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Inviato da redazione il Sab, 30/04/2011 - 08:30

Siria, uccisi soldati che difendevano i manifestanti
di Ester Adorno

Sarebbero morti per il rifiuto di uccidere, i soldati della Quinta divisione ripresi mentre i commilitoni della Quarta (quella di Maher, il fratello minore del Presidente) li fucilavano nella mischia, colpevoli di respingere l’ordine di sparare sulla popolazione di Daraa. Il video è circolato, come ormai solito, su internet, nel venerdì in cui si piangevano i morti dell’altro venerdì, quello di settimana scorsa, che era stato chiamato il Grande Venerdì e che di grande ha avuto soltanto il numero di morti – almeno 112 manifestanti. Più di 500 morti, città guardate a vista, confini giordani blindati, confini col Libano ad alta tensione dopo le fughe di massa di giovedì, confini con la Turchia rafforzati soprattutto nelle zone curde. Nel giro di un mese, la Siria di Bashar al Assad, la Siria in cui si dovevano fare le riforme e abolire la repressione politica è un Paese fra il purgatorio e l’inferno, dove la gente urla a Bashar al Assad di andarsene una volta per tutte, e la stampa è bandita.
 
Quel che si sa è che Deraa non si vive; dopo settimane di protesta, la popolazione è al suo quinto giorno di reclusione forzata. Niente acqua, niente cibo, niente elettricità, niente linee telefoniche, cecchini appostati sui tetti che sparano a chi si avventura e la stretta dei carri armati subito fuori. I soccorsi arrivano, ogni tanto, quando la soffiata di qualche soldato segretamente dalla parte dei civili avverte in tempo dei movimenti delle truppe. Per le strade resta soltanto l’odore dolciastro dei corpi abbandonati per terra, che nessuno tenta di raccogliere, e che qualcuno ha tentato di contare – giovedì, secondo i testimoni rivoltisi ad Al Jazeera, i cadaveri erano almeno 25, ieri almeno 15. Andranno sommati ai più di 500 caduti di queste sei settimane, e ai soldati ammutinati che nessuno può contare né nominare e che la stampa siriana attribuisce a “Terroriti armati”. A proposito di chi, dal Governo siriano, è sempre stato definito “Terrorista”: la Fratellanza Islamica, illegale sotto il regime laico del Baath siriano, ieri ha rotto il silenzio esprimendo ufficialmente il proprio appoggio per le proteste.
 
Se a Latakia risuonano gli spari e i manifestanti si ritrovano a migliaia a Baniyas e nella città curda di Qamishli, a Damasco si cercano gli oppositori casa per casa e la gioventù siriana è la prima a tentare la fuga. Quello che la disoccupazione non era riuscita a fare, lo fanno gli arresti e le intimidazioni: l’aereoporto di Damasco si riempie di ingegneri, grafici, e chiunque oltre alla professione possa contare anche sul doppio passaporto. Ma al’uscita dal paese li aspetta un’amara sorpresa, con la polizia speciale che controlla sistematicamente telefoni e computer per rintracciare qualsiasi forma di dissenso. Forse anche per questo qualcuno ha pensato bene di vendicarsi attaccando i siti governativi, prima fra tutti il Parlamento e il quotidiano governativo Tishreen, scomparsi ieri dalla rete per mano degli attivisti. Intanto la diplomazia resta immobile.
 
Una coalizione di 19 ong ieri è riuscita a far riunire il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU in una seduta d’emergenza dedicata alla Siria, ma già mercoledì scorso l’ONU si è spaccata sulla condanna alla Siria: la presenza all’interno del Consiglio di Sicurezza di paesi schiettamente alleati ad Assad, ovvero Russia e Libano (membro temporaneo del Consiglio) ha messo in dubbio la legittimità delle proteste siriane reiterando la solita storia – ricorrente dai tempi della rivoluzione tunisina – del “nemico esterno” che trama contro la stabilità del paese. Qualche dubbio sembra emergere però dal principale partner commerciale siriano, la Turchia, che adesso sembra rimettere in discussione la dottrina “Zero Problemi” che il ministro degli esteri aveva perseguito per anni aprendo confini con la Siria e schierandosi a fianco della Repubblica Araba di fronte all’ostilità degli Stati Uniti dopo aver abolito dazi commerciali e visti di frontiera. Ma la vera attenzione ieri era puntata sull’Europa, che nel pomeriggio – non c’era ancora una decisione ufficiale mentre Terra andava in stampa – doveva votare su una tornata di sanzioni volte a fermare i massacri in Siria.

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