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12 maggio 2011

E la Cina abolisce il gelsomino "È il simbolo delle rivolte" 
di Giampaolo Visetti

Pechino - Gli ipotetici tentativi di una rivoluzione post-maoista sono finiti ancora prima di cominciare. Per il gelsomino però, nella sua cara Cina, sono iniziati i tempi duri. Il nome è stato cancellato dal vocabolario, poi dal lessico, infine dalla Rete. Ogni messaggio che contenga il termine "gelsomino" in caratteri cinesi, viene oscurato dalla censura. Il famoso festival internazionale del gelsomino, evento dell'estate nel Guangxi, è stato soppresso. Perfino il video-cult del partito, con il presidente Hu Jintao impegnato a gorgheggiare "Mo Li Hua" (Addio mio bel gelsomino ndr) alla maniera di Mao, davanti agli emigrati cinesi negli Usa, è stato cancellato dal web. Sebbene nessun "virus rivoluzionario" abbia nemmeno accennato a contagiare la Cina, e nonostante la censura abbia impedito ai cinesi di venire a conoscenza delle fobie del potere scatenate dallo storico fiore dell'Estremo Oriente, per il gelsomino, e per chi lo coltiva, oppure lo vende, è iniziata la catastrofe.

Funzionari dei servizi segreti, ai primi di marzo, hanno girato vivai e mercati dei fiori di tutto il Paese per avvertire che il gelsomino doveva sparire dalla circolazione: non potendo arrestare o "rieducare" un fiore, la Cina ha semplicemente deciso di abolirli. La carica persuasiva è stata tale che i gelsomini sono scomparsi davvero e il loro prezzo, al mercato nero dei villaggi di campagna, nello sconcerto generale è crollato. La Cina però non è la Germania e dopo un po' le ragioni del mercato si fanno sentire anche tra i politici della Città Proibita. Il fiore fuorilegge prima è marcito, in milioni di esemplari, quindi è stato sradicato da coltivazioni sterminate, infine giaceva come rifiuto di contrabbando nei centri all'ingrosso. E' arrivato a costare talmente poco, senza che nessuno potesse spiegare il perché, che nelle ultime settimane è riuscito a tuffarsi in qualche vaso secondario di periferia. Sembrava il germoglio di un business, ma la censura di Pechino ha ritrovato la sua implacabilità.

Rinnovando il divieto di vendere i fiori sovversivi, che potrebbero altrimenti finire nelle mani dei rari dissidenti rimasti a piede libero, è arrivata a spiegare che i gelsomini sono "contaminati dalle radiazioni di Fukushima", o che "contengono veleni letali", o che "sono un'arma degli adepti del Falun Gong (setta religiosa perseguitata ndr), oppure che semplicemente "non sono più di moda". Nessuna rivoluzione, dunque, ma pure addio bei gelsomini sulle note di una farsa. Se uno Stato sequestra un fiore, si capisce perché un Nobel per la pace e un architetto artista, Liu Xiaobo e Ai Weiwei, possano marcire in carcere. 

 

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