzione» non deriva da un semplice con-

tratto paritario, ma si fonda, cosí come risulta dallo stesso testo, su

alcuni princípi ultimi non negoziabili: esso può perciò costruire e

garantire uno spazio sottratto alla negoziazione e al semplice do ut

des, e quindi uno spazio sottratto sia al conflitto politico sia alla

contrattazione5.

Quindi, in definitiva, esso può riuscire, come dicevo, ad essere

di garanzia per una qualsiasi parte politica, in qualunque situazio-

ne, di maggioranza o di minoranza, si venga essa a trovare.

4. Ma perché tutto questo possa realmente funzionare, occorre

che le regole costituzionali divengano costume, come giustamente

aggiunge Bobbio; e cioè vengano riconosciute come superiori ad

ogni altra norma, e fondanti tutta la legalità del Paese, che altri-

menti si trova scardinata nelle sue premesse, e in preda a una deri-

va continua. Perciò Alessandro Pace, dell’Università di Roma, ha

emblematicamente dedicato la sua piú recente fatica di costituzio-

nalista, cioè il suo libro, uscito un mese fa, su La causa della rigidi-

tà costituzionale, l’ha dedicato, dicevo, «A Giulio e Domitilla, dal

loro nonno», volendo significare la sua fiducia che anche le gio-

vanissime generazioni «possano condividere, un giorno, le aspira-

zioni sottese all’idea della Legge superiore»6.

Ma fu appunto contro questo concetto di Legge superiore, pie-

tra angolare di tutto il sistema della nostra legalità, che comincia-

rono, sin dai primi anni Ottanta, a scagliarsi tutti quelli che aveva-

no interessi, singolari o di gruppo, a farsi una loro legalità. Fu cosí

che da piú parti e ad ogni livello istituzionale si parlò della

Costituzione come di «un ferro vecchio», e si instaurarono prassi

corrosive non solo della moralità, ma anche di ogni forma di rego-

la stabile della civile convivenza. Oltre a tutto questo, negli anni

del craxismo e della inarrestabile decadenza democristiana, col

pretesto della semplificazione istituzionale e del decisionismo,

venne insinuata sempre piú l’idea che tutti i mali della nostra

società derivavano da un assetto costituzionale dal quale occorre-

va liberarsi, proprio come condizione preliminare di ogni risana-

mento etico e giuridico. Tanto era divenuto ferreo il circolo vizio-

so che si imponeva a un’opinione sempre piú acritica e diffusa, e

che portò alla inconsulta ed affrettata ultima legge elettorale, vota-

ta senza la predisposizione di nessuna garanzia che assicurasse una

ordinata e vera transizione verso l’utopico nuovo.

Di fatto, il nuovo si è rivelato subito, dal giorno stesso delle ele-

zioni, come piú vecchio e degradato del vecchio. Il governo nuovo,

uscito dalle elezioni, ha mostrato ad evidenza un’allergia sistema-

tica per ogni regola e per ogni forma di controllo o di contrappeso

sociale o istituzionale, e ha ripetuto, aggravandoli, i danni e gli esiti

negativi già imputati alla vecchia partitocrazia.

La transizione si è arrestata, ed ora siamo giunti a un delicatis-

simo punto morto, che incombe su tutto il sistema italiano: sul

sistema culturale (per la presenza deviante non piú delle vecchie

ideologie, ma di altrettanti ideologumena improvvisati, vuoti di

contenuti teorici e storici); e sul sistema, conseguentemente, mora-

le, sociale, economico, politico e giuridico.

5. Qualcuno incomincia, in queste ultime ore, a sperare che gli

avvenimenti di tutto quest’anno possano avere risvegliato le

coscienze, o almeno stimolato una qualche ripresa di consapevo-

lezza: ma è certo che questa non può darsi e non può portare a

esiti positivi, se non si ricomincia a pensare da molti il testo costi-

tuzionale vigente come Legge superiore contenente princípi non

negoziabili, che possono e debbono presiedere e dare impulso

anche all’attuale fase di transizione, verso un nuovo piú organico,

piú vero e piú stabile, nel costume, nelle strutture e nelle istituzio-

ni della vita collettiva.

A questo fine bisogna anzitutto abbandonare il vezzo di una

facile denigrazione della Costituzione, e pensare, piú che a cam-

biarla o a riscriverla in toto, a rimeditarla e ad applicarla veramen-

te nelle parti che sinora hanno avuto insufficiente o distorta appli-

cazione.

