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10/08/2011

La Cina si riprende Ai Weiwei
di Gabriele Battaglia

Una lunga intervista all'artista-dissidente da poco liberato compare su Global Times: Pechino guarda avanti

La Cina sdogana Ai Weiwei. Lo fa nella forma di un'intervista pubblicata su Global Times, il giornale spin-off in lingua inglese del Quotidiano del popolo che - si legge - è durata per ben sei ore. La notizia è tanto più clamorosa considerando che "l'artista senza peli sulla lingua"- così come viene presentato - era in galera fino a un mese e mezzo fa, accusato di evasione fiscale, definito dallo stesso Global Times "cane sciolto" che pretende di "elevarsi e tirare dritto", oltrepassando la "linea rossa" della legalità.

L'intervista appare in realtà frutto di un compromesso. Da un lato, il giornale restituisce dignità e addirittura status di eccellenza ad Ai Weiwei, di cui si dice che nonostante sia un "artista prestigioso" è perfino più famoso come attivista pro-democrazia. D'altro lato, si legge "se Ai continua a chiedere riforme, sostiene anche di non aver mai fatto appello per un cambiamento nella forma di governo della Cina. 'Abbattere il regime con una rivoluzione radicale non è il modo di risolvere i problemi della Cina', ha detto Ai, 'la cosa più importante è un sistema politico scientifico e democratico'." L'artista dissidente rivendica il proprio diritto a occuparsi di politica: "Non potrò mai eludere la politica, nessuno di noi può farlo. Viviamo in una società politicizzata [...] ci sono così tante ingiustizie, e risorse educative così limitate. Tutto ciò diminuisce la felicità. Non smetterò mai di combattere l'ingiustizia". Ma al tempo stesso nell'intervista si ricorda che il suo "crimine" è di carattere fiscale e la politica non c'entra. Un giurista, Xiong Quihong, vuole che il processo ad Ai sia pubblico, "così possiamo impedire agli occidentali di politicizzare il caso". Anche in questo caso, si ricorda però che la Cina ha bisogno di più trasparenza. Ai conclude infine, dicendo che non lascerà mai la Cina per sempre: "La gente dal cuore oscuro dovrebbe essere esiliata, io non me ne andrò mai".

Che significato dare a questa clamorosa apertura che arriva da Pechino?

Qualcosa si sta sicuramente muovendo, soprattutto in vista del cambio della guardia che avverrà nel 2012. Chiusa l'era "armoniosa" di Hu Jintao e Wen Jiabao, contraddistinta dal tentativo di riequilibrare la crescita turbocapitalista dell'epoca precedente, sarà sostituito circa il 70 per cento della leadership cinese all'interno dei tre corpi politici che di fatto governano il Paese: il Comitato permanente del Politburo, il Comitato esecutivo del Consiglio di Stato e la Commissione militare centrale. Presumibilmente si instaurerà a quel punto una dialettica fatta di pesi e contrappesi tra l'anima "populista", incarnata dall'attuale leadership, e quella "elitaria" della "cricca di Shanghai", che rappresenta i ceti privilegiati e lo sviluppo accelerato. Quelli, per intenderci, che erano al timone durante tutta l'epoca di Jiang Zemin (1989-2002). La sintesi tra queste due anime potrebbe proprio essere una democrazia "secondo caratteristiche cinesi", che non si vede ancora ma di cui è possibile ipotizzare i contorni: una democrazia "confuciana" in cui l'elite coinvolga i più meritevoli e virtuosi ai livelli più alti delle istituzioni, lasciando gli organismi di base al libero gioco dei meccanismi elettivi. La stessa cooptazione di Ai Weiwei (meritevole e "potenzialmente" virtuoso) e dei bisogni che rappresenta, significa l'inserimento nel sistema di quell'elemento di dinamico e innovativo che permette al sistema stesso di sopravvivere. Consente anche di fare dei distinguo ed espellere ciò che il sistema non può inglobare, perché ne sarebbe distrutto. In questo caso, la dissidenza rappresentata da Charta 08 e da Liu Xiaobo, cioè chi vuole cambiare la struttura fondamentale della repubblica popolare a imitazione del modello liberale occidentale.

L'intervista, in inglese, lancia anche un messaggio all'Occidente: Ai Weiwei sarà anche un dissidente, ma resta profondamente cinese. Nella Cina, nella sua cultura e nel suo sistema, continua a identificarsi. In fondo, Ai Weiwei è parte dell'establishment e per l'establishment ha lavorato (per esempio al "nido", lo stadio olimpico di Pechino). Rappresenta anche la grande creatività da esportazione, è merce pregiata.

Resta il fatto assolutamente nuovo dello spazio concesso a un dissidente poco tempo dopo averlo fatto sparire: tre anni di stretta repressiva (a partire dagli incidenti in Tibet del 2008) si stanno forse chiudendo, il potere cinese sembra rimettersi in cammino. E se si sente così forte da inglobare non solo l'uomo Ai Weiwei, ma anche parte delle sue ragioni, ne vedremo delle belle.

 

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