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25 maggio 2011

Abu Rahma: La Riconciliazione Non Si Tocca
di Azzurra Meringolo

Roma, 25 maggio 2011, Nena News (Abdallah Abu Rahma con le figlie al momento della liberazione lo scorso marzo) – “Difensore dei diritti umani”, così Catherine Ashton, alto rappresentante per gli affari esteri e la politica della sicurezza dell’Unione Europea, ha definito Abdallah Abu Rahma, coordinatore del comitato popolare di Bil’in, un villaggio della Cisgiordania nel quale Abdallah organizza manifestazioni pacifiche dal 2005, data in cui Israele ha iniziato la costruzione del Muro di separazione, annettendosi il 60 per cento delle terre di questo paese.  Accusato di organizzare manifestazioni “sovversive”, Abdallah è stato arrestato e incarcerato tre volte dalle autorità israeliane che lo hanno infine liberato lo scorso marzo, dopo quindici mesi di detenzione.

Quale é stato l’impatto della costruzione del muro sul villaggio di Bil’in?

Inizialmente il muro doveva ricalcare i confini del ’67, ma non è stato così e il governo israeliano ha confiscato molte parti delle nostre terre. Bil’in è un villaggio rurale che vive di agricoltura. Il 60 per cento delle nostre ricchezze proviene dalla nostra terra e la costruzione di questa barriera ha distrutto la nostra economia. In altre parti il muro ha diviso interi paesi, separando i cittadini dai loro posti di lavoro e allontanando membri delle stesse famiglie. E’ per questo che sono nati comitati di resistenza popolare.

Bili’in e diventato un villaggio famoso anche per le continue manifestazioni non violente che vi si tengono, in che cosa consistono?

In principio le nostre proteste erano quotidiane, poi bisettimanali e ora l’appuntamento è ogni venerdì. Cerchiamo di richiamare l’attenzione di tutto il mondo sul nostro caso, manifestando non violentemente contro l’occupazione israeliana. Quando , per esempio, abbiamo saputo che i soldati sarebbero arrivati a tagliare gli alberi di olivi, abbiamo deciso di creare dei cordoni umani per impedire che li abbattessero. La nostra strategia é quella della non violenza e vogliamo che sia la Corte di Giustizia a mostrare gli effetti devastanti del muro.

A inizio maggio si è firmato al Cairo l’accordo di riconciliazione interpalestinese che ha ricucito la ferita aperta nel 2006, quando la vittoria di Hamas ha portato alla creazione di due stati palestinesi, uno in Cisgiordania e uno sulla striscia di Gaza. Un passo storico?

Certamente. Sin dal primo momento ci siamo opposti alla faida interna tra Fatah e Hamas, nelle nostre manifestazioni a sventolare è stata sempre la bandiera palestinese. La divisione internata ci ha fatto perdere punti a discapito degli israeliani, gli unici che hanno guadagnato qualcosa da questa scissione. Ora dobbiamo sperare che questo accordo sia rispettato. Israele, con il sostegno americano, ha reagito in una maniera molto dura e ha deciso di bloccare il trasferimento delle tasse che riscuote sui palestinesi all’Autorità palestinese, impedendo il pagamento dei suoi dipendenti. All’Europa chiediamo di sanzionare il comportamento di Israele e di insistere affinché si creino le condizioni per mantenere vivo questo accordo.

La riconciliazione interpalestinese è il primo frutto della rivoluzione egiziana?

Certamente, i cambiamenti in Egitto sono stati decisivi. Fino ad ora il presidente Mubarak aveva dato sostegno solo a Fatah e questo non aiutava il progresso della riconciliazione. Il nuovo Egitto si è posto come un vero arbitro e questo ha aiutato le parti a raggiungere l’accordo.  Anche la marcia per l’unità nazionale che si è svolta in Palestina lo scorso 15 marzo è stata in parte ispirata dal clima rivoluzionario egiziano. Nena News

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