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09/03/2010

Spianata del moschee, un problema anche giordano
di Marta Bellingreri

Le varie forme della protesta dello Stato mediorientale, dove i regnanti hashemiti discendono direttamente dal profeta Maometto

A due settimane dall'annuncio da parte del governo israeliano che riguarda l'inclusione delle moschee di Bilal a Betlemme e la moschea di Abramo a Hebron nel "patrimonio storico ebraico", immediatamente seguito dalla voce del ministro dell'Informazione giordano, Nabil Sharif, critico, a nome del suo governo, nei confronti di "simili provvedimenti unilaterali" che la Giordania rifiuta in toto, continuano gli scontri tra polizia e esercito israeliano e i fedeli musulmani nella spianata della moschea al-Aqsa a Gerusalemme parallelamente a piu' giornate di disordini ad Hebron.

Nel frattempo pero' la voce diretta dell'Autorita' giordana, la monarchia hashemita discendente della famiglia del Profeta Maometto, protettrice in quanto tale dei luoghi santi musulmani quale e' la moschea di al-Aqsa, si e'via via affievolita. Nonostante abbia ribadito il sette marzo, nell'incontro con il segretario generale della Nato Rasmussen l'importanza della soluzione di due stati nel processo di pace che vive una fase critica facilmente suscettibile di sviluppi ulteriormente violenti, nessuna sua dichiarazione ufficiale ha seguito i recentissimi scontri di venerdi' scorso, in cui 60 persone tra palestinesi e forze israeliane sono rimaste ferite. Non manca invece ora come ai tempi dell'annuncio israeliano la reazione da parte dell'Islamic Action Front, il partito politico dei Fratelli Musulmani giordani, che proprio venerdi' si trovava riunito per manifestare contro la decisione israeliana di appropriarsi dei siti musulmani santi chiamati dagli ebrei la tomba di Rachele, la moschea a Betlemme, e la tomba dei Patriarchi, la moschea di Hebron. Gli islamisti giordani durante questa manifestazione di protesta si sono lanciati in un appello ai palestinesi per una terza Intifada per difendere i luoghi santi , cosi'come nella richiesta a questo governo di interrompere le relazioni diplomatiche con Israele.

Ad annuncio israeliano appena declamato, il Ministro dell'Informazione Sharif aveva condannato le politiche israeliane mirate a modificare i simboli storici e religiosi in Palestina come una "violazione del diritto internazionale", sottolineando poi come tali misure giungono nella fase critica delle trattative, in cui da piu'parti ci si adopera per riprendere i negoziati. Le minacce alla pacificazione della regione con la soluzione in due stati auspicata dal governo giordano non fanno che rafforzarsi con le provocazioni dell'esercito israeliano, quella di domenica scorsa 28 febbraio, che ha preso d'assalto la Moschea di al-Aqsa permettendo l'ingresso nella spianata santa di Sionisti estremisti che si sono ritrovati in diretto confronto con i fedeli musulmani. In quanto referente del governo giordano, Sharif era intervenuto contro tali nuove provocazioni e le sue dichiarazioni sono state accompagnate, come il Ministero degli Affari Esteri Judeh ha riferito, da una azione diplomatica sotto le direttive di Sua Maesta' re Abdullah II, volta a rimuovere rapidamente la polizia israeliana dall'area della moschea. Il Ministro Judeh ha aggiunto che le direttive di sua maesta' hanno incitato le forze diplomatiche ad agire a tutti i livelli possibili per testimoniare la protesta ed il rifiuto nei confronti delle ultime azioni israeliane. In effetti a tali ordini la diplomazia giordana si e' mossa tramite l'ambasciata giordana di Tel Aviv, raggiungendo lo scopo da queste Autorita' auspicato: l'uscita della polizia dal complesso monumentale santo e la riapertura delle porte per i fedeli.

La mano dall'alto della stanza reale per una soluzione diplomatica di un tale momento critico e' stata accompagnata dalle sue dichiarazioni nel corso della stessa giornata di domenica 28 febbraio nell'incontro col presidente dell'Autorita' Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, a cui ha ribadito il suo sostegno per la causa dei diritti del popolo palestinese in particolare per la definizione di uno stato palestinese indipendente nel proprio territorio nazionale. Rispetto alla questione si era poi pronunciato anche col senatore degli Stati Uniti John Kerry in visita regionale al quale Sua Maesta' aveva sottolineato l'importanza del ruolo degli Stati Uniti nella ripresa dei negoziati, che in effetti l'otto marzo si e' manifestata tramite l'inviato americano in Medio Oriente Mitchell, nel dialogo con entrambi le parti per una ripresa indiretta dei negoziati che dovrebbero poter condurre a una ufficiale trattativa tra Ramallah e Tel Aviv. Notizia alla quale i movimenti politici e di resistenza palestinese apportano il loro rifiuto, ritenendolo ancora una volta un passo a discapito della causa palestinese, con Israele che indugia nei propri comportamenti criminali protetto a livello internazionale dalla sicurezza e dal calore che la parola negoziati provoca.

Mentre dunque continua ad essere forte la preoccupazione dell'Onu per i passi incauti ma sempre decisi dello Stato Ebraico, che di certo non tutela l'appartenenza anche cristiana ai monumenti sul suolo palestinese, come lo sono la moschea di Abramo e la Tomba di Rachele, Sua Maesta' di Giordania di incontro diplomatico in altro , non dimentica di tutelare la causa palestinese che, in assenza di una soluzione contemplante due stati, uno palestinese, uno ebraico, lo vedrebbe implicato nella temuta "opzione giordana" che cosi' includerebbe i quattro milioni di palestinesi della West Bank nel suo regno, dove gia' i palestinesi formano il 60 percento della popolazione. Ma evidentemente gli incontri diplomatici con le sue promettenti dichiarazioni non bastano e non saziano una ormai diffusa sete di giustizia e rispetto ancorata nel fedele musulmano, se, dopo le condanne della Lega Araba, sono i movimenti di islamisti a agitarsi , provocando quell'unica reazione estremista, qui in Giordania manifestatasi con i Fratelli Musulmani pacificamente, che in Occidente conosciamo.

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