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22/01/2010

Vietato lavorare
di Antonio Marafioti

Meri Calvelli, cooperante internazionale nei Territori Occupati palestinesi, commenta la misura annunciata da Israele di bloccare il rilascio dei permessi di lavoro per gli operatori delle Ong

Con il blocco dei permessi di lavoro nei Territori Occupati palestinesi per gli operatori delle organizzazioni non governative internazionali Israele sembra voler tagliare l'ultima risorsa al popolo palestinese. In molti hanno commentato che la decisione abbia come obiettivo quello di trasferire forzatamente gli uffici delle Ong di Gerusalemme Est in Cisgiordania; altri sono certi che si tratti di una politica volta a limitare la presenza della comunità internazionale sui Territori prima di una nuova ondata d'attacchi militari. La realtà, per ora, è che i civili di Gerusalemme Est, Cisgiordania e Gaza rischiano di dover fare a meno dei 150 operatori umanitari che quotidianamente si occupano di loro. PeaceReporter ha raggiunto una di loro: Meri Calvelli, italiana con casa a Gaza, ha speso tutta la vita per la causa del popolo palestinese. 



Come giudica questo provvedimento del governo israeliano?

Da sempre le autorità israeliane prendono decisioni di carattere amministrativo, civile e politico in campo internazionale, nelle modalità che ritengono opportune di volta in volta. Questa questione dei visti di lavoro non è nuova, ogni tot di anni le autorità israeliane cambiano il verso delle cose. Una buona tattica per destabilizzare sempre la situazione e non rendere mai legale e chiara la presenza internazionale su quel  territorio. Anche nel 2000, all'inizio della seconda Intifada, i visti di lavoro che venivano rilasciati alle organizzazioni internazionali attraverso il Ministero degli Affari Sociali, vennero sospesi senza una precisa motivazione. Da quel momento vennero rilasciati solo visti B2 (turistici) a tutti gli operatori umanitari. 



Una politica restrittiva che si ripete. Si giungerà mai ad una stabilizzazione della procedura?

Da un po' di anni hanno cominciato a richiedere diverse cose per accedere nei Territori, soprattutto alle Ong: prima alle frontiere hanno iniziato a limitare gli accessi e a concedere alcune settimane per la permanenza; poi hanno preteso la registrazione in Israele per il rilascio del visto di lavoro non più attraverso ministero degli Affari Sociali ma attraverso il ministero degli Interni, con relativa schedatura e tutto il resto. Ora siamo ritornati alla situazione del 2000: niente visto di lavoro ma solo visto turistico. Sicuramente arriveranno a dirci: "dopo tre volte di seguito che entri diventi sospetto e quindi non puoi entrare". Credo che tutte le sedi consolari internazionali debbano prendere un provvedimento unico e deciso per fermare questo ennesimo abuso di autorità territoriale. Si dovrebbe stabilire che se non entrano operatori umanitari e lavoratori delle organizzazioni in genere, la stessa verrà fatta verso in nostri paesi, cioè non si rilascerà nessun visto di lavoro a israeliani che fanno avanti e  indietro solo per business o per motivi familiari. Così facendo vedrà che ci ripensano subito a limitare l'accesso. Qui purtroppo è una storia che si ripete, evidentemente si stanno preparando per limitare le presenze internazionali prima che scoppino i già preannunciati scontri della terza Intifada.



Come si pongono le Organizzazioni non governative italiane nei confronti del problema? 

Su questa questione, una volta le Ong italiane avevano tutte un'unica posizione, cioè quella di rifiutare la registrazione in Israele, visto che i nostri progetti, contratti ecc. sono sui territori dell'Autorità Palestinese, che secondo gli accordi di Oslo erano riconosciuti tali. In seguito c'è stato un lieve sfaldamento delle ong e nella cooperazione in generale, e ognuno ha agito come meglio credeva, senza avere una linea ferma e decisa, ufficiale nei confronti delle autorita' israeliane.

                                                                                                               

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