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10 aprile 2011

Spari sulla folla a Daraa, ieri 26 morti
Assad: "Paese sul cammino delle riforme"

Damasco - E' di 26 persone uccise il bilancio degli scontri di ieri a Daraa, nel sud della Siria, quando le forze dell'ordine hanno sparato contro i manifestanti per disperderli. Altre due persone sono invece morte a Homs, durante una manifestazione pacifica. Lo ha denunciato oggi un militante per i diritti umani appartenente a una rete di Ong siriane e curde: "La polizia ha usato nelle diverse province della Siria un'eccessiva e ingiustificata violenza sparando sulla folla". Nel pomeriggio di sabato le forze dell'ordine hanno aperto il fuoco sulle persone che si erano radunate vicino alla moschea di Omari a Daraa, la città del sud diventata l'epicentro delle proteste contro il presidente Bashar al-Assad: si era da poco concluso il funerale di massa di diversi manifestanti uccisi il giorno precedente, quando, secondo due testimoni, gli agenti hanno cominciato a prendere a bersaglio un gruppo che intonava canti e slogan contro il regime.

Gli scontri continuano anche oggi. Cinque persone sono state ferite a colpi di arma da fuoco davanti a una moschea della città costiera di Banias, nel nordovest della Siria. Secondo il racconto di testimoni, all'ora della preghiera dell'alba, sette automobili con a bordo "gente inviata dal regime è arrivata davanti alla moschea Abu Bakr al-Sidiq e i loro occupanti hanno aperto il fuoco sulla moschea". "Cinque persone sono state ferite, una era all'interno della moschea e le altre quattro nel perimetro", ha detto un testimone dicendo che tra i feriti c'erano  un uomo di 47 anni colpito al petto, un medico e un professore universitario. Gli autori della sparatoria sono fuggiti, "ma siamo riusciti a sequestrare due delle loro automobili e prendere i numeri di targa degli altri veicoli".

Ma il presidente contestato Bashar al-Assad continua a dire che la Siria sta avanzando "sul cammino delle riforme". Come riporta l'agenzia di stampa ufficiale Sana "la Siria desidera approfittare delle esperienze dei Paesi europei", ha dichiarato Assad durante un colloquio a Damasco con il ministro degli Esteri bulgaro, Nikolai Mladenov. Si tratta della prima espressione pubblica del capo dello Stato siriano dal suo discorso di fronte al parlamento il 30 marzo.  Di fronte a un movimento di contestazione del regime senza precedenti, le autorità siriane hanno manifestato la loro volontà di adottare riforme, in particolare d'abolire la legge d'emergenza decretata nel 1963 e che riduce sensibilmente le libertà pubbliche. A fine marzo, il presidente Assad ha incaricato una commissione giuridica di redigere una nuova legislazione per sostituire la legge d'emergenza. Fra le riforme annunciate appaiono anche una legge sul pluralismo dei partiti politici e un'elasticità della legge sui mass media.

Oggi la televisione di Stato iraniana ha accusato l'Arabia Saudita e la Giordania di avere organizzato le proteste in Siria insieme agli Usa e a Israele e di avere fornito anche armi all'opposizione. "Gli Usa, Israele, la Giordania e l'Arabia Saudita hanno formato un quartier generale congiunto nell'ambasciata saudita in Belgio per coordinare i disordini in Siria", scrive sul suo sito l'emittente in lingua inglese PressTv, aggiungendo che a "dirigere" l'operazione è l'ex vice presidente siriano Abdul Halim Khaddam, che si dimise nel 2005 accusando il regime del presidente siriano Bashar al-Assad di essere implicato nell'assassinio in quell'anno a Beirut dell'ex primo ministro libanese Rafik Hariri. "L'Arabia Saudita - aggiunge la tv iraniana - pagò allora 30 milioni di dollari a Khaddam per convincerlo a lasciare il governo di Assad".

Secondo PressTv, il fine ultimo di questo complotto sarebbe quello di provocare "la caduta dell'asse Teheran-Damasco-Beirut" e "l'eliminazione della resistenza libanese", cioè le milizie sciite di Hezbollah che rappresentano una delle maggiori minacce per Israele e che godono dell'appoggio della Siria e dell'Iran. Teheran è da diverse settimane ai ferri corti con l'Arabia Saudita e con le altre monarchie arabe del Golfo per i disordini in Bahrein, che i Paesi arabi accusano l'Iran di fomentare. L'Iran ha chiesto a Riad di ritirare dal piccolo Stato-arcipelago le truppe che ha inviato il mese scorso per aiutare la dinastia sunnita al potere a sopprimere la rivolta in un Paese dove la popolazione è al 70 per cento sciita.

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