Tratto da La Nonviolenza è in Cammino

Verso Il 2 Ottobre. Il Valore Insuperabile della Persona
di Raniero La Valle

Raniero La Valle e' nato a Roma nel 1931, prestigioso intellettuale, giornalista, gia' direttore de "L'avvenire d'Italia", direttore di "Vasti - scuola di ricerca e critica delle antropologie", presidente del Comitato per la democrazia internazionale, gia' parlamentare, e' una delle figure piu' vive della cultura della pace; autore, fra l'altro, di: Dalla parte di Abele, Mondadori, Milano 1971; Fuori dal campo, Mondadori, Milano 1978; Dossier Vietnam-Cambogia, 1981; (con Linda Bimbi), Marianella e i suoi fratelli, Feltrinelli, Milano 1983; Pacem in terris, l'enciclica della liberazione, Edizioni Cultura della Pace, S. Domenico di Fiesole (Fi) 1987; Prima che l'amore finisca, Ponte alle grazie, Milano 2003; Chi e' dunque l'uomo?, Servitium, 2004; Agonia e vocazione dell'Occidente, Terre di mezzo, 2005; Se questo e' un Dio, Ponte alle grazie, Milano 2008; Paradiso e liberta', Ponte alle grazie, Milano 2010
 
La nonviolenza e' una realta' seconda. Farne una realta' prima e' pericoloso, perche' per autofondarsi essa e' costretta a trasformarsi in ideologia, e a dover cercare legittimazioni dove non puo' trovarle, come per esempio nella  certezza della sua efficacia, nella sua maggiore utilita', nella sua maggiore capacita' di raggiungere i fini che i mezzi violenti o ritenuti tali non conseguirebbero. Declinata in termini utilitaristici la nonviolenza e' esposta a brucianti smentite.
 
La nonviolenza e' seconda rispetto a una realta' prima. Il "valore insuperabile della persona", dice Domenico Gallo. Un ordinamento che riducendo al minimo la violenza renda possibile la pace interna e internazionale, dice il diritto. La fiducia, aggiungerei io, essendo la fiducia nell'uomo - negli altri uomini, nelle altre donne - la condizione di razionalita' della nonviolenza. Senza fiducia la nonviolenza sarebbe eroica, ma non ragionevole.
 
Naturalmente parlando di fiducia non si intende qui uno stato d'animo, un sentimento mutevole, che puo' esserci o non esserci, cio' che renderebbe anche la nonviolenza eventuale e precaria. Per fiducia si intende qui una disposizione fondamentale nel rapporto con l'altro basata su una antropologia positiva, non pessimistica. Le antropologie pessimiste sono matrici della violenza, ed e' infatti su antropologie pessimistiche che sono stati fondati istituti violenti come i sacrifici, la guerra e perfino lo Stato moderno, teorizzato al suo sorgere come il rimedio coattivo e violento a una societa' di lupi, che lasciata al suo stato di natura sarebbe pervasa da una uccidibilita' generalizzata. Le antropologie pessimiste, che insistono su una natura umana inclinata al male, o sull'idea di una umanita' decaduta e deformata rispetto alla sua figura originaria, deprimono le potenzialita' umane, negano credito alle possibilita' di una gestione pacifica della storia e sono all'origine delle versioni violente dei miti della redenzione, quando questa viene intesa come riparazione o soddisfazione cruenta pretesa da un Dio violento bisognoso di un risarcimento per l'offesa ricevuta.
 
L'antropologia positiva (a cui allude l'affermazione biblica dell'uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio) destituisce di fondamento il pensiero sacrificale, permette la fiducia e rende possibile e ragionevole l'operazione storica nonviolenta.
 
Perche' papa Giovanni XXIII pote' licenziare i "profeti di sventura", riconoscere i segni dei tempi e revocare la guerra non solo come contraria al diritto, ma come fuori della ragione, pur nel pieno dell'equilibrio del terrore? Perche' ritenne possibile sostituire al terrore la fiducia; ritenne che non ci fosse motivo per non credere che i popoli si armassero non gia', come affermavano, per aggredire, ma per dissuadere gli altri dall'aggressione. La spirale della corsa agli armamenti nucleari non poteva arrestarsi finche' ciascuno continuasse a non credere che l'altro non volesse aggredirlo; ma a rompere la spirale bastava che uno ci credesse. Papa Giovanni chiese il disarmo e la pace, perche' affermo' che "non c'era motivo di non credere" ai popoli che dicevano di non volersi aggredire. E se ci si fosse creduto, la violenza delle armi sarebbe stata neutralizzata. Sia pure con fatica e con ritardo i responsabili dei popoli seguirono quella strada, si diedero fiducia, e le armi atomiche non spararono. Non per questo nel Novecento trionfo' la nonviolenza; ma certo quel massimo di violenza che sarebbe stato il conflitto nucleare fu scongiurato; ed e' anche per questo che di nonviolenza, in senso ben piu' radicale, possiamo ancora parlare.

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