Liberazione
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10/04/2011

Juliano Mer-Khamis, ucciso per un teatro che faceva paura
di Francesca Marrett

Qualsiasi cosa io faccia, è contro la separazione», diceva Juliano Mer-Khamis, regista e attore che amava definirsi «al cento per cento palestinese» e «al cento per cento israeliano». Juliano era nato a Nazareth nel nord di Israele da una coppia di comunisti, Arna Mer, ebrea, e Saliba Khamis, arabo cristiano. I suoi genitori lasciarono il “Maki”, partito comunista israeliano, nel 1968 perché non contemplava l’idea di uno Stato unico su tutta la Palestina storica. Arna e Saliba avrebbero voluto per i propri figli uno Stato in cui ebrei e arabi avessero medesimi diritti. A decenni di distanza l’occupazione da parte di Israele dei Territori Palestinesi non è cessata. Si è incancrenita. Non c’è pace senza giustizia, diceva Juliano, che faceva la spola tra Haifa, dove viveva, e il campo profughi di Jenin, dove nel 2006 aveva fondato il Freedom Theatre. I frutti avvelenati che spuntano da una terra occupata, senza prospettiva, in cui l’oscurantismo religioso ha gioco facile nell’impossessarsi di legittimi ideali di lotta, assumono le sembianze dei sicari che, a volto coperto, il 4 aprile scorso hanno tolto la vita a Juliano Mer-Khamis.

Lo stimato, amato e scomodo regista è stato freddato davati al Freedom Theatre con 5 colpi di pistola esplosi a distanza ravvicinata, mentre era seduto nella sua utilitaria rossa insieme al figlio, fortunatamente illeso e la tata, rimasta ferita a una mano. Sua moglie, Jenny, finlandese, è incita di due gemelli.  Si erano incontrati in un locale di Haifa quando lei si occupava di fundraising per gli arabi della Galilea.

Il Freedom Theatre non è solo un luogo in cui si impara drammatizzazione. E’ un’isola di libertà dai pregiudizi di ogni colore.  Al campo di Jenin, dove la metà dei 16mila abitanti sono minori, Juliano era tornato dopo l’operazione militare israeliana del 2002, “scudo difensivo” per ritrovare i ragazzi che per sei anni aveva filmato lavorando al documentario “Arna’s Children”, uscito nel 2003. Quei bambini diventati miliziani a Jenin erano gli stessi che avevano frequentato il teatro fondato da sua madre in quello stesso campo profughi nel 1987, lo Stone Theatre. Furono in gran parte uccisi dai soldati israeliani durante la Seconda Intifada. “Arna’s Children” vinse il primo premio al festival canadese HotDocs.

Sulle ceneri dello Stone Theatre nel 2006 Juliano fonda il Freedom Theatre, per Juliano: «Una personale vendetta contro la politica israeliana, la gente, il governo, il paese».

Al Freedom Theatre i ragazzi del campo di Jenin svolgono, oltre alla messa in scena di produzioni teatrali, molte altre attività: informatica, scrittura creativa, fotografia, cinematografia, terapia teatrale. L’arte serve a comunicare con l’esterno e a ricostruire l’identità perduta. La ricerca dell’identità, diceva Juliano Mer-Khamis può avvenire solo tramite l’attività culturale. Come sua madre Arna, Juliano lavorava con i giovani e i giovanissimi. Il teatro per lui non rappresentava un’alternativa alla resistenza, ma un’altra diversa faccia della stessa medaglia. Per Juliano Mer-Khamis chi ha cambiato la lotta armata da resistenza in terrorismo con l’uccisione di bambini sugli autobus di Tel Aviv ha offerto un’immagine distorta della resistenza. I palestinesi che in gran numero hanno partecipato alle manifestazioni per ricordarlo a Jenin, Ramallah, Haifa e Nazareth, sono il volto pulito e fiero della rivendicazione di libertà che spetta a un popolo ancora oppresso nel secondo millennio. Palestinesi che, per la stragrande maggioranza tengono in mano un ramoscello d’ulivo o le pietre. Non i Kalashnikov. La riuscita dell’esperimento di Juliano era incarnata da Zacaria Zubeidi, ex comandante delle Brigate martiri di al Aqsa, braccio armato di Fatah. Zubeidi, classe 1976 ha accettato di deporre le armi nel 2007 per votarsi alla «resistenza culturale» col teatro di Juliano Mer-Khamis. Che lavorava in modo che i ragazzini formati nel suo teatro non cadessero «nelle trappole dell’occupazione, diventatndo uno specchio del loro nemico».

Per l’assassinio di Mer-Khamis è stato arrestato Muajahed Qaniri, ex esponente di Fatah, che secondo l’Anp sarebbe passato tra le fila di Hamas. Qaniri nega ogni addebito. Il Premier palestiense Salam Fayyad ha confannato l’omicidio come un «crimine odioso, una grossa violazione dei valori umani e del popolo palestinese».

Il regista ucciso sapeva di essere in pericolo. Sapeva che in molti a Jenin lo volevano togliere di mezzo. Dal 2009 erano circolati volantini al campo che ne decretavano la condanna a morte. Juliano diceva che la libertà è nemica della religione e di quelle regole della tradizione che opprimono le donne. Di conseguenza il Teatro della libertà diventa un nemico. Quando l’identità crolla, e l’occupazione uccide l’identità, si torna alla base più elementare, si invoca Allah diceva in sostanza Mer Khamis.

«Dopo tutto il lavoro fatto al campo sarebbe davvero una sfortuna morire per un proiettile palestinese», dichiarava due anni fa Juliano nel corso di un’intervista a un giornale israeliano. Mer-Khamis cominciò la sua carriera da attore nel 1984, con il film “La Tamburina” di George Roy Hill. Tra gli altri film, “Kippur” di Amos Gitai e “Tahara”.

Juliano Mer-Khamis è stato seppellito poco distante la tomba di sua madre, nel Kibbutz Ramon Menashe a nord di Israele. Diciotto ragazzi del teatro di Jenin hanno ottenuto dalle autorità israeliane un permesso per assistere alla sua sepoltura. Anche loro sono figli di Arna.

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