(Erri De Luca per l’acqua pubblica “Privatizzare è da banditi”, guarda il video-messaggio per “Micromega”, http://temi.repubblica.it/micromega-online).

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Scritto il 08/6/11

Erri De Luca: privatizzare l’acqua è un furto da banditi

Gli incontri più belli della Scrittura Sacra avvengono vicino ai pozzi: uomini che incontrano delle donne che gli danno da bere, anche Gesù presso il pozzo della Samaritana; Abramo e Isacco erano gli scavatori di pozzi: il segno della loro benedizione era che trovavano continuamente l’acqua, quello era un segno che erano assistiti dalla buona volontà della divinità. Anch’io ho scavato un pozzo per l’acqua, qui sul campo. E ho visto zampillare l’acqua e uscire dal fondo della terra. Al cinema si vedono quelle persone che vedono sgorgare il petrolio e fanno baldora attorno al pozzo nuovo: ecco, quelli festeggiano la loro ricchezza personale, ma uno che fa spuntare acqua dal suolo sta aggiungendo ricchezza al mondo.

Quest’acqua, l’acqua che vedevo spuntare fuori e che subito si incanalava e trovava la via, sarebbe diventata nuvola, avrebbe raggiunto altra acqua; insomma, apparteneva al mondo. Avevo quella fierezza e quell’allegria di aver contribuito alla ricchezza del mondo, in quel modo – non alla mia personale. Vogliono privatizzare l’acqua? Ma chi vuole privatizzare l’acqua dovrebbe dimostrare di essere il padrone anche delle nuvole, della pioggia, della neve, dei ghiacciai, dell’arcobaleno. Quando un’assemblea vota la proprietà privata dell’acqua, sta facendo un’azione da banditi; si sta spartendo un bottino che non è suo, che appartiene alla specie umana, al mondo e alla vita. Dunque penso che chi metterà mano a quel furto dell’acqua, be’, sarà perseguitato dall’acqua; chi la sparge sarà disperso dall’acqua e sparso, chi la spreca sarà sprecato e chi se ne approfitta e se ne appropria perderà la sua proprietà.

Questa è una passeggiata con Amoz Oz, uno scrittore israeliano: “Lungo le mura esterne di Gerusalemme, dove prima del ’67 passava il confine e le armi da fuoco cercavano corpi da abbattere, andiamo; e mi accenna le pietre che pesano piombo. E’ un limpido mattino di febbraio, non parliamo di sangue; invece, di acqua. Racconto il pozzo scavato sul mio campo, la felicità del primo getto sparso sul terreno, acqua divisa tra gli alberi e l’uso di casa: poca, dosata e resa; non fare che si sciupi. Lui ricorda quella per lavarsi i denti; dopo l’uso, raccolta dentro un secchio: serviva per il pavimento; e poi, strizzata dallo strofinaccio, si versava su un solco piantato a cipolle. E così ci fermiamo per fare un sorriso: siamo due persone che hanno tenuto da conto le gocce”.

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