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Scritto il 01/3/11

Poveri senz’acqua, genocidio: 2 milioni di morti all’anno

«Migliaia sono vissuti senza amore, non uno senza acqua». La frase è del poeta britannico Wystan Hugh Auden, e apre il film americano “Flow” (http://www.flowthefilm.com/), realizzato “per amore dell’acqua” dalla regista Irena Salina. Tutti hanno sentito parlare dell’oro nero e dei conflitti che causa, ma pochi sanno che sarà l’oro blu il maggior problema politico-ambientale del nostro secolo: ogni anno, due milioni di persone muoiono di malattie causate da carenza di acqua pulita, ad esempio il colera. La mancanza d’acqua stermina più dell’Aids o delle guerre. Elemento-base per il benessere, l’oggi l’acqua è in pericolo: «La crisi dell’acqua è la dimensione più pervasiva, più grave e meno visibile della devastazione ecologica», scrive la fisica indiana Vandana Shiva.

La dottoressa Shiva, autrice fra l’altro del volume “Le guerre dell’acqua” (Feltrinelli), è tra i protagonisti del documentario di Irena Salina, uscito nel 2008 negli Stati Uniti (titolo originale: “For Love Of Water”). La regista spiega che il film tratta il problema idrico «da varie angolazioni: l’inquinamento e la commercializzazione dell’acqua negli Stati Uniti, l’accessibilità dell’acqua per le popolazioni povere all’estero, le conseguenti questioni legate ai diritti umani e i ben noti aspetti spirituali dell’acqua». Lo spettatore, scrive Elisabeth Zoja  su “Il Cambiamento”, viene dunque colpito in molti modi: la bellezza delle musiche che accompagnano riprese panoramiche di cascate e laghi stride con i dati inquietanti che il film denuncia: veri e propri fiumi di sangue.

Nel documentario-inchiesta vengono intervistati 18 attivisti ed esperti: fisici, ingegneri, scienziati, avvocati, autori ed ecologisti. L’argomento investe direttamente l’intera umanità: «Quanto l’acqua sia davvero un elemento unificante è una delle cose che fin da subito mi è balzata all’occhio», spiega Irena Salina. «Ne abbiamo bisogno tutti e tutti ne vogliamo. Questo concetto universale è diventato via via il cuore del mio film». “Flow” ha condotto la troupe in Africa, Bolivia, Canada, India, Francia e Stati Uniti. Il film, continua Elisabeth Zoja, visita dunque quasi tutti i continenti. E mostra gli innumerevoli problemi legati all’acqua. Parla ad esempio della sua crescente privatizzazione, presentando le due maggiori multinazionali dell’acqua: Suez Environnement e Véolia Environnement, attiva nei 5 continenti e responsabile per la gestione di acqua, rifiuti, energia e trasporti.

“Flow” descrive anche l’inquinamento dell’acqua e la chimica in agricoltura. Parla inoltre dell’acqua piovana e di quella in bottiglia, gestita principalmente da Nestlé, che possiede più di 70 compagnie d’acqua tra cui Perrier e S. Pellegrino. Senza dimenticare i problemi legati ai cambiamenti climatici, i dissesti causati dalle dighe e il tema cruciale del diritto all’acqua: «Se gli esseri umani ne hanno bisogno per vivere, l’acqua è un diritto, non un privilegio». Spiega Elisabeth Zoja: «Non si può chiedere a una famiglia africana, che non ha i mezzi per mandare i propri figli a scuola, di pagare per l’acqua pulita». Nel film vengono intervistate due ragazze costrette a prendere l’acqua dal fiume, poiché quella corrente è troppo cara. Tre giorni dopo aver accusato dolori allo stomaco, la loro madre è morta: «Aveva bevuto acqua contaminata».

«“Flow” si interroga sull’essenza dell’acqua e sulla nostra relazione con essa», racconta Salina al “Cambiamento”. La Terra, proprio come il nostro corpo, è composta al 70% d’acqua, e la ricicla da milioni di anni. Come si può privatizzare una risorsa che ha dato inizio alla vita? «Dopo la privatizzazione della terra è arrivata quella dell’acqua», osserva “Il Cambiamento”: «Se sarà possibile troveremo anche un modo per privatizzare aria e fuoco. I quattro elementi necessari alla nostra vita». Se non altro, il film offre anche qualche prospettiva positiva: «Mostra come sia possibile, attraverso azioni locali, sfidare enormi corporation», anche se la nota dominante è l’allarme che il mondo continua a non vedere, perché la privatizzazione dell’acqua ha messo a repentaglio le abitudini di vita di intere popolazioni.

“Flow” mostra ad esempio una famiglia costretta a emigrare dagli altopiani del Lesotho, in Africa. «Vivevamo lì da moltissimo tempo, non so neanche quanto: la mia famiglia è parte di quella terra», racconta Anna Debwese Mape. «Un giorno i membri del progetto per la costruzione di una diga nella zona hanno detto ai nostri capitribù che dovevamo andarcene. Ce la siamo vista brutta, da allora». La madre spiega: «Qui, quando i miei figli hanno fame, non ho nulla per loro. Prima, nei nostri campi crescevano prodotti di tutti i tipi. Qui è diverso, non abbiamo più terra». Alla lista degli emigrati politici e dei migranti del clima si aggiungono dunque quelli dell’acqua, osserva Zoja: i problemi che devono affrontare sono simili.

Per Irena Salina, «la maniera più efficace di catturare la storia delle persone incredibili» che ha incontrato, è l’approccio personale: «Abbiamo iniziato a lavorare con una troupe modesta, ma alla fine, a causa di ristrettezze di budget, sono rimasta sola con una videocamera». Nonostante ciò, missione compiuta: il film informa che nel 2020 la metà della popolazione mondiale non avrà accesso a una quantità vitale di acqua pulita. Per frenare questo processo, si propone di aggiungere un articolo – il 31 – nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo: “Ognuno ha diritto ad avere acqua pulita e accessibile sufficiente per la salute e il benessere dell’individuo e della famiglia, e nessuno deve essere privato di tale accesso o qualità dell’acqua in nome di interessi economici individuali”. «Una delle lezioni più importanti che ho imparato – conclude la regista – è che non possiamo più permetterci di dare ancora per scontata l’acqua. Il futuro dei nostri figli e di tutte le specie del pianeta dipende da questa nostra consapevolezza»

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