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10  dicembre 2010

Dietro Il Razzismo “Immobiliare” dei Rabbini

La lettera dei rabbini contro l'affitto di immobili ai "non ebrei" continua a sollevare polemiche. Opinionisti israeliani parlano però di “esplicitazione pubblica” di quello che è un sentimento strisciante nella maggior parte della società israeliana.

Gerusalemme 10  dicembre 2010, red Nena News – Aumenta il numero di rabbini  israeliani che hanno aggiunto i loro nomi, sottoscrivendola, alla lettera scritta alcuni giorni fa da cinquanta rabbini: condannando “chiunque affitti case o terreni della terra di Israele a non ebrei”. A diffondere ieri la notizia è stato il quotidiano  Yedioth Ahronoth, che parla di altri 220 nuovi firmatari, tra cui dozzine di rabbini stipendiati da municipi presso i quali erogano i servizi religiosi.

Il documento pubblico, con cui i firmatari esplicitano il divieto di affitto di immobili ai “gentili”, in quanto conforme ad un precetto espresso nella Torah, e citando passi dell’Esodo, è apparso alla stampa martedì, seguendo il manifesto già diffuso a Safed, in Galilea ad ottobre con l’appello del rabbino capo Shmuel Eliyahu, sottoscritto da altri 17 rabbini, che incitava i residenti a non affittare stanze agli studenti arabi. Il primo di una lunga lista di dichiarazioni simili, come sottolineato ieri dall’articolo del giornalista Jonathan Cook, apparso su The Nation, che mette in luce come simili provvedimenti siano stati sostenuti da decine di rabbini anche a Tel Aviv, e Benei Barak, un sobborgo di quasi 150.000 ebrei ultraortodossi, dove i rabbini hanno ammonito qualsiasi ebreo affittasse a “stranieri”, con esplicito riferimento alle centinaia di lavoratori immigrati  e rifugiati africani che affollano le aree periferiche di Tel Aviv.

Dietro alle motivazioni della lettera, si legge nel testo, ci sarebbero – oltre a ragioni di ordine religioso –  anche “le differenze di stili di vita” e ragioni di ordine economico (affittare a non ebrei fa svalutare il prezzo dell’immobile, causando “perdite ai vicini di casa”). Chiunque si comporti in modo contrario, va prima ammonito, poi ostracizzato dalla comunità.

Ma l’editto rabbinico ha suscitato subito polemiche e sollevato critiche di diversi gruppi in difesa dei diritti umani, figure dell’intellighentja israeliana, ma anche politici della Knesset, tra cui il premier Neatanyahu. In molti hanno chiesto al procuratore generale Yehuda Weinstein di intraprendere azioni decise contro i firmatari, sulla base di “incitamento al razzismo”.  Ma nessuna risposta è ancora arrivata né dalla procura generale né dal Ministero di Giustizia, anche perché l’argomento portato avanti finora in difesa dei rabbini è che la posizione espressa nel manifesto pubblico, non rappresenta una opinione personale, ma trattasi di una interpretazione della Halacha (il complesso delle norme codificate della legge ebraica).

Un gruppo di accademici e intellettuali ha chiesto a Weinstein la sospensione immediata dei rabbini firmatari dal loro incarico: si tratta dello stesso gruppo che chiese al procuratore generale di prendere provvedimenti contro Shmuel Eliyahu.

I precedenti casi in passato dimostrano pero come la procura abbia sempre evitato di aprire indagini nel caso di dichiarazioni pubbliche o sermoni, portando avanti la tesi che i rabbini sarebbero in ogni caso “puniti” nell’ambito del dibattito pubblico. Inoltre solo i rabbini capo sono dipendenti statali, quindi soggetti alle regolamentazioni della Commissione Servizi Civili, mentre i rabbini “municipali” rispondono ai consigli religiosi; il Rabbinato è responsabile in questo caso della condotta professionale di quelli municipali: teoricamente i due rabbini capo possono convocare un rabbino municipale per un’udienza, se la procura generale arriva alla conclusione che ha oltrepassato la propria autorità o agito impropriamente. Azioni però che avvengono di rado.

Forti critiche sono arrivate dallo Yed Vashem, il Museo dell’Olocausto di Gersalemme e dall’Associazione Internazionale dei sopravvissuti dell’Olocausto, che ha paragonato il contenuto del manifesto rabbinico ai proclami nazisti che vietavano agli ebrei di affittare case. Mercoledì solo circa 150 manifestanti hanno condannato la lettera, protestando di fronte alla Grande Sinagoga di Gerusalemme.


Alcuni storici israeliani hanno parlato in questi giorni di “esplicitazione pubblica” di quello che è comunque un sentimento strisciante nella maggior parte della società israeliana. Lo storico Ilan Greilsammer ha dichiarato all’agenzia Ynet che i pensieri espressi nella lettera dei rabbini “sono il riflesso di quello che la gente pensa sotto sotto”. La novità sta solo nel fatto che tali pensieri vengano espressi pubblicamente.
 “Queste affermazioni sarebbero state inaccetabili nella società israeliana in passato” ha detto Yair Ettinger, giornalista di Haaretz e esperto di comunità ortodosse. “Ma oggi, anche se non è politicamente corretto, la gente si permette di dire in pubblico cose che non oserebbe dire nello spazio privato di una sinagoga. S tratta di un grande cambiamento.”

Arik Ascherman, direttore dei Rabbini per i diritti umani, ha dichiarato in questi giorni che il crescente estremismo dell’ortodossia religiosa in Israele riflette il pensiero crescente della destra ultra-nazionalista.

E basta ricordare che solo la scorsa settimana un sondaggio pubblicato dall’Istituto per la Democrazia Israeliana rivela che l’86% della popolazione ebraica crede che decisioni critiche per lo stato di Israele dovrebbero essere prese dalla maggioranza ebraica. Il 53% vorrebbe che lo Stato incoraggiasse i residenti arabi a lasciare il paese, solo il 51% crede che gli arabi dovrebbero godere di diritti uguali a quelli degli ebrei (una percentuale che decresce sensibilmente quando ad essere intervistati sono i gruppi religiosi ortodossi e ultraortodossi).  
E per finire il 46% degli ebrei intervistati non vogliono avere arabi come loro vicini di casa. Seguiti nella “classifica del razzismo” da persone con malattie mentali e lavoratori stranieri (entrambi 39%) e da coppie omosessuali. Nena News

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