E successivamente, o congiuntamente, si può anche pensare a

quelle revisioni puntuali che, per comune consenso tra i costitu-

zionalisti, si possono introdurre rispettando con grande lealtà la

procedura fissata dall’art. 138 della Costituzione stessa.

Non si vuole disconoscere i mutamenti oggettivi di grande spes-

sore intervenuti dal 1945-47 ad oggi nella società nazionale; nei

suoi dinamismi economici; nelle potenzialità, positive e negative,

del suo sviluppo; nei suoi impulsi e desideri, individuali e col-

lettivi; nella stessa coscienza e gerarchia dei valori, da parte di

donne e di uomini, di individui maturi e di giovani o adolescenti,

e infine di forme associazionistiche.

Mutamenti che sono tanto piú rilevanti, quanto piú vengano

considerati in un quadro internazionale che, a sua volta, ha subíto

modificazioni radicali: come, per esempio, la convulsa e ancora

confusa disgregazione del grande blocco orientale; la faticosa e

incerta costruzione di una Unione Europea, a quanto pare sempre

piú volta verso il nord e tendente a una piú accentuata marginaliz-

zazione del nostro meridione e dell’intera area mediterranea; gli

intrecci di esasperata conflittualità nei Balcani e nel mondo slavo;

il risveglio mondiale dell’Islam; l’inarrestabile flusso emigratorio

dall’Africa settentrionale islamizzata verso l’Europa e verso l’Italia;

il mutato e problematico atteggiamento dell’America nei confron-

ti dell’Europa; la mondializzazione del mercato, sempre piú in

senso sfrenatamente capitalistico; ecc.

A tutti questi mutamenti non si può dare una risposta in qual-

che modo adeguata o pertinente solo con un novismo confuso e

contraddittorio, ma con una revisione pacata e graduale, se pure

non timida e non esitante.

6. Dovrei entrare ora piú nel merito del discorso delle revisioni

possibili.

Anzitutto una premessa. Occorre rifiutare, come oggi hanno

fatto gli interventi precedenti, la tesi che una sostanziale modifica

della Costituzione sia già avvenuta automaticamente con la sola

adozione del sistema elettorale maggioritario.

Questa tesi viene proposta in una duplice forma.

Nella forma rozza ed arrogante in cui è stata espressa per un

anno dal cosiddetto “Polo delle libertà” e che non merita, qui,

confutazione, ed è stata di fatto ulteriormente smentita dal voto

della maggioranza degli italiani, tre settimane or sono, nelle ele-

zioni regionali e provinciali.

E, invece, è proposta in una forma piú raffinata da qualche

autore od opinionista, per esempio da Sabino Cassese: che, oltre a

notare una certa tensione (ovvia, direi) tra la Costituzione – che si

fonda sul presupposto di un sistema elettorale proporzionale e

l’avvenuta adozione, ora, di una legge elettorale maggioritaria,

accentua, per cosí dire, la diagnosi degli effetti di questa tensione,

sino a dire che

dinanzi a questi problemi la Costituzione è impotente, anche perché metà di

questi problemi nasce proprio da essa: dal fatto che essa è ormai fuori centro,

per cui non costituisce piú quel solido ancoraggio che una Costituzione deve

assicurare. Queste affermazioni sono largamente gratuite: non derivano

necessariamente dalle premesse svolte, e neppure dal seguito del

discorso di Cassese. Possono, al piú, dimostrare che la riforma elet-

torale è stata assolutamente incompleta, mentre, per sé, poteva

benissimo (e lo può ancora, sebbene tardivamente) essere comple-

tata con alcuni accorgimenti che l’avrebbero resa compatibile con la

vigente Costituzione: soprattutto nella linea delle garanzie aggiunti-

ve a tutela delle minoranze elette (che talvolta possono addirittura

corrispondere, invece, a una maggioranza dell’elettorato).

Si deve poi notare che tutto quello che Cassese in seguito scri-

ve a proposito delle tesi avanzate e praticate dal Polo nei mesi di

governo, evidenzia la necessità che queste garanzie a favore della

minoranza non siano solo affidate a un corretto costume parla-

mentare, o alla buona volontà delle parti, o anche alla legislazione

ordinaria; ma che esse garanzie, ora, di fronte alle dimostrate forti

inclinazioni cesariste o bonapartiste delle nuove forze emerse,

urgono di essere anche costituzionalizzate: inserite, cioè, formal-

mente, nel testo costituzionale.

