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il 28 ago 2011

E Pechino inventa gli “incidenti di massa”
di Chen Xinxin

«Incidenti di massa», dicono i cinesi per non parlare di “proteste”. In Cina nel 2009, secondo uno studio dell’Università Nankai di Tianjin, se ne sono registrati 90mila. Ma in molti ritengono che in realtà siano stati ben più. Da tre anni Pechino, dopo aver ammesso che il 2007 è stato scosso da 80mila proteste, non diffonde dati ufficiali sugli «incidenti di massa».

Qualcuno ricorderà il caldo agosto cinese del 2011 per la mobilitazione della classe media di Dalian contro quella che veniva descritta come la fabbrica dei veleni. Metropoli della Cina nordorientale con oltre sei milioni di abitanti, importante scalo portuale, sede di diversi impianti chimici, la città è stata teatro il 14 agosto di un’inedita protesta – al culmine di giorni di contestazioni – che ha portato in piazza migliaia di persone (tra le 12 e le 70mila).

La mobilitazione, hanno concluso alcuni, ha disinnescato la bomba chimica di Dalian, dove appena quattro giorni prima si era celebrata l’uscita «per un test di navigazione» della prima portaerei cinese. Ha vinto il popolo, hanno detto altri. Tutto perché il governo ha annunciato la chiusura della fabbrica di paraxilene incriminata. La popolazione temeva la fuoriuscita di sostanze tossiche dall’impianto e la bomba chimica minacciava di trasformarsi in una bomba sociale. A Dalian, Pechino – che a metà luglio aveva dovuto fare i conti con il «danno d’immagine» provocato dall’incidente sull’alta velocità – ha scelto per la stabilità e l’ordine sociale. Non è ancora detto che nessuno paghi per quella mobilitazione.

Per il Global Times (del gruppo del giornale ufficiale del Partito comunista), quanto avvenuto a Dalian «non va letto semplicemente come la “vittoria” di una protesta». Ed ecco il monito: «le proteste, come strumento di espressione delle opinioni, non diventeranno il mezzo principale attraverso cui la popolazione cinese farà sentire la propria voce». Anche perché, si legge, «l’incidente ha dimostrato che le richieste della popolazione vengono prese seriamente in considerazione dal governo». Ma intanto, di pari passo con l’incessante crescita cinese, aumentano le proteste.

Nel 2004, secondo dati del ministero della Pubblica sicurezza, nella Repubblica Popolare si erano registrati 74mila «incidenti di massa», che avrebbero riguardato 3,76 milioni di persone. Disoccupazione, corruzione e sfratti forzati sono solo alcuni dei motivi che sempre più spesso portano i cinesi a contestare le autorità. Dal 1993 al 2005, stando a dati raccolti da openDemocracy, il numero degli «incidenti di massa» si è decuplicato.

Tra le accuse rivolte al Partito-Stato c’è spesso quella di trascurare la sicurezza dei cittadini. Così è stato dopo l’incidente del 23 luglio sull’alta velocità, che ha causato una quarantina di morti e circa 200 feriti. Emblematiche le parole scritte da Tong Dahuan, editorialista dell’Oriental Morning Post, su SinaWeibo, il “Twitter cinese” che vanta oltre 140 milioni di iscritti. «Cina, rallenta la tua corsa, per la tua gente, per la tua anima, per i tuoi principi, per la tua coscienza! Non vogliamo treni che deragliano, ponti che crollano, strade che diventano trappole e case ridotte in macerie. Vai piano e lascia che tutti godano di libertà e dignità. Nessuno dovrebbe essere escluso da questa epoca». Il post di Tong è stato rilanciato da oltre 200mila persone.

I sogni di superpotenza di Pechino per questa estate avevano messo in calendario la presentazione della prima portaerei e la più popolare inaugurazione del treno-proiettile tra Pechino e Shanghai. L’evento di Dalian è stato poi offuscato dalle proteste contro la fabbrica dei veleni. E la tragica scoperta della vulnerabilità dell’alta velocità è stata per la Cina un dramma nazionale, tanto che le autorità hanno bloccato tutti i progetti.

L’ordine sociale continua a preoccupare i leader cinesi. Il gioco di abilità sta nel riuscire a mantenere distinti e lontani i gruppi che sempre più spesso organizzano proteste, rivendicando diritti e giustizia. Il caso di Dalian ha dimostrato che dietro alla mobilitazione c’era un’organizzazione (slogan e striscioni) e non si trattava di una protesta spontanea come in altri casi. Riuscire a tenere lontane – ideologicamente e geograficamente – le istanze degli studenti da quelle dei contadini, quelle delle «masse» da quelle dei colletti bianchi, è la sfida che si presenta per il Partito comunista.

La censura di Internet è funzionale a questo scopo, a evitare l’unione delle forze. Evita che circolino le notizie che i media non trasmettono ed evita anche che in un Paese pieno di industrie chimiche, con il grande problema dell’inquinamento, ad altri cinesi venga in mente di seguire l’esempio delle migliaia di coraggiosi cittadini di Dalian.

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