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Mercoledì 03 Novembre 2010 21:20

Nel 2010 la Segregazione tra Ebrei e Arabi in Israele è Quasi Assoluta
di Amnon Be’eri Sulitzeanu
Amnon Be’eri Sulitzeanu è co-direttore esecutivo dell’Abraham Fund Initiatives, un’organizzazione che promuove la coesistenza e l’uguaglianza fra i cittadini ebrei ed arabi di Israele

Sotto il nome ingannevolmente ordinario di “Emendamento al disegno di legge sulle Associazioni Cooperative”, la Commissione per la Costituzione, la Legge e la Giustizia della Knesset la scorsa settimana ha messo a punto un progetto di legge destinato a scavalcare le precedenti sentenze della Corte di Giustizia. Se davvero questa legislazione sarà approvata dalla Knesset, non potremmo che descriverla come una legge di apartheid.

Dieci anni fa, la Corte Suprema ordinò alla città di Katzir di accettare la famiglia di Adel e Iman Kaadan, cittadini arabi di Israele, in quanto membri della comunità. Sette anni più tardi, il giudice emise una sentenza simile contro il paese di Rakefet in Galilea, il quale, come Katzir, è un villaggio ebraico. Ora, però, l’assemblea legislativa ha elaborato una vera e propria risposta “sionista” per i giudici: se essa diventerà legge, l’emendamento darà a dei comitati di accettazione all’interno dei comuni il potere di limitare esclusivamente a cittadini ebrei la possibilità di risiedere nelle loro città.

Usando un linguaggio neutro ed asettico, il disegno di legge consentirebbe a tali comitati nei piccoli borghi rurali di respingere le domande provenienti da famiglie che “sono incompatibili con il tessuto socio-culturale della comunità, e dove ci sono dei motivi per supporre che esse possano distruggere questo tessuto”.

In altre parole, se i comitati di ammissione in precedenza erano costretti ad usare un po’ di creatività per nascondere le motivazioni etnico-nazionali dietro al rifiuto nei confronti degli arabi, ora, come ha affermato Rabbi Akiva, “è tutto previsto, e la libertà di scelta è concessa” ( Pirkei Avot 3). Gli arabi? Non qui. Siamo spiacenti, la legge è dalla nostra parte in questo caso.

Coloro che fingono innocenza, tra cui alcuni esponenti del centro del nostro panorama politico, diranno: “Il disegno di legge non è inteso per escludere gli arabi. Cosa c’è di sbagliato nel sostenere il diritto delle comunità a proteggere il loro stile di vita unico?”.

In effetti, cosa c’è di sbagliato in questo? Non c’è dubbio che i vegetariani di Moshav Amirim, in Galilea, hanno diritto a difendersi da un’invasione di carnivori, così come i praticanti della meditazione trascendentale a Hararit, nella regione di Misgav, devono poter meditare senza interruzioni, ma il carattere di queste comunità è assolutamente unico. Non è così per le decine di kehilati’im yeshuvim (letteralmente, “insediamenti comunitari”) in Israele, la cui principale caratteristica culturale è il fatto che i loro abitanti sono ebrei e sionisti – non proprio una popolazione sotto minaccia imminente, e il cui stile vita unico andrebbe protetto.

Già diversi mesi fa abbiamo potuto constatare quanto rapidamente questa nuova legge verrà messa in atto, quando alcuni paesi, anticipando l’azione della Knesset,  in tutta fretta approvarono delle leggi che di fatto impedivano la presenza degli arabi. Nelle comunità di Yuvalim e Manof, nella zona di Misgav, coloro che fanno domanda di residenza sono ora tenuti a giurare fedeltà alla visione sionista, mentre in Mitzpe Aviv, un po’ più a sud, devono dichiarare di identificarsi con i valori del sionismo e con la definizione di Israele come stato ebraico e democratico.

Non è che le famiglie arabe facciano la fila per trasferirsi in queste comunità chiuse, le quali sono state istituite principalmente negli anni ‘70 e ‘80 da organizzazioni sioniste come l’Agenzia Ebraica ed il Fondo Nazionale Ebraico al fine di “giudaizzare” aree come il Negev e la Galilea. Nessuno si aspetta da queste cittadine che forniscano la risposta all’orrenda carenza di alloggi con cui la popolazione araba di Israele deve fare i conti. Nemmeno una sola nuova città è stata costruita per loro dal 1948, con l’eccezione di alcuni poveri insediamenti beduini del Negev. Allo stesso modo, il governo centrale non ha ritenuto opportuno aiutare o dare l’approvazione ai comuni arabi già esistenti per elaborare dei piani generali che permetterebbero loro di attuare un programma di crescita e sviluppo per soddisfare le esigenze di una popolazione in crescita e migliorare la loro modesta qualità della vita.

Non citiamo nemmeno cittadine come Nazareth Illit, Safed e Carmiel, dove sono stati emessi una serie di comunicati ufficiali – a volte da parte di alti funzionari comunali – con lo scopo di espellere gli arabi o impedirne l’integrazione al loro interno.

Nel 2010 la segregazione tra ebrei e arabi in Israele è quasi assoluta. Quelli di noi che vivono qui lo danno per scontato. Ma i visitatori stranieri non possono credere ai loro occhi: istruzione segregata, attività commerciali divise, luoghi di intrattenimento separati, lingue diverse, partiti politici diversi … e, naturalmente, alloggi separati. Per molti aspetti, questo è ciò che i membri di entrambi i gruppi vogliono, ma tale separazione contribuisce solo a una crescente reciproca alienazione tra ebrei e arabi.

Diversi tentativi coraggiosi – in particolare in città e regioni miste – sono stati intrapresi per cambiare la situazione, per ricucire le spaccature e promuovere l’integrazione. Essi vanno da sforzi per sviluppare contesti educativi misti, a iniziative imprenditoriali congiunte e ad altri interventi destinati a promuovere buone relazioni di vicinato sulla base delle pari opportunità. Fino ad ora, questi tentativi intervenivano su una situazione di segregazione de facto. Da oggi, però, la segregazione sarà de jure, per la vergogna di Israele.

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