7. È questo, in ordine temporale e logico, il primo caso di revi-

sione possibile e necessaria: come del resto già altri, oggi, prima di

me, hanno sostenuto.

Senza attardarmi di piú sul merito, dico semplicemente che

sono in tutto d’accordo sul progetto di Legge costituzionale, n.

2115, d’iniziativa dei deputati Bassanini, Elia, Ayala e molti altri.

Esso, in quattro articoli, dispone maggioranze rafforzate per l’a-

dozione dei regolamenti delle Camere, per l’elezione del

Presidente della Repubblica, per la nomina dei Giudici costituzio-

nali, e infine – assolutamente fondamentale – per le proposte di

revisione costituzionale a tenore dell’art. 138 della vigente

Costituzione.

Non solo mi dichiaro del tutto d’accordo: ma penso inoltre che

tutti dobbiamo promuovere, con ogni mezzo a noi possibile, un

orientamento conforme e urgente dell’opinione pubblica.

È già il caso, hic et nunc, di una prima emergenza costituzionale.

E poi si dovrebbe aggiungere, a mio parere, una garanzia pari-

menti rafforzata per l’elezione dei membri del Consiglio Superiore

della Magistratura.

8. Altro caso di urgenza resta sempre la disciplina del-

l’Antitrust, in generale, e piú specificamente nel caso della disci-

plina dei mezzi di informazione.

A quest’ultimo riguardo, si può sostanzialmente dire che sinora

nulla sia stato fatto di quello che sarebbe stato necessario fare sin da

prima della campagna elettorale politica dell’anno scorso; e per di

piú, che molto in senso contrario è stato fatto dal governo del Polo,

con l’effettivo pratico smantellamento e asservimento della RAI.

Siamo per ora ridotti, di fatto, a una condizione non di duopo-

lio, ma di monopolio. Mi pare doveroso ricordare anche qui quel

che ho ricordato altrove, cioè quel che ha detto, esattamente qua-

ranta anni fa, un autentico liberale, come Einaudi:

Il primo canone è che il male sociale ha le sue origini nel monopolio; e che la

lotta contro le ingiustizie e le diseguaglianze sociali ha nome di lotta contro il

monopolio. Il monopolio sta alla radice delle sopraffazioni dei forti contro i

deboli9.

Tutti gli strumenti sinora escogitati si sono rivelati non solo

insufficienti, ma addirittura velleitari. Lo stesso Decreto-legge, che

ha funzionato negli ultimi trenta giorni della piú recente campagna

elettorale, sarà, ora, dopo la sentenza della Corte costituzionale del

10 maggio, in gran parte inoperante: i rimedi immediati sembrano

molto difficili.

Si evidenzia sempre piú la necessità di una disciplina organica e

radicale della materia, con il divieto di assegnare ad un privato la

concessione di piú di una rete.

E perciò appare ancora piú indispensabile dare, per il momen-

to, una risposta positiva ai referendum abrogativi in materia di

legge Mammí.

Ma, posto anche questo esito positivo, che vivamente auspi-

chiamo, resterà sempre da pensare a una integrazione omogenea

dell’art. 21 della Costituzione: integrazione omogenea ai princípi

di libertà dello stesso articolo, ma a sua volta intesa a tutelare,

come è stato sinora, non solo i soggetti attivi di una manifestazio-

ne di pensiero, ma anche a garantire la possibilità concreta di liber-

tà e di scelta dei soggetti passivi, specialmente quanto all’influsso

di mezzi di comunicazione, cosí potenti e sistematicamente sugge-

stivi come gli attuali, non prevedibili alla data della Costituzione.

9. Altro argomento è quello della forma di Stato e del relativo

grado di autonomia degli enti inclusi, territoriali e non territoriali

(cioè associazioni di ogni tipo).

Abbiamo già sentito al riguardo, almeno per l’aspetto delle

autonomie territoriali, la relazione del professor Balboni.

In sostanza, mi pare che un’opinione, ora abbastanza diffusa e

ragionevole, si muova verso un federalismo moderato, sul model-

lo del Grundgesetz tedesco.

