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18/05/2010

Gaza, colpirne cento per educarne uno
di Francesca Borri


L'ultimo libro di Norman Finkelstein, This time we went too far, è disponibile solo online su ORbooks

Vedi anche il suo film American Radical, ai link qui sotto:

http://vimeo.com/8337747

http://www.americanradicalthefilm.com/


Mai come durante Piombo Fuso i palestinesi sono sembrati ostaggio di un invincibile Israele, impermeabile al diritto e alla critica.
L'analisi di Norman Finkelstein

Oltre millequattrocento vittime, in larga maggioranza civili. Ma secondo il rapporto ufficiale del governo, l'Operazione Piombo Fuso ha dimostrato l'estrema precisione della tecnologia militare israeliana - un solo edificio colpito per errore. La conclusione della commissione Goldstone, dunque, è più analisi logica che lettura politica: "La massiccia distruzione dell'infrastruttura economica e sociale di Gaza è stata l'esito di una intenzionale pianificazione, lungo l'intera catena di comando" - dai soldati che hanno eseguito gli ordini, ai generali che li hanno impartiti, ai politici che li hanno approvati.

La Dottrina Dahiya. Allevamenti di polli, mulini per la farina, riserve di acqua - fino al bombardamento di ambulanze e rifugi delle Nazioni Unite: la violenza dell'Operazione Piombo Fuso è stata indiscriminata e sproporzionata rispetto al dichiarato obiettivo di fermare i razzi di Hamas. Interpretata da molti come cinica campagna elettorale per l'imminente rinnovo della Knesset, una simile violenza si era in realtà già vista, però, un paio di anni prima. Era il turno del Libano - e non erano in calendario elezioni, nota Finkelstein. Perché la vera ragione della guerra di Gaza, e soprattutto, del suo carattere di guerra contro la popolazione civile, è stata invece per Israele la necessità di ripristinare la propria capacità di deterrenza - seriamente minata negli ultimi anni da Hezbollah: un movimento che lo ha costretto al ritiro, ed è oggi un pilastro del governo Hariri, dopo avere resistito all'assalto del 2006: e rivendica dunque la superiorità delle armi rispetto a negoziati e compromessi che da Oslo in poi non hanno generato che apartheid. E da qui allora, sostiene Finkelstein, dal successo di Hezbollah, l'urgenza per Israele di riaffermare la propria invincibilità. D'altra parte, è una costante della sua storia. Nella ricostruzione di Tom Segev, per esempio, l'attacco preventivo del 1967, guerra di difesa per eccellenza, nella mitologia nazionale, si ribalta in guerra di deterrenza: se i comuni cittadini percepirono incombente un secondo Olocausto, i vertici politici e militari non ebbero mai dubbi sui reali rapporti di forza: e l'opportunità per colpire, quindi, e demolire, il crescente prestigio di Nasser nel mondo arabo - "o perderemo la nostra arma principale: la paura nei nostri confronti", spiegò il generale Ariel Sharon. Una paura incrinata, quarant'anni dopo, da quello che è oggi per molti "il modello Hezbollah". Per questo la scelta di un nuovo obiettivo: il più semplice e indifeso, Gaza: già stremata da un lungo assedio - e senza più neppure acqua potabile. Ma anche la scelta di una nuova strategia, questa volta, la cosiddetta "dottrina Dahiya", periferia sciita di Beirut divelta dagli israeliani: irrealistico, infatti, pensare di sradicare il terrorismo con la chirurgia di azioni mirate: l'unica è abbattersi sulla popolazione con indiscriminata e sproporzionata violenza, scardinare la possibilità di una vita normale - perché sia la popolazione stessa a pretendere il cambio di regime. Togliere l'acqua ai pesci, si sintetizzava in Vietnam: "una forma di pedagogia", nell'attualizzazione e nobilitazione di Thomas Friedman: educare attraverso la paura. Eppure non è solo il diritto internazionale a vietare l'uso di essere umani come strumento di deterrenza - è prima ancora la Torah: e il suo uomo a immagine di Dio, fine in sé, e mai mezzo.

Autodifesa dalla pace. Secondo Finkelstein, il pericolo maggiore è per Israele l'esistenza ormai di un largo e crescente consenso internazionale sulla soluzione di fondo del conflitto - due stati indipendenti e sovrani e il principio del ritorno dei rifugiati. La Lega Araba insiste da otto anni sulla sua proposta di normalizzazione dei rapporti con Israele in cambio della fine dell'occupazione - una proposta poi adottata dai paesi della Conferenza Islamica: Iran incluso. E se Fatah, in forma di Autorità Palestinese, è anche troppo pronta al dialogo e compromesso, Hamas ha smentito giorno a giorno tutti gli stereotipi occidentali sul fondamentalismo islamico. Arrivata al potere con democratiche elezioni, ha confermato più volte la conversione alla soluzione dei due stati, e immediatamente mediato una tregua con Israele: in un momento di profonda emergenza economica e sociale, infatti, davanti a cui persino le acrobazie e anestesie lessicali dei diplomatici delle Nazioni Unite si sono arrese, denunciando "una dignità umana in crisi", la sua priorità era garantirsi un periodo di relativa stabilità e sicurezza per tentare di rispondere alle necessità più basilari di un popolo ridotto alla malnutrizione. Isolata da un embargo, e senza più neppure le entrate fiscali, trattenute da Israele, Hamas non ha reagito, e ha comunque onorato la tregua: è stato Israele infine a violarla, per innescare l'ennesimo cortocircuito di incursioni e controincursioni e incidenti di frontiera - fino a Piombo Fuso. Perché l'obiettivo semplicemente, sostiene Finkelstein, era radicalizzare o eliminare Hamas: questo inatteso e pragmatico, credibile partner di negoziato - soprattutto per l'amministrazione Obama in arrivo. Per Israele, d'altra parte, non è la prima guerra di autodifesa da un'offensiva di pace: nel 1981 l'OLP di Arafat, insediata a Beirut, fu decimata e costretta a trasferirsi a Tunisi - erano gli anni del consolidarsi del consenso intorno alla soluzione bistatuale. L'ultimo scudo di Israele, in questo senso, è la richiesta del riconoscimento della sua natura ebraica - e cioè della cittadinanza di seconda classe della sua larga minoranza araba: un riconoscimento inaccettabile, e che protegge così Israele dal pericolo di vivere in pace, normale: nazione tra le altre nazioni.

