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5 novembre 2010

Piombo Fuso: Oltre 400 Indagini Militari In Corso

I casi indagati dalla Polizia Militare israeliana in seguito al Rapporto redatto dal Procuratore generale Mandelblit confermano quanto già detto più volte dal giudice Goldstone: “i soldati israeliani hanno commesso crimini di guerra”.

Gerusalemme, 5 novembre 2010 Nena News

Sono 400 i casi di violazioni e abusi commessi da ufficiali e soldati dell’esercito israeliano durante l’offensiva militare, in codice “Operazione Piombo Fuso”, il terribile attacco sferrato da Israele sulla Striscia di Gaza che tra dicembre 2008 e dicembre 2009, che ha provocato la morte di più di 1380 palestinesi, di cui 330 bambini.  

Si tratta di 400 casi emersi e analizzati negli ultimi 18 mesi dopo che la Polizia Militare israeliana ha interrogato oltre 600 ufficiali e soldati: sui casi investigati, per 50 si sono aperte vere e proprie indagini criminali, 20 hanno ricevuto degli avvisi di garanzia e 3 soldati sono invece stati accusati di aver commesso crimini e abusi. Si tratta di accuse di natura criminale, cattiva condotta e disobbedienza alle direttive militari, direttive che proibiscono l’uso di civili nel corso delle operazioni. Questi i dati diffusi mercoledì dall’esercito, mentre il generale Ashkenazi inviava a tutti i sodati e ufficiali israeliani, una lettera spiegando la necessità di “garantire la credibilità dell’esercito e di indagare le violazioni commesse”, cercando così di placare le polemiche e le critiche che nell’opinione pubblica e all’interno dei ranghi dell’esercito, si sono sollevate contro chiunque voglia fare chiarezza, anche internamente, sui crimini commessi dall’esercito nel corso di Operazione Piombo Fuso.   

I dati sono stati resi pubblici in un periodo in cui oggetto delle polemiche è il procuratore militare Avichai Mandelblit, criticato per aver rinviato a giudizio il mese scorso i due soldati della Brigata Givati, che avevano costretto un ragazzino palestinese di 9 anni ad aprire delle borse sospette, nel mese di gennaio 2009, borse che avrebbero potuto contenere trappole esplosive. Mandelblit è tra l’altro autore di un rapporto redatto a luglio sulla condotta dell’esercito, tra la fine di dicembre 2008 e l’inizio del 2009, l’unico rapporto redatto da Israele che sia minimamente credibile e che di fatto conferma quanto era già stato reso pubblico con il Rapporto Goldstone. 

Ma in seguito all’ulteriore vicenda dei due soldati della Brigata Givati, al procuratore militare, è stato attribuito l’appellativo di “traditore”: sui muri della sua abitazione a Petah Tikva e nei quartieri cicostanti si legge in questi giorni “Mandelblit e Goldstone sono traditori”. Un atto di protesta contro le accuse rivolte all’esercito israeliano. 

Fu lo stesso Mandelblit a riaprire il caso del colonnello Ylan Malka, dopo aver visionato il file operativo raccolto nel corso delle indagini interne dell’esercito stesso. Malka, colonello della Brigata Givati durante Operazione Piombo Fuso, fu l’ufficiale a dare l’ordine del bombardamento aereo sull’edificio dove viveva la famiglia al-Samuni, nel quartiere di Zaitun a Gaza City, un bombardamento che provocò 29 vittime e oltre 45 feriti, tutti componenti della stessa famiglia. Gli al –Samuni hanno tra l’altro presentato una richiesta formale di risarcimento danni del valore di 851 milioni di shekel, all’allora Primo Ministro Olmert, al Ministro della Difesa Barak e al capo dell’esercito Gabi Ashkenazi.  Il caso del colonnello Malka era già stato ampiamente analizzato nel Rapporto Goldstone; in seguito all’indagine aperta dal procuratore Mandelblit, la promozione a brigadiere generale, gli è stata sospesa e Malka è soggetto ora a provvedimenti disciplinari.  Nel corso delle indagini, il colonnello aveva dichiarato agli inquirenti,  di non essere stato a conoscenza della presenza di civili nell’edificio nel momento in cui dava l’ordine del bombardamento aereo, e di aver appreso della famiglia al-Samuni solo in seguito.

Il caso di Malka, precede di poche settimane quello di altri due soldati della brigata Givati, accusati a inizio ottobre di aver oltrepassato l’autorità loro consentita e di condotta riprovevole. I parenti dei due soldati anche in quel caso si sono presentati alla seduta della corte indossando magliette con la scritta “siamo tutti vittime di Goldstone”. I soldati sono stati accusati di aver costretto un ragazzino palestinese ad aprire borse e valigie sospette nel quartiere di Tel al Hawa, durante i giorni di Operazione Piombo Fuso. 

Il procuratore Mandelblit ha comunque deciso di procedere ad azioni legali solo in 4 sui 23 casi menzionati nel rapporto Goldstone (23 casi cioè di crimini di guerra documentati, perpetrati a danno di civili palestinesi da parte dell’esercito israeliano), procedendo all’archiviazione di tutti gli altri.

Nel rapporto Mandelblit uscito a luglio, si legge la conferma dell’uso del fosforo bianco a Gaza contro il compound delle Nazioni Unte, in aperta contraddizione con l’enorme bugia più volte raccontata all’opinione pubblica israeliana nell’immediato post-operazione, e ripetuta dal report dell’IDF  dell’aprile 2009, che nega fermamente l’utilizzo di munizioni al fosforo bianco nelle aree abitate di Gaza. 

Sebbene la commissione di esperti ONU, incaricata di valutare i procedimenti giudiziari intrapresi sia da Israele che dalle autorità di fatto della Striscia di Gaza, abbia sempre valutato le indagini interne da entrambi le parti “né indipendenti, né adeguate agli standard internazionali”, il rapporto Mandelblit ha fatto si che le indagini attuali si aprissero, con una sostanziale conferma di almeno parte di ciò che appare nel rapporto Goldstone. E a conferma anche che nonostante l’irriverente campagna diffamatoria sollevata contro il giudice sudafricano, l’era Goldstone, ha aperto una breccia, seppure piccola, nel sistema interno militare di Israele, che ha da sempre garantito l’impunità dei crimini commessi. Non è un caso che lo stesso rapporto Mandelblit non sia mai stato commentato pubblicamente, se non nelle quarte e quinte pagine di pochissimi quotidiani israeliani, e secondo quanto riportato da Yedioth Aharonoth, il Ministro degli Esteri israeliano si è rifiutato di pubblicarlo in versione ebraica sul sito ufficiale, rendendolo disponibile solo sulla versione inglese. Nena News

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