Rispetto al nostro ordinamento attuale, urge anzitutto la piena

attuazione delle norme vigenti, ancora non pienamente applicate;

e inoltre si possono auspicare riforme incisive e avanzate, al riguar-

do, purché si osservino alcune condizioni ben precise.

a) Anzitutto il rispetto di tempi necessariamente un po’ lenti

(almeno qualche anno, come auspicano gli studi della Fondazione

Agnelli, purché ci sia un rapido e sollecito inizio); e sempre l’os-

servanza rigorosamente leale delle procedure per la consultazione

delle popolazioni interessate: consultazioni previste dall’art. 132

relativo alle variazioni dei soggetti attuali (cioè al numero delle

Regioni e del loro territorio); e previste soprattutto dall’art. 138

(per quanto riguarda l’allargamento delle funzioni e competenze

oltre le materie ora fissate).

b) Il rispetto dei princípi supremi immodificabili della nostra

Costituzione: e in particolare il principio posto dall’art. 1 (l’Italia

è una Repubblica, ed è una Repubblica fondata sul lavoro); e quel-

lo posto dall’art. 5 (che ribadisce l’affermazione dell’unità e indi-

visibilità della Repubblica, e a un tempo il principio delle auto-

nomie locali e del decentramento amministrativo): ciò vuol dire

che si dovrà rispettare il livello unitario del Governo, che consen-

te di garantire gli obiettivi di eguaglianza delle condizioni di vita di

tutti i cittadini, in qualunque regione vivano, e insieme si dovrà

rispettare la diffusione, nel seno della società italiana, di una plu-

ralità di centri decisionali, che consentano la piú accentuata vici-

nanza tra governanti e governati.

Come osservazioni aggiuntive (che, del resto, ricalcano certe

parti della relazione Balboni) sottolineerei anzitutto che ancora

piú importante delle variazioni costituzionali sul riparto delle fun-

zioni tra Stato centrale e Regioni, può essere, e può risultare piú

realisticamente efficace, una coerente legislazione ordinaria, che si

proponga un’ampia e sistematica riforma di tutte le pubbliche am-

ministrazioni, e il loro effettivo decentramento locale: anche con

l’attribuzione alle strutture amministrative regionali dell’applica-

zione di leggi statali, oltre che di quelle regionali. Questo contri-

buirebbe in modo decisivo alla piú adeguata e pronta comunica-

zione tra istituzioni e cittadini, e a un piú proficuo raccordo fra gli

enti sociali intermedi (enti di categoria ed enti di volontariato ecc.)

ed enti territoriali di programmazione e di gestione.

In secondo luogo osserverei che va evitato il nuovo centralismo,

già abbastanza manifesto, da parte delle Regioni, a danno dei

Comuni: con una piú chiara distribuzione delle funzioni tra

Regioni ed enti territoriali inclusi in esse.

In terzo luogo, piú in senso generale, mi sembrano piene di

buon senso e di realismo le parole pronunziate recentissimamente

da Francesco Paolo Casavola che un federalismo piú accentuato o

piú confuso potrebbe essere

anacronistico e contro tendenza rispetto ai processi di espansione dell’econo-

mia, di intensificazione di tutela dell’ambiente, di evoluzione della tecnologia

delle comunicazioni, della rapidità dei trasporti, del movimento delle persone,

della domanda di eguaglianza nella erogazione dei servizi e nelle piú essenziali

prestazioni sociali10.

Infine, se mi può essere consentita qui una parola esplicita e

doverosa a favore del Mezzogiorno – guardando puntualmente

all’attuale quadro di forze sul piano nazionale – esprimerei una

valutazione molto severa nei confronti delle tesi e del comporta-

mento della Lega Nord. Anche le ultime dichiarazioni, dopo il

secondo turno delle elezioni regionali, dimostrano non solo la

ribadita volontà di procedere per conto proprio, senza tener conto

del quadro politico generale, ma anche l’intenzione precisa di con-

dizionare ogni suo atteggiamento, su qualunque problema, all’ac-

cettazione previa, da parte di qualunque interlocutore, della pro-

pria visione estrema del federalismo: ossia, in definitiva, di un

federalismo tendenzialmente secessionista, e comunque sempre

mirato sull’interesse, grettamente concepito, della Padania, a sca-

pito di tutto il Centro-sud.