La forza della ragione. La ferocia di Piombo Fuso ha richiamato alla memoria di tanti la ferocia del massacro di Sabra e Chatila, con cui si concluse quel primo intervento in Libano. All'epoca, però, le indagini furono tutte interne a Israele: e individuati due falangisti, Elie Hobeika e Fadi Frem, come responsabili diretti, il Rapporto Kahan si limitò a un'accusa di negligenza per Ariel Sharon, ministro della difesa, Rafael Eitan, capo di stato maggiore, e Amos Yaron, comandante dell'esercito a Beirut - consentirono ai loro soldati di rimanere indifferenti a guardare. Questa volta, invece, le indagini sono state condotte dalle Nazioni Unite, e l'esito è stato il Rapporto Goldstone, decisamente più tagliente nel denunciare crimini di guerra, e ipotizzare crimini contro l'umanità - e soprattutto, nel contestualizzare l'Operazione Piombo Fuso in quarant'anni di occupazione: sgretolando così la retorica israeliana dell'autodifesa, e interpretando invece il periodico ricorso alla forza come parte integrante di una strategia di dominio e colonizzazione. E se Elie Hobeika, chiamato da un tribunale belga a spiegare i rapporti tra falangisti e israeliani in nome del principio di giurisdizione universale, è esploso insieme alla sua auto a Beirut il giorno dopo essersi dichiarato disponibile a testimoniare, oggi Tzipi Livni evita la Gran Bretagna per timore di un'incriminazione. Secondo Finkelstein, questo inedito protagonismo del diritto internazionale, insieme a una campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni che guadagna solidità, segnala inequivoco il nuovo e diverso, più incisivo approccio a Israele dell'opinione pubblica occidentale. Il fallimento della Seconda Intifada e della resistenza armata ha ristrutturato e approfondito l'alleanza, consapevole e non più istintiva, tra i palestinesi e gli attivisti internazionali - in nome dell'unica forza possibile, contro Israele: la forza della ragione. Una battaglia per la legittimità delle proprie rivendicazioni: una "legitimacy war", nella definizione di Richard Falk - tradotta e distorta in Israele come una "guerra per la delegittimazione": e cioè l'ennesima antisemita. Ma più semplicemente, la vecchia battaglia per la terra è diventata ormai una battaglia per la giustizia, e dunque una battaglia anche in nostro nome: per una comunità internazionale in cui non sia più possibile violare impuniti le più minime regole di convivenza.

La minaccia Goldstone. E infatti, Netanyhau ha adesso aggiunto la "minaccia Goldstone" alla minaccia Ahmadinejad. Riferendosi, però, non solo al diritto internazionale. Perché Richard Goldstone, magistrato sudafricano, già procuratore del tribunale penale per la ex Jugoslavia, con la sua autorevolezza e credibilità è immune dalle accuse di parzialità. Ma soprattutto, di antisemitismo: perché non è solo un ebreo, un ebreo praticante che riassume il suo lavoro di consegnare alla giustizia i criminali di guerra come "la lezione dell'Olocausto": è un sionista, la cui figlia ha compiuto aliyah. La minaccia Goldstone, dunque, è in realtà la minaccia di una critica ebraica a Israele: ma non più la critica neutralizzabile degli ultraortodossi e dei laici: questa volta, una critica sionista - la critica di chi non discute la legittimità dell'esistenza di Israele, ma delle sue politiche. Ed è una critica che dilaga. Sulle orme del gruppo americano Jstreet, si è costituito in queste settimane il gruppo europeo Jcall: ebrei secondo cui l'occupazione è "un errore morale e politico", e un pericolo per quell'Israele che definiscono "una parte integrante" della propria identità - "allinearsi al governo israeliano è contro i veri interessi dello stato di Israele, la cui sopravvivenza in quanto stato ebraico e democratico è strettamente legata alla creazione di uno stato palestinese sovrano e autosufficiente".

La lezione del 1948. Sono sessant'anni ormai, dice Ilan Pappé: ma ancora, quello che colpisce non è quello che Israele fa, è quello che gli si consente di fare - il parallelo con il Sudafrica dunque, non si limita all'apartheid: è la convinzione che solo la mobilitazione e pressione dell'opinione pubblica internazionale sia capace di condizionare e frenare Israele. E dal Rapporto Kahan, finalmente, si è arrivati al Rapporto Goldstone. Eppure, nel 1982 quell'inchiesta fu pretesa da una piazza traboccante di 400mila manifestanti - i primi passi della sinistra pacifista. A Gaza invece, per due terzi degli israeliani, l'errore è stato "fermarsi troppo presto". Qualcosa è cambiato, dice Finkelstein, perché "this time we went too far". Ed è senza dubbio vero. Qualcuno infatti, in Israele, si è perso per strada. Ma non solo a destra.

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