Tratto da La Nonviolenza è in Cammino

Verso il 2 Ottobre.La Nonviolenza Come Pratica Viva
di Carla Biavati 

Per un profilo di Maria Carla Biavati vi reinviamo all'ampia intervista apparsa nei "Telegrammi della nonviolenza in cammino" n. 255, e anche qui sotto (ndr).

Vorrei partecipare alla giornata mondiale dedicata alla nonviolenza da - diciamo cosi' - una posizione "dal basso".
 
Non sono particolarmente esperta di tematiche geopolitiche dell'area mediorientale, ma da sei anni partecipo alle lotte nonviolente dei paesani dei villaggi palestinesi nella west bank e li conosco uno per uno, giovani e meno giovani, sindaci e contadini, e conosco pure i volontari internazionali che vengono con me a prendersi le pallottole di gomma (e ultimamente anche quelle "vere") ed i lacrimogeni a tutte le manifestazioni che vengono organizzate nei villaggi, a Bi'lin, Al Masara Nil'in, Budrus, Sheik Jarrah e tanti altri.
 
Mi piace dire che sono anche amica dei giovani e meno giovani israeliani che stanno insieme a noi sempre in prima fila a "proteggere" come possono i manifestanti dei villaggi.
 
Perche' partecipo e sono cosi' assidua a queste proteste?
 
E' soprattutto per la loro limpida linea di azione, la loro scelta di agire sempre secondo i metodi e le tecniche gandhiane, la loro ingenua organizzazione e la loro orizzontalita'.
 
Pur non essendo un'esperta di politica negli anni ho visto accadere tante polemiche, tentativi di manipolazione e di gestione "dall'alto" che sono pero' tutti falliti. Spiego meglio: le lotte contro il percorso del muro nate spontaneamente dai paesani privati dei loro campi ecc. sono diventate, in un momento di stallo e nullificazione dei tentativi di soluzioni politiche, l'unica base di protesta popolare sul terreno, e quindi i comitati importanti, come Stop the Wall hanno cercato di organizzarli, ed anche i politici dell'Anp si sono precipitati a finanziamento e sostegno.
 
I nostri amici pero' hanno lottato per lasciare libera la loro organizzazione di uno sviluppo spontaneo nei villaggi rifiutando una organizzazione centralizzata, preferendo un coordinamento molto elastico che permettesse ai villaggi di auto-organizzarsi come meglio credevano. Inoltre, hanno fornito persone esperte di strategie nonviolente che istruissero i partecipanti, molti giovani della Holy land trust di Betlemme (allievi di Mubarak Awad) si sono recati a raccontare il percorso gandhiano, altri giovani israeliani hanno informato circa l'addestramento e la mentalita' dei soldati dell'Idf e alcuni responsabili delle proteste hanno sostenuto i locali nell'organizzazione logistica.
 
E' vero che negli ultimi due anni i raid continui e gli arresti indiscriminati hanno portato il Comitato ad accettare un sostegno economico da parte dell'Anp per coprire le spese legali. E' vero anche che la Conferenza di Bil'in e' diventata un punto fondamentale per l'incontro di personaggi nazionali ed internazionali a supporto della lotta nonviolenta palestinese e questo ha favorito le polemiche circa gli invitati presenti, pero' e' altrettanto vero che l'Onu, i politici dell'Anp, i rappresentanti di tutti i partiti politici, gli intellettuali e gli attivisti nazionali ed internazionali sono invitati liberamente e non in modo selettivo, ad indicare strumenti e percorsi per continuare le proteste contro il muro.
 
Quest'anno il grande regalo che ho portato a casa e' stata la presenza dei responsabili politici di Hamas che hanno non solo partecipato alla conferenza, ma anche appoggiato la lotta nonviolenta dei villaggi, fatta da giovani appartenenti al partito senza simboli politici e senza violenza. Il rappresentante politico di Hamas ha testualmente detto: "Nonostante le divisioni politiche insuperabili tra le nostre fazioni i giovani che lottano disarmati con i loro corpi di fronte ai soldati israeliani stanno costruendo una coscienza comune che supera ogni divisione e ci danno la speranza di riuscire a ricostruire una unita' nazionale dal basso, insegnandoci un dialogo sincero che nelle segreterie non sappiamo piu' riconoscere".
 
In fondo dobbiamo capire che la lotta nonviolenta dei villaggi rappresenta per le popolazioni locali l'unico sbocco attivo possibile dall'oppressione causata dall'occupazione e dall'emarginazione imposta dal muro. Inoltre rappresenta un nuovo modello di lotta che smaschera la violenza gratuita e immotivata delle forze di occupazione. I giovani israeliani che partecipano attivamente, nonostante non siano molti, sono in continua crescita, come anche i villaggi che si uniscono alle proteste del venerdi'. Ed anche gli attivisti internazionali aumentano di anno in anno.
 
Un mio amico israeliano mi ha detto: "E' soltanto qui che trovo la forza per continuare a vivere in Israele, qui ho capito che i palestinesi non ci odiano, e le loro radici profonde in questa terra possono diventare anche le nostre solo se riusciremo ad accettarli come i nostri fratelli piu' cari, la loro vicinanza ed il riconoscimento che hanno per noi mi aiutano a credere in uno stato unico per entrambi i nostri popoli, aperto al mondo e alle altre culture. Oggi sono quasi felice, dormo bene, mi sento protetto dall'affetto dei miei amici e mi basta".
 
Ecco, per me e' tutto qui.
 
Ho scelto di raccontare questa esperienza per celebrare la nonviolenza come pratica viva, attiva e in espansione.
 
La nonviolenza e' il "nuovo" per l'umanita', celebriamola, ma soprattutto pratichiamola: essa e' l'unico strumento capace di traghettare il nostro vecchio ed esausto pianeta in un futuro possibile.


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