Non credo che sia mai possibile per il nucleo duro della Lega,

e della sua base piú solida nelle valli delle prealpi, elevarsi a con-

cepire come il Centro-sud può essere altrettanto essenziale alla

Padania, quanto si pretende che la Padania sia stata sinora neces-

saria al Centro-sud, e ne abbia anzi sostenuto tutto il peso.

Non si considera abbastanza la reciprocità, malgrado tutto, del

bisogno e del vantaggio dell’unione fra le due parti, essenziale in

tutti i sensi: quindi anche nel senso dell’apporto umano, culturale,

sociale e politico, ma non meno, tutto considerato, nel senso dello

stesso apporto economico.

Un’Italia ridotta praticamente al solo Nord non avrebbe piú

nemmeno un decimo della sua attuale importanza politica, che è

certo – nonostante tutte le gracilità imputate al meridione una

importanza che risulta a un tempo dal fattore continentale e dal fat-

tore mediterraneo: tale congiunzione, che deve diventare sempre

piú una coniugazione armonica e valida dei due fattori, è il proprio

costitutivo imprescindibile dell’Italia e la ragione di tutta la sua rile-

vanza oggettiva, socio-economica, politica e culturale-spirituale.

10. Per il Parlamento, credo che si stia ormai creando un’opi-

nione abbastanza comune contro l’attuale bicameralismo parita-

rio, che implica un dispendio enorme di energie e di tempo, e un

grande rallentamento dell’attività legislativa. Anch’io aderisco

all’ipotesi della trasformazione del Senato in Camera delle

Regioni, o meglio delle Autonomie locali e delle grandi formazio-

ni sociali, riservando, per contro, alla Camera dei deputati la

rappresentatività politica generale.

Proprio della Camera dei deputati resterebbe il compito di con-

ferire o revocare la fiducia al governo, e il compito dell’attività

legislativa ordinaria.

Il concorso della Camera delle Regioni potrebbe essere chiesto

normalmente per le leggi che incidano sistematicamente sui rap-

porti tra Stato e Regioni; invece, per le altre leggi, tale concorso

potrebbe essere solo eventuale, e prevedere la prevalenza finale

della Camera dei deputati in caso di dissenso.

Si potrebbe poi sancire anche costituzionalmente il divieto di

legiferare se non su contenuti di principio: e quindi riservare al

governo, abitualmente, la formazione regolamentare.

Dovrebbe aggiungersi anche una rigorosa disciplina del

Decreto-legge, prevedendolo solo per ipotesi tassative, col divieto

di emendamenti in sede di conversione, e il divieto di reiterazione

anche per mancata conversione nei termini, e non solo per un

esplicito voto contrario del Parlamento.

Infine, dovrebbe essere disciplinato l’esercizio del potere di

bilancio del Parlamento, vietando la presentazione di iniziative e

di emendamenti comportanti aumento di spesa.

11. Passerei ora a dire il mio parere piú specificamente sul pro-

blema del Governo. Anche se si possono dire notevolmente atte-

nuate le tesi presidenzialiste, tuttavia un certo presidenzialismo

gode ancora qualche favore, soprattutto in una certa parte politi-

ca, e in qualche autore (come per esempio da ultimo il Cassese11).

Come è risaputo, è possibile distinguere varie forme di governo

presidenziale. Anzitutto il presidenzialismo degli U.S.A., che alcu-

ni continuano a idealizzare non solo astraendo dalla situazione

concreta del nostro Paese, ma anche ignorando le critiche e le ten-

denze revisioniste che si vanno diffondendo negli stessi Stati Uniti.

Il crescere in autorevolezza ed estensione delle obiezioni all’attua-

le sistema americano ha portato recentissimamente al nascere di

uno speciale comitato cosiddetto «per il sistema costituzionale»,

dal quale emergono varie proposte tutte volte a innestare sul tron-

co del sistema presidenziale istituti tipici del sistema parlamentare.

Sia pure senza approfondire, in questa sede, i risultati complessi

della revisione ora ventilata in America, possiamo ricavarne per lo

meno l’osservazione che neppure l’unico caso di sistema presiden-

ziale che ha garantito le libertà e i diritti civili e politici può costi-

tuire un esempio incoraggiante per uno Stato come il nostro, in cui

il sistema parlamentare ha consentito un costante processo

democratico, non compiuto, ma certo non revocabile.

Le altre ipotesi di presidenzialismo vengono tutte dai Paesi del

Sud America, con quali esperienze concrete e risultati di libertà e

di garanzia dei diritti civili e politici, tutti, credo, sappiamo: tanto

che nessuno accenna a farsene un fautore.

Resta l’ipotesi del semipresidenzialismo francese, che può por-

tare alla grave discrasia, come è già avvenuto sino a questi ultimis-

simi giorni, della difficile «coabitazione» tra un Presidente eletto

da un certo schieramento, e una maggioranza parlamentare anta-

gonista: mentre i suoi possibili vantaggi possono essere assicurati

da una semplice revisione del nostro sistema parlamentare.

Ci sarebbe infine da dire una parola sul presidenzialismo «all’i-

taliana» della proposta Segni, per l’investitura popolare di un lea-

der al vertice del potere esecutivo, prescindendo poi da qualunque

contrappeso o controllo in tutto il periodo del suo mandato: un

presidenzialismo, quindi, che assomiglia ad una monarchia eletti-

va, e di cui il professor Gianni Ferrara, dopo averne fatto un’ana-

lisi acuta, conclude:

Si tratta di un sistema mai sperimentato, perché nessun costituente, di nessun

Paese al mondo, ha mostrato tanta insipienza da sceglierlo12.

Invece, io fermamente penso che sia conforme (anzi, secondo il

professor Allegretti, sarebbe il solo conforme13) al principio fon-

damentale della nostra Costituzione sulla pluralità e distinzione di

centri di potere diffusi, il conservare il sistema parlamentare con

alcune revisioni e integrazioni, già adottate anche da Costituzioni

piú recenti, per render piú stabile, piú coordinata e piú efficiente

l’azione del governo.

Basterebbe quindi introdurre l’elezione parlamentare del Primo

Ministro, sia pure confermato dal Capo dello Stato, e soggetto solo

alla sfiducia costruttiva da parte dell’Assemblea che lo ha investi-

to e che, togliendogli la fiducia, deve designare a un tempo un

nuovo Primo Ministro; nonché la nomina dei Ministri da parte del

Primo Ministro, salvo un controllo di competenza, regolato da

norme precise. Aggiungendo poi il divieto del cumulo della fun-

zione di membro del governo con la funzione di parlamentare, si

realizzerebbe quella separazione tra il potere esecutivo e il potere

legislativo che anche il Cassese auspica.

Infine, oltre alle norme di revisione costituzionale sulla forma di

governo, si dovrebbe affermare costituzionalmente l’indipendenza

delle pubbliche amministrazioni dal potere politico, cui certo spet-

terebbe sempre una funzione di indirizzo, ma affermandosi a un

tempo la responsabile autonomia delle amministrazioni nella rea-

lizzazione degli obiettivi proposti dal potere governativo di indi-

rizzo.

12. Quanto alla procedura necessaria per introdurre le revi-

sioni suddette nella vigente Costituzione, non può essere altra da

quella prevista dall’art. 138 in ogni caso, e in modo assoluto.

Tanto meglio se, prima di iniziare qualunque tappa delle revisio-

ni suddette, si potranno adottare le precisazioni proposte dal già

accennato progetto Bassanini-Elia sulla maggioranza rinforzata a

due terzi di ciascuna delle Camere, e sulle precisazioni intese a

garantire l’omogeneità dei quesiti proposti a referendum confer-

mativo.

Torna qui l’opportunità di dire, a proposito di questo progetto

Bassanini-Elia, che esso è urgente e prodromico ad ogni ipotesi di

revisione costituzionale, e perciò dovrebbe necessariamente essere

incluso nell’agenda dell’attuale Parlamento, prima di un suo even-

tuale scioglimento.

E per di piú – come ha già sostenuto Franco Bassanini su «La

Repubblica» del 29 aprile scorso – dovrebbe non essere difficile rag-

giungere una intesa su queste norme preliminari, che potrebbero

dare a tutti, progressisti e conservatori, la certezza che la vittoria della parte

avversa non metterebbe a rischio i diritti, le libertà, le regole democratiche. È

dunque una garanzia che la sinistra deve alla destra, e la destra alla sinistra. Una

garanzia da dare prima delle elezioni, finché dura il velo di ignoranza sull’esito

della competizione elettorale.

E cosí, dopo tanti accesi e quasi furiosi dibattiti dell’ultimo

anno, si avrebbe un risultato finalmente pacato e concorde: cioè

quella piú vasta e costruttiva adesione di tutte le parti e compo-

nenti politiche, che tenderebbe a eguagliare quella che si è avuta,

cinquant’anni fa, subito dopo la guerra, nel ‘47, e riuscirebbe a

confermare alla revisione costituzionale il sigillo di un rinnova-

mento unitario del nostro Patto nazionale.

Per qualunque altra strada fuori di questa, si imboccherebbe il

«sentiero di guerra» di lacerazioni e divisioni, forse fatalmente

inarrestabili.

13. Alla fine, vorrei dire soprattutto ai giovani: non abbiate pre-

venzioni rispetto alla Costituzione del ‘48, solo perché opera di

una generazione ormai trascorsa. La Costituzione americana è in

vigore da duecento anni, e in questi due secoli nessuna generazio-

ne l’ha rifiutata o ha proposto di riscriverla integralmente: ha sol-

tanto operato singoli emendamenti puntuali al testo originario dei

Padri di Philadelphia, nonostante che nel frattempo la società

americana sia passata da uno Stato di pionieri a uno Stato oggi

leader del mondo.

Non lasciatevi influenzare da seduttori fin troppo palesemente

interessati, non a cambiare la Costituzione, ma a rifiutare ogni

regola.

Il mio Maestro, pugliese pure lui, giurista di eccezionale acume,

ermeneuta egualmente grande nel Diritto canonico come nel

Diritto civile, Vincenzo Del Giudice, ripeteva di frequente che

tutte le leggi sono come le scarpe: troppo nuove, in principio, pos-

sono fare male al piede, ma con l’uso, pian piano si assestano e

divengono comode.

Non lasciatevi neppure turbare da un certo rumore confuso di

fondo, che accompagna l’attuale dialogo nazionale. Perché, se mai,

è proprio nei momenti di confusione o di transizione indistinta che

le Costituzioni adempiono la loro funzione piú vera: cioè quella di

essere per tutti punto di riferimento e di chiarimento.

Cercate quindi di conoscerla, di comprendere in profondità i

suoi princípi fondanti, e quindi di farvela amica e compagna di

strada. Essa, con le revisioni possibili ed opportune, può garantir-

vi effettivamente tutti i diritti e tutte le libertà a cui potete ragio-

nevolmente aspirare; vi sarà presidio sicuro, nel vostro futuro,

contro ogni inganno e contro ogni asservimento, per qualunque

cammino vogliate procedere, e qualunque meta vi prefissiate.

E questo vale per voi non solo personalmente, ma può valere,

allo stesso modo e con la stessa intensità, per tutto il nostro popo-

lo. È un momento delicato e complesso, non solo all’interno, ma

anche all’esterno: intendo, per tacere d’altro, anche rispetto

all’Europa.

L’Europa cerca se stessa, e non si trova. Anche il trattato di

Maastricht langue e non procede. Tanto che qualcuno tende a cer-

care, se non l’Europa, quello che dovrebbe essere il nucleo duro di

essa (cioè Germania, Francia, Olanda, Lussemburgo, e infine,

nonostante tutto, il Belgio). E l’Italia? Pochi anni fa, avrebbe potu-

to concorrere paritariamente a questo nucleo duro. Ora, invece, è

molto vicina – se non si affretta a ristabilire anzitutto le sue finan-

ze, a riordinare tutte le pubbliche amministrazioni, e a condurre

una solida politica economica, statale e non statalista – a perdere

sempre piú peso (come sta dimostrando la sorte della nostra can-

didatura al Consiglio di Sicurezza dell’ONU): piú ancora rischia di

disgregarsi in un Nord sempre piú attratto dalle vicine settentrio-

nali (Germania e Francia), e in un Sud «affogato nel Mediterraneo

arabo-balcanico» (come prospetta l’ultimo numero della rivista

«Limes»14).

Soltanto quel sano, forte, diffuso, «Patriottismo della Co-

stituzione» – cui accennavo sopra – può essere una luce orienta-

trice e una forza aggregante, capace, concorrendo altri fattori, di

vivificare una nuova intesa fra tutte le componenti tradizionali del

nostro popolo, e di stimolare una ripresa collettiva che non ci fac-

cia perdere, forse per sempre, l’ora